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La conoscenza del passato, delle lotte e delle conquiste del movimento operaio, permette di proiettarsi nel futuro, con una bussola indispensabile per il presente. Senza storia non si costruisce il futuro: la storia dà ai fatti una prospettiva, aiuta a capire quanto accade oggi.
Il 20 maggio 1970 veniva approvata la legge 300, lo “Statuto dei Lavoratori”. Frutto delle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, in particolare con l’ “autunno caldo” del 1969, la legge segnò il passaggio da un regime assolutista ad un regime democratico. Si proponeva di contribuire a creare un clima di rispetto della dignità e della libertà nei luoghi di lavoro. Con lo Statuto, la Costituzione repubblicana ha varcato i cancelli dei luoghi di lavoro. Dopo 49 anni, con i suoi principi e i suoi diritti, lo Statuto dei Lavoratori rimane attuale. Rappresenta il valore di una conquista, e le ragioni di tante lotte per la libertà e la dignità del lavoro.
Non a caso, in questi anni, nei confronti dello Statuto si sono sprecate menzogne e falsità, per far apparire i diritti e le conquiste di civiltà dei privilegi. Ultimi il governo Renzi e il fronte padronale: un attacco di classe ad uno dei pilastri essenziali dello Statuto, abolendo di fatto l’articolo 18, strumento contro i licenziamenti senza “giusta causa”, illegittimi e discriminatori. La Cgil si è mobilitata su più fronti contro il grave scippo, nella consapevolezza dei cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro e nella legislazione dal 1970 ad oggi.
I diritti non sono mai conquistati per sempre, vanno difesi e allargati al nuovo mondo del lavoro. Una lotta che si rinnova nello scontro di classe globale tra capitale e lavoro, in un mondo nel quale si allargano insopportabili diseguaglianze, e il potere finanziario e le multinazionali esercitano una crescente egemonia economica e di valori, subordinando il potere politico.
Per questo la Cgil si è impegnata sul piano negoziale alla non applicazione del jobs act, è ricorsa allo strumento referendario, e alla proposta di legge di iniziativa popolare sull’avanzato e strategico nuovo Statuto. Con la “Carta dei diritti universali del lavoro”, depositata in Parlamento e in attesa di essere discussa, la Cgil è uscita dalla difensiva.
Anche nei confronti di questo governo, ostile al sindacato e alle sue conquiste, siamo impegnati a ridare ed estendere diritti, democrazia e dignità al lavoro di tutte e tutti. Il lavoro e i diritti devono tornare al centro dell’azione di una sinistra politica che deve smetterla di inseguire le destre sul loro terreno, e riprendere parole d’ordine di solidarietà e eguaglianza.
Oggi come ieri la Cgil è dalla parte dei diritti e della dignità di chi lavora, con la mobilitazione unitaria che culminerà, per ora, nella grande manifestazione di Reggio Calabria del 22 giugno.
Quando questo numero di Sinistra Sindacale sarà in rete, le elezioni europee e amministrative avranno dato i loro risultati (tranne che per i ballottaggi delle comunali), e Rosa Maria Dell’Aria sarà tornata sulla cattedra delle “sue” classi, in un istituto di scuola secondaria a Palermo, dopo due settimane di sospensione. Pena scontata giorno dopo giorno, nonostante le chiacchiere in libertà dei responsabili di questa piccola storia ignobile.
La punizione, con conseguente dimezzamento del salario, ha colpito una professoressa di 63 anni, insegnante di italiano da quaranta, perché non avrebbe “vigilato”» sul lavoro di alcuni suoi studenti di 14 anni. Studenti che, durante la Giornata della Memoria che ogni 27 gennaio ricorda gli indicibili lutti e le inaudite sofferenze provocati dal nazifascismo, avevano presentato un video nel quale accostavano la firma delle leggi razziali del 1938 al recente “decreto sicurezza” del Viminale, guidato da Matteo Salvini.
Lasciando da parte il pornografico racconto dei retroscena della sospensione, vale al contrario dare conto delle 200mila firme raccolte a sostegno dell’insegnante; della forte mobilitazione sindacale, confederale e di base; e, non per ultime, delle parole della diretta interessata: “Il video è il risultato dell’elaborazione dei ragazzi, dopo una lezione sull’Olocausto si era parlato di diritti umani, e nella loro elaborazione hanno fatto l’associazione tra il decreto sicurezza e la lesione dei diritti umani”. Ha spiegato che nel suo lavoro è data facoltà di modificare il libero convincimento “se offensivo, denigratorio od osceno”. Ma non è data facoltà di reprimere le opinioni: “Il mio modus operandi – ha concluso - è cercare che i ragazzi si formino un pensiero libero, critico, che siano attenti ai fatti della realtà, e che imparino a ragionare e a pensare. Che si formino delle opinioni”. In tre righe, l’essenza della scuola.
Il 14 giugno sciopero generale unitario dei metalmeccanici, con manifestazioni interregionali a Milano, Firenze e Napoli.
I lavoratori metalmeccanici sciopereranno in tutta Italia venerdì 14 giugno, con tre grandi manifestazioni in contemporanea a Milano, Firenze e Napoli, per chiedere al governo e alle imprese di mettere al centro il lavoro e la sua qualità. Quindi la qualità delle persone, i salari, i diritti.
Le trasformazioni che stanno investendo il mondo delle imprese metalmeccaniche, e più in generale il sistema della manifattura, impongono scelte che devono essere in grado di rispondere alla necessità di crescita dei settori strategici, attraverso il rilancio degli investimenti pubblici e privati e il sostegno all’occupazione.
Ci troviamo in una condizione per cui ormai da anni mancano politiche industriali. Abbiamo perso asset strategici straordinari, e la concorrenza sul lavoro è stata fatta tutta sui costi e sulla precarizzazione del lavoro. I salari dei lavoratori sono sempre più bassi, la precarietà è sempre più alta, e manca un’idea di politica industriale, di investimenti pubblici che facciano da volano a investimenti privati. Manca una capacità di mettersi al passo con l’innovazione che tenga conto del lavoro che cambia.
Questo governo, come quelli che finora si sono succeduti, non si pone il tema di quali politiche industriali adottare, di quale modello di sviluppo, di come orientare l’innovazione, di quali strumenti dare alla riorganizzazione e alle ristrutturazioni delle imprese. E’ per questo che negli anni ci troviamo di fronte sempre alle stesse vertenze.
Negli anni della crisi, fra i metalmeccanici, si sono complessivamente persi circa 300mila posti di lavoro; negli anni della crisi si è perso circa il 25% della capacità produttiva istallata, in particolare in alcune aree industriali del sud del paese. Ci troviamo quindi in una condizione in cui il lavoro si è perso, e la capacità produttiva istallata si è abbassata.
Ci troviamo di fronte a processi in cui, da una parte, le imprese si riorganizzano nella globalizzazione evidenziando la debolezza del capitalismo italiano, dall’altra assistiamo all’indebolimento della legislazione sul lavoro, e alla frantumazione del lavoro. Occorre in questa fase superare la frammentazione del lavoro, ricomponendo la coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori che garantisca gli stessi diritti a tutti.
La decisione di scioperare è determinata dalla sempre maggiore incertezza sul futuro, vista la contrazione della produzione industriale, la perdita di valore del lavoro, l’aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro. Il governo e le imprese non possono scaricare sui lavoratori la nuova crisi che stiamo vivendo: per affrontare la situazione sono necessari investimenti pubblici e privati per l’innovazione, le competenze, l’ecosostenibilità, l’occupazione, la prevenzione e la salvaguardia di salute e sicurezza. Per rilanciare il mercato interno è indispensabile aumentare i salari, ridurre la tassazione, garantire lo stato sociale.
Il 14 giugno abbiamo indetto uno sciopero generale unitario delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici. Tutti, nessuno escluso.
Le Funzioni pubbliche in piazza l’8 giugno per l’occupazione, contratti e investimenti.
Occupazione, contratti e investimenti: questi i tre punti che sinteticamente esprimono il senso della mobilitazione che sabato 8 giugno porterà in piazza le lavoratrici e i lavoratori del terzo settore, della sanità pubblica e privata, delle funzioni locali e di quelle centrali.
Non basteranno certo le vane promesse del governo ad impedire la mobilitazione unitaria. In sanità mancano 84mila dipendenti, in polizia 13mila e nei ministeri altri 17mila, al netto delle uscite per la pensione. Nel comparto Funzioni centrali l’ingresso di oltre 5mila persone, a cui si aggiungono 4.900 posti messi a bando, è comunque molto lontano dal poter compensare le uscite previste dallo stesso ministero.
Si stimano complessivamente oltre 500mila pensionamenti nei prossimi tre, quattro anni, ma potrebbero essere molti di più, per effetto della cosiddetta “quota 100”. I concorsi non sono stati ancora banditi e tutto lascia prevedere tempi lunghi, nonostante fossero presenti graduatorie valide, inspiegabilmente soppresse. Il furore del ministro Bongiorno, che non perde occasione di tuonare contro la (presunta) inefficienza dei lavoratori pubblici, si infrange quindi contro la realtà dei fatti, così come sono stati descritti in occasione dell’annuale appuntamento con l’iniziativa “Forum Pa”.
Lo svuotamento degli uffici e dei servizi avvenuto in questi dieci anni ha portato l’Italia tra gli ultimi in Europa per numero di dipendenti: il 30% in meno rispetto alla Germania, il 35% sulla Gran Bretagna e il 40% rispetto alla Francia. Scontiamo inoltre un consistente gap di investimenti pubblici e privati in infrastrutture, in innovazione e in ricerca, che ha portato a un crollo della produttività del nostro paese.
Bisogna ripartire dai fondamentali, da una visione complessiva di quale modello di sviluppo serve al paese e di quale Pubblica amministrazione può veicolarlo. Un modello di sviluppo che abbatta le disuguaglianze di territorio, di genere e di censo, e una Pubblica amministrazione che sia al servizio delle persone e delle imprese, che metta in sicurezza il territorio, e indirizzi le scelte di sostenibilità ambientale, in termini di regole, investimenti, orientamenti. Che crei coesione sociale nei piccoli e grandi centri urbani. Che investa in innovazione, nelle tecnologie, e nella formazione indispensabile per poterle utilizzare al meglio. Infine che accompagni il paese in quella che si sta configurando come la quarta rivoluzione industriale digitale.
Per realizzare questi obiettivi servono nuove assunzioni e nuove competenze, nuove risorse per la formazione e per l’aggiornamento. Il rinnovo dei contratti è una necessità per le lavoratrici e i lavoratori che hanno visto ridurre progressivamente il loro potere d’acquisto dal 2009 ad oggi. Uomini e donne che in questi anni hanno sostenuto carichi di lavoro importanti, hanno visto negato il loro diritto alla contrattazione decentrata, e solo dal 2018 hanno ripreso parola e titolarità negoziale.
Ma ancora una volta vengono bloccate le legittime aspettative salariali e normative, le valorizzazioni delle professionalità acquisite, i percorsi di carriera, i lavori delle commissioni paritetiche, i vincoli sul salario accessorio e sulla classificazione del personale. Eppure, senza i necessari investimenti sul personale e senza il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori, qualunque riforma perde efficacia e valore.
La piazza di sabato 8 giugno vuole parlare a tutto il paese di come i diritti dei cittadini siano legati a filo doppio al buon lavoro nella Pubblica amministrazione. Vuole mostrare come i servizi e le funzioni pubbliche siano messi a rischio dalle scelte del governo, dai tagli al Fondo sanitario nazionale, dalle risorse per le Funzioni locali e per il welfare di prossimità. Vuole parlare a un governo che ha scelto la strada della disintermediazione, barcamenandosi fra l’inevitabile aumento dell’Iva e la promessa di realizzare la flat tax, misura quest’ultima che priverebbe il paese di risorse indispensabili, scardinando il principio democratico della progressività fiscale.
Noi non ci stiamo! Le mobilitazioni affollano l’agenda di questo 2019, di questa tarda primavera di lotta e di protesta. I pensionati, le Funzioni pubbliche, lo sciopero dei metalmeccanici, la manifestazione del prossimo 22 giugno sono le prossime tappe di un impegno unitario per far cambiare verso alle politiche dell’esecutivo, per ridare futuro al paese.