I tanti difetti del modello Ikea - di Frida Nacinovich

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Gli affari sono affari e la riduzione dei costi - leggi meno diritti e tutele per le lavoratrici e i lavoratori - resta un comandamento. Benvenuti nel mondo delle multinazionali, dove le logiche del profitto non sono state ‘ammorbidite’ nemmeno dalla pandemia. Lo dimostra Ikea, marchio che dalla natìa Svezia si è affermato ai quattro angoli del pianeta. Offrendo, questo sì, la possibilità di arredare le nostre case a prezzi contenuti e, sostanzialmente, ‘chiavi in mano’. Bisogna saperli montare, i mobili, le cucine e le librerie griffate Ikea, e non è mai facile, visti i piccoli infortuni progettuali e fisici di cui ognuno di noi è a conoscenza. Ma non c’è casa oggi che non abbia qualcosa di Ikea, anche solo un mobiletto da balcone.

L’altra faccia della medaglia racconta invece di spregiudicate strategie finalizzate ad attirare sempre nuovi clienti, e in parallelo provare a peggiorare, con una pervicacia degna di miglior causa, le condizioni di chi in Ikea lavora. Nel primo caso è recente la notizia di un cartellino giallo comminato alla multinazionale dalle autorità politiche, e soprattutto sanitarie. Perché, incuranti del rischio, in piena pandemia, i manager avevano addirittura aumentato la capienza massima dei clienti nei grandi punti vendita diffusi in tutta Italia.

Nel secondo, vale la pena ascoltare Paolo Macis, addetto pisano del gruppo svedese che subito ci tiene a mostrare la tenuta da lavoro con ben stampigliata la scritta (auto prodotta): “Covid-19, state almeno a un metro di distanza”. “Lavoro in Ikea da dieci anni. Ho iniziato nello stabilimento di Rimini. Sono entrato dalla porta della fatica, il settore della logistica”. Sardo, orgoglioso figlio della ‘sua’ isola, Macis è laureato in archeologia, un trascorso di videoreporter nella Capitale, fece domanda e fu chiamato dalla multinazionale. “Così lasciai Roma alla volta di Rimini - racconta - a quei tempi ero riuscito a prendere il tesserino da pubblicista, collaboravo con TeleAmbiente. Da video reporter a scaricatore di camion il passo può essere breve....”. Sorride e poi precisa: “Passare dall’altra parte della telecamera può anche essere istruttivo, non devi più raccontare ma diventi il protagonista dei racconti”.

Purtroppo il lavoro di oggi, pur agognato, spesso e volentieri ha ritmi adrenalinici. “Fra orario standard e straordinari - osserva Macis - hai poco tempo per tutto il resto”. Alla fine del 2013 arriva l’occasione per trasferirsi in Toscana. “Sono a Pisa da quando il punto vendita era solo un magazzino vuoto ai bordi della città. A Rimini avevano fatto una ristrutturazione che non mi piaceva, il clima era molto teso, sono stato ben contento di andarmene”. Nell’estate 2014, finita la fase cantiere, apre il punto vendita pisano, una struttura importante, che impiega 250 addetti.

Negli stessi mesi però i rapporti tra la multinazionale e i suoi dipendenti scendono sotto il livello di guardia, a causa dell’improvvida decisione del management di Ikea di disdire il contratto integrativo, quello di secondo livello. Si sciopera ovunque. “Nonostante il cambio di residenza, una piccola bolla di felicità per il nuovo contesto di lavoro, ben presto mi sono accorto che l’azienda rimaneva quella. La stessa di Rimini. Ikea si comportava come Marchionne con la Fiat, abbandonando Confcommercio in favore di Federdistribuzione. E con questo passaggio, si liberava dell’integrativo da pagare alle lavoratrici e ai lavoratori, se ne andavano diritti conquistati in anni di lotte, per giunta si apriva una sorta di guerra fra poveri, fra più garantiti e precari, a tempo determinato, meno tutelati. Vittime per giunta del jobs act del governo Renzi”.

Macis non ci sta ad abbassare la testa. “Parlavo con colleghe e colleghi, facendomi carico delle loro perplessità. A un certo punto mi chiamò mio padre, mi disse di smetterla di lamentarmi e pensarci bene per poi scegliere: ‘Sappi però che, se decidi di lottare, entri in territorio nemico e ti tagli tutti i ponti dietro’”. È andata a finire che all’Ikea di Pisa è nata quasi prima la rappresentanza sindacale aziendale del punto vendita. Un record.

Orgoglioso delegato sindacale per la Filcams Cgil, Macis è stato anche eletto rappresentante dei lavoratori alla sicurezza. Il documento per aumentare le tutele anti-Covid, approvato dai seimila dipendenti italiani Ikea, è stato sottoscritto proprio nel giorno di san Ranieri, il patrono di Pisa. “Oggi come Filcams qui abbiamo più di cinquanta tesserati - sottolinea - comunque bisogna sempre tener la guardia alzata, di fronte a una multinazionale che per ragioni di marketing si pregia di fare grandi aperture sulle campagne sociali secondo il modello scandinavo, poi però ti chiede di lavorare per il 25 Aprile. Le conclusioni? Fatte le debite proporzioni, abbiamo gli stessi problemi che avevano Spartaco e i suoi ex schiavi duemila anni fa. Dobbiamo ricostruire la consapevolezza di classe nelle nuove generazioni”.

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