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La salute e la sicurezza di lavoratori e cittadini tornano in primo piano con la recrudescenza della pandemia. Così come riesplodono le inefficienze, i ritardi, le politiche fallimentari degli ultimi decenni, la mala gestione di repubblichette regionali dove fantomatici “governatori” tentano di scaricare le loro responsabilità facendo, di volta in volta, i più rigoristi o i più lassisti sulle misure del governo.
Sembra quasi la legge del contrappasso: a pochi giorni da elezioni che hanno visto trionfare i presidenti in carica, proprio grazie a come è stata percepita la loro “gestione” della pandemia, il virus torna a riesplodere. Mettendo a nudo quello che non si è tempestivamente fatto in termini di sanità territoriale, di moltiplicazione delle terapie intensive, di potenziamento del sistema di trasporto pubblico, in un intreccio di responsabilità tra governo e Regioni con il chiaro fallimento della “riforma” del titolo V. In alcune Regioni i cittadini pagano doppiamente: caos dei servizi sociosanitari e costi alle stelle per tamponi e vaccini, alimentando il ricorso alle strutture private. Mercato e privato usano la pandemia per ampliare i loro spazi, complice certa politica.
Oltre alle tragiche conseguenze sulla salute e sulle vite umane, la nuova “emergenza” rischia di esasperare ancora di più la situazione di vasti settori di lavoratori, esponendone una parte a enormi rischi per la salute, continuando ad allontanarne un’altra dal lavoro, con pesantissime conseguenze sull’occupazione e sul reddito.
Alla faccia del “sussidistan” evocato da Bonomi – forte delle decine di miliardi a fondo perduto incassate in questi anni dalle imprese e delle sue stesse prebende da incarichi pubblici – le diseguaglianze si stanno spaventosamente allargando, aumentano esponenzialmente le famiglie in povertà, anche di lavoratori, proliferano precariato e marginalità lavorativa.
Mentre è necessario e urgente conquistare un vero confronto con il governo sui progetti del Recovery Plan, per la Cgil e il sindacato non è il momento di allentare il blocco dei licenziamenti e il pieno ricorso agli ammortizzatori sociali, allargato a tutte le tipologie di lavoro. Né, come ha ribadito Landini al Direttivo nazionale del 12 ottobre, sono tempi per nuovi patti neocorporativi. Tanto più di fronte alla Confindustria che, a partire dal rifiuto di riconoscere aumenti salariali nei contratti nazionali, sta dispiegando il suo programma di restaurazione sociale. Le 385 pagine del preteso “coraggio del futuro”, mastodontico programma bonomiano, ripropongono, dal lavoro alla scuola, dalla pubblica amministrazione all’ambiente, tutte le più viete ricette neoliberiste sperimentate negli ultimi 30 anni in nome della centralità dell’impresa.
Serve la mobilitazione dei lavoratori, sempre in maniera rispettosa delle norme anticovid. Così come servirebbero meno ammiccamenti da parte del governo e un più chiaro orientamento di svolta sociale e ambientale nell’impostazione della legge di bilancio e del Recovery Plan.
Ascoltando Liliana Segre si torna ragazzini delle medie inferiori, stimolati a crescere da insegnanti intelligenti e sensibili con la scoperta del Primo Levi de “La Tregua”, narratore e testimone della vita e della speranza riconquistata dopo l’apocalisse di Auschwitz. Nella sua ultima lezione pubblica, questa incredibile novantenne con tatuato sul braccio il numero 75.190, anche lei “viva per caso” come Levi, ha donato una testimonianza che non ha prezzo, come non ha prezzo ogni singola esistenza. “Scegliete sempre la vita, che è straordinaria”, ha ricordato la senatrice a vita portando a termine la sua opera di pedagogia civile fra gli studenti.
A Rondine, piccolo borgo aretino sede della Cittadella della Pace, dove giovani provenienti dai territori di guerra vengono educati al rispetto delle differenze, Liliana Segre ha unito storia e memoria inaugurando “L’Arena di Janine”, dedicata alla sua amica francese che nel campo di sterminio nazista morì. E lo ha fatto con la consapevolezza che anche oggi l’orrore può ripresentarsi: “Ho incontrato alcuni uomini che avevano la sicurezza di essere di una razza superiore. Ma non erano umani. Lo abbiamo visto anche di recente, branchi di uomini che in gruppo si lanciano contro uno solo, perché diverso”. Un chiaro riferimento all’omicidio del giovane Willy. Poi un altro passaggio che dal passato porta al presente: “Io sono stata una clandestina, una richiedente asilo, e so cosa vuol dire essere respinti. Aver passato una montagna d’inverno, essere arrivati in Svizzera, Paese della libertà, e poi incontrare un ufficiale che non credeva nella nostra sofferenza e ci rimandò indietro, ridendo di noi. Fu un respingimento di un uomo che obbediva agli ordini e che ci umiliò. Un momento terribile”.
Grazie al servizio radiotelevisivo pubblico, che ha reso disponibile la lezione su Raiplay per i giorni a venire, le parole di Liliana Segre resteranno forti e chiare. Un’ottima notizia.
Imetalmeccanici salvarono le fabbriche dai nazisti nel 1943, i metalmeccanici hanno salvato la produzione nelle fabbriche nel 2020 dal coronavirus. Per tutta risposta Federmeccanica, dopo 11 mesi di trattative, rompe il tavolo del rinnovo contrattuale con la provocatoria proposta di blocco degli aumenti salariali, in piena sintonia con le pretese del neopresidente di Confindustria, Bonomi.
L’obiettivo dei padroni è chiaro: approfittare della crisi, approfittare della messa in cassa integrazione di milioni di lavoratori per assestare un colpo mortale al contratto nazionale di lavoro. La posizione di Federmeccanica non è conseguenza dell’emergenza Covid-19. In realtà, fin dall’inizio della trattativa Federmeccanica ha dichiarato l’indisponibilità ad aumenti salariali nel contratto nazionale, “concedendo” solo l’adeguamento all’inflazione, pari oggi a poco più dello 0%, che significa in tre anni circa 40 euro di aumento.
La trattativa per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici è cominciata 11 mesi fa con una piattaforma approvata da oltre il 90% dei metalmeccanici. Una piattaforma che tiene conto del fatto che molte aziende non hanno rispettato il contratto precedente, che prevedeva, tra l’altro, l’allargamento della contrattazione di secondo livello e le 24 ore di formazione nell’orario di lavoro. Questi impegni non sono stati attuati, non è stata redistribuita la ricchezza. Non è stato riconosciuto il valore del lavoro. È inaccettabile pensare che i salari dei lavoratori metalmeccanici, considerati indispensabili durante tutta la fase della pandemia, siano totalmente bloccati, quando sono tra i più poveri d’Europa.
In risposta all’arrogante posizione di Federmeccanica, sono già state proclamate assemblee accompagnate dai primi scioperi spontanei. Fiom, Fim e Uilm hanno già annunciato l’obiettivo dello sciopero generale di quattro ore del 5 novembre, ad un anno esatto dall’avvio delle trattative. Noi pensiamo che sia necessario rinnovare i contratti nazionali, riconoscere il valore del lavoro e i diritti, e tenere insieme il tema della salute, dell’occupazione e del salario.
Il coronavirus ci costringe ad adottare misure di sicurezza individuali e collettive per salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori e di tutti in generale a partire dalle proprie famiglie. Ma se in passato i metalmeccanici hanno affrontato un nemico spietato come i nazisti per salvare fabbriche e salario, i giovani metalmeccanici del 2020 saranno sicuramente in grado di lottare per il loro contratto e salario contro Federmeccanica, che ha stretto una inquietante alleanza con il coronavirus per stracciare contratti e riprendere a licenziare senza più impedimenti.
Riparta immediatamente la lotta come giustamente ha dichiarato la segretaria generale della Fiom Francesca Re David.
Per quanto sia difficile la situazione, scioperare per il contratto e impedire i licenziamenti è la richiesta che avanza dalle fabbriche. In particolare al sud dove la crisi fa sentire la dolorosa morsa, come nel caso del Gruppo DE.MA con i suoi cinque siti tra Brindisi e Napoli.
Contratto, blocco dei licenziamenti, innovazione tecnologica e produzioni alternative sul piano ambientale sono le parole d’ordine per invertire il declino industriale del nostro Paese (e del mondo intero). Ma senza lotte, senza scioperi, senza scendere ancora in piazza, Federmeccanica con la sua linea reazionaria arrecherà più danni alla classe operaia e al Paese di quanto già purtroppo stia ampiamente arrecando la pandemia. Difendere il salario e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori è fondamentale per la ripresa del Paese.
Dopo Ancit, Assobirra e Unionfood, anche Assica (Associazione industriali della carne e dei salumi) e Mineracqua (Federazione delle industrie delle acque minerali) hanno aderito al rinnovo del Ccnl Industria alimentare. Si allunga anche l’elenco delle aziende, affiliate alle nove associazioni di Federalimentare, che stanno aderendo al Ccnl siglato il 31 luglio.
Dal 24 agosto i lavoratori dell’industria alimentare sono in stato di agitazione per il contratto nazionale (già rinnovato!), nonostante le restrizioni anti Covid le lavoratrici e i lavoratori stanno chiedendo e ottenendo assemblee che si svolgono in sicurezza all’interno delle aziende, e dove non è possibile all’aperto, nell’area di parcheggio degli stabilimenti. Le azioni di lotta non sono messe in atto, al contrario, nelle aziende che hanno dato formale adesione all’ipotesi di rinnovo del Ccnl industria alimentare del 31 luglio scorso.
L’obiettivo è quello di dare a tutte le lavoratrici ed ai lavoratori del settore un solo contratto. Le azioni di lotta unitaria hanno visto un’alta adesione allo sciopero di 4 ore del 9 ottobre scorso, volutamente articolato nelle diverse provincie in diversi turni, in modo da creare difficoltà alla catena di produzione e alle aziende che hanno stabilimenti in luoghi diversi.
Le dichiarazioni del presidente confindustriale Bonomi, che a partire da agosto hanno segnato uno scadimento del confronto con un tentativo di buttare discredito sul sindacato, mirano a non rinnovare il contratto nazionale (rinnovo che per Confindustria si deve intendere possibile solo senza incrementi economici), ma anche a scollegare salario ed orario di lavoro. Il linguaggio populista di Bonomi, che ci chiama conservatori, non può essere accettato da parte nostra, ma è anche segno di un’evidente debolezza. Per essere chiari: chi pensa che ci possa essere un altro contratto, si sta sbagliando.
Le azioni unitarie infatti proseguono, come annunciato nella conferenza stampa nazionale lo scorso 8 ottobre, con il blocco degli straordinari e delle flessibilità fino al 9 novembre, giorno nel quale è previsto uno sciopero di 8 ore con mobilitazione dei lavoratori e manifestazioni in 20 piazze d’Italia che saranno collegate in streaming.
Dichiara Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil: “Questo è un contratto giusto, che non arreca danno alle imprese, riconosce il giusto sacrificio che hanno fatto lavoratrici e lavoratori, anche nel periodo del Covid. Riteniamo che la nostra sia una posizione di buon senso, chiediamo che questo contratto vada esteso a tutte le imprese, superando le posizioni ancora strumentali che ci sono, e ci si possa confrontare finalmente sul merito”.
Anche rispetto alle accuse di violazione dell’accordo interconfederale del 9 marzo 2018, Mininni ricorda che “Il Patto per la Fabbrica non è un accordo prescrittivo ma, come tutti gli accordi interconfederali, è di massima, dà delle linee guida ma non è sostitutivo della contrattazione di cui sono titolari le categorie. Quindi Bonomi sta facendo una forzatura evidente, sia da un punto di vista politico che statutario”.
Le lavoratrici e i lavoratori sono distanziati e in sicurezza ma sempre più determinati a rivendicare il contratto. ! A Confindustria, che come dice Maurizio Landini “si deve metter d’accordo con sé stessa … sono loro che non vogliono firmare il contratto”, chiediamo di rivedere la posizione. Diversamente siamo pronti e determinati a conquistare quella firma con la lotta.