Una (salutare) provocazione - di Maurizio Brotini

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“Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo da essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo”.
Friedrich Engels 

Nei giorni scorsi è stata pubblicata sul manifesto una lettera aperta a compagni e compagne della Cgil da parte di Luciana Castellina e Rossella Muroni. Le riflessioni proposte originavano da un documento unitario delle organizzazioni di categoria di chimici ed elettrici al governo in tema di giusta transizione delle fonti energetiche. Alla lettera sul manifesto seguiva un’articolata risposta della segreteria della Filctem Cgil, inviata a tutte le strutture dell’organizzazione e poi pubblicata sullo stesso quotidiano. Ci preme qui riprendere la centralità politica generale dei temi trattati, meritevole di una discussione ampia e pubblica.

Parlare di energia significa parlare di ridefinizione della società stessa, significa affrontare concretamente la crisi climatica, e incrocia la ridefinizione del potere a livello globale. Risorse energetiche e vie di comunicazione sono infatti i due assi fondamentali dello scontro tra le varie aree che definiscono il sistema-mondo, vettori di espansione più o meno pacifica, di cooperazione o di conflitto fortemente intrecciato a quello bellico.

Alcune considerazioni: passare dalle fonti fossili alle energie rinnovabili è un imperativo non rimandabile, il metano è una fonte fossile, il suo utilizzo nella fase di transizione non può e non deve caratterizzarsi per ingentissimi investimenti che bloccherebbero “oggettivamente” gli investimenti nelle energie rinnovabili. Lo stesso idrogeno, la tecnologia necessaria per produrlo a fini energetici, non deve passare per l’utilizzazione del metano. Tanto più in un paese come il nostro che incentiva fiscalmente per svariati miliardi le fonti fossili. Il passaggio alle fonti rinnovabili è decisivo per lo sviluppo dell’economia verde, che può caratterizzarsi per un rispetto della materia prima (utilizzando al meglio le materie prime seconde), dell’ambiente, e dello stesso lavoro. Studi accreditati - utilizzando indicatori specifici - indicano a parità di investimenti una maggiore creazione di lavoro buono.

Inoltre: meno male che ci sono Eni e Enel, per la loro storia e per quello che hanno rappresentato. L’Eni di Mattei decisivo per una politica industriale - ed estera - che aprisse margini di autonomia reale alla subordinazione atlantica, capace di permettere una significativa industrializzazione (al netto delle storture) ad un paese manifatturiero privo di materie prime. L’Enel uno dei frutti più alti delle nazionalizzazioni del centrosinistra degli anni ‘60. Bene che, nella sciagurata campagna di svendita dell’apparato produttivo pubblico degli anni ’90, si siano salvate.

Tutto bene quindi? No. Perché la debolezza della politica, a fronte della destrutturazione del sistema politico-istituzionale, ha fatto sì che le aziende pubbliche non rispondessero più agli indirizzi della politica, determinando loro stesse le politiche dei governi, nazionali, regionali e comunali. E questo vale non solo per la produzione e distribuzione di energia a livello nazionale, ma per tutto il sistema dei servizi pubblici locali, dall’acqua ai rifiuti, soprattutto se lo strumento di gestione sono multiutility quotate in borsa.

Bisogna chiedere a Eni ed Enel che si facciano attori protagonisti della transizione, investendo ingenti risorse nelle energie rinnovabili. Cosa che fanno o sono costretti a fare all’estero. Investendo e creando lavoro di qualità lungo tutto il perimetro delle filiere del valore: sono socialmente e politicamente insopportabili i dislivelli retributivi e di diritti, a seconda che si sia collocati tra i lavoratori diretti o nelle catene degli appalti.

Energia e infrastrutture di comunicazione hanno la massima rilevanza geopolitica: le scelte italiane dovrebbero essere orientate a muoversi con un significativo margine di autonomia dal più becero atlantismo – quello di Gladio e dei rapporti con la mafia per intenderci - come seppero fare in alcuni casi i governi della prima Repubblica.

Certo non è semplice: al fondatore dell’Eni questo costò la vita. Occorre muoversi in un mondo multipolare: Russia e Cina debbono essere interlocutori e partner alla pari degli Usa. Francia e Germania già lo fanno da tempo, tra le altre. Il futuro è nelle energie rinnovabili, con un ruolo forte di attori riconvertiti come Eni ed Enel, e con una forte complementarietà di produzione e consumo di energie distribuite e autoprodotte.

Le comunità energetiche sono l’altra gamba di un sistema energetico verde, partecipato e democratico. Le nuove tecnologie informatiche e ingegneristiche permettono di strutturare reti efficienti di carattere orizzontale integrate e reti nazionali verticali, magari maggiormente consolidate e sottratte ad un pericoloso spezzatino.

 

La Cgil deve stare dentro questo scenario, con il protagonismo e la coerenza di un sindacato generale. Né più né meno di quanto abbiamo fatto nelle nostre migliori stagioni.

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