Raniero Panzieri, l’iniziatore della sinistra di cui abbiamo bisogno - di Paolo Ferrero

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Cento anni fa nasceva Raniero Panzieri. Il nostro ha avuto una discreta notorietà negli anni 70, conosciuto come il fondatore dei Quaderni Rossi e quindi come lo “scopritore” dell’operaio massa. Poi, con la sconfitta del movimento operaio alla fine degli anni ‘70, Panzieri è finito nel dimenticatoio, sepolto e rimosso con quella classe operaia di cui aveva – per primo - colto le potenzialità. Può quindi sembrare strano fare oggi un libro su Panzieri, una sorta di operazione fuori tempo massimo.

Le ragioni principali di questo libro sono tre. C’è una ragione storica, relativa alla memoria. Il movimento operaio non può vivere se non ha una prospettiva storica, se non ha una capacità di imparare dalla propria storia. Non siamo atomi incomunicanti, ma uomini e donne che si riconoscono simili ad altri uomini e donne che sono venute prima di noi e che verranno dopo di noi. Ricordare Panzieri ha quindi un valore in sé, ricostruisce una parte di questa nostra storia, dei tentativi di trasformare l’ordine delle cose esistente. Come ci ha insegnato Vittorio Foa, comprendere cosa è stato aiuta a porsi delle buone domande sull’oggi, aiuta a capire l’oggi.

In secondo luogo Panzieri è stata una figura esemplare nei suoi tratti di coerenza e rettitudine morale. In un mondo in cui la storia del movimento socialista e comunista viene presentato come una montagna di macerie, mi piace sottolineare come questo sia falso sotto il profilo politico e culturale ma anche sotto il piano umano: la storia del movimento operaio è fatta da bellissime figure di uomini e donne, che hanno saputo incarnare la lotta per la dignità non solo sul piano collettivo ma anche sul piano individuale.

In terzo luogo – ed è la ragione principale - ritengo che Panzieri sia portatore di idee che ci possono essere di grande aiuto oggi: la sua elaborazione va molto al di là delle mura scrostate della Mirafiori con cui viene invece identificato.

Per questo nel libro “Raniero Panzieri, l’iniziatore di un’altra sinistra” ho intrecciato la memoria di chi lo ha conosciuto con una riflessione sulla sua importanza e attualità teorica e di cultura politica. Dirigente politico in grado di passare dalla direzione delle lotte contadine in Sicilia alla codirezione di “Mondo operaio” e alla progettazione dell’inchiesta operaia alla Fiat, Panzieri è una figura troppo poco studiata e valorizzata.

La metà degli anni ‘50, sono stati caratterizzati dalla sconfitta operaia nelle grandi fabbriche e dal conclamato disastro dello stalinismo, con il XX congresso del Pcus nel 1956. In questa situazione che rischia di portarsi con sé tutto il movimento socialista e comunista, Panzieri ne esce in avanti, individuando una nuova strada per il movimento rivoluzionario. Lo fa tornando a Marx, sviluppando positivamente contraddizioni che il movimento socialista e comunista non aveva saputo risolvere, e soprattutto applicando il metodo di analisi marxista in forma creativa alla realtà del neocapitalismo. Panzieri individua così una terza via alternativa a stalinismo e socialdemocrazia, fondata sul protagonismo di massa dei soggetti sociali. Questa elaborazione rappresenta, a tutti gli effetti, un nuovo inizio, una strada ancora tutta da percorrere e da sviluppare.

Si pensi solo a tre nodi. In primo luogo la capacità di guardare dove gli altri non guardano. Quando iniziò l’inchiesta operaia alla Fiat nessuno avrebbe scommesso un bottone su quella situazione che appariva disperata. Eppure attraverso l’inchiesta operaia emersero i tratti caratteristici di una figura operaia che negli anni successivi avrebbe messo a soqquadro l’Italia. Saper guardare e investire forze dove gli altri non guardano, oggi, in un’epoca in cui la politica è ridotta ad immagine e sondaggi, è una grande lezione di metodo da riprendere. Serve l’inchiesta per tornare a capire le lavoratrici e i lavoratori: quale sfruttamento ma anche quali contraddizioni e aspettative si concentrano nel lavoro che occupa tanta parte della vita delle persone?

In secondo luogo, l’analisi delle nuove tecnologie e della nuova organizzazione del lavoro, demistificandone ogni presunta neutralità. Panzieri seppe vedere come la tecnologia e il macchinismo della grande impresa fordista inglobava e riproduceva i rapporti di potere capitalistici. Oggi demistificare come la rete riproduca in forma allargata rapporti gerarchici e di potere, in forme del tutto nuove ma non per questo meno cogenti, significa applicare la lezione di metodo di Panzieri. I rapporti sociali capitalistici non sono solo sovrastrutture “giuridiche” – anzi queste possono cambiare radicalmente e apparentemente puoi risultare un lavoratore autonomo – ma non per questo vengono meno i rapporti sociali di dominio e subordinazione che si riproducono con le tecnologie, l’organizzazione della rete, il mercato.

In terzo luogo l’individuazione di una “terza dimensione della politica” oltre a partito e sindacato. La crisi della rappresentanza politica e anche sindacale è oggi sotto gli occhi di tutti. Panzieri ragionò molto su questo tema, che intravedeva già nella metà degli anni ‘50 dopo la fiammata della Resistenza, delle lotte operaie e contadine dell’immediato dopoguerra. L’elaborazione consiliare di Panzieri, fondata sul controllo operaio – che ebbe un significativo inveramento negli anni ‘70 – va molto al di là della fabbrica fordista. Panzieri infatti individua una vera e propria nuova dimensione della politica, fondata sull’idea che “il proletariato educhi se stesso costruendo i propri istituti di partecipazione”. Questo nodo, che riguarda le forme attraverso cui i lavoratori e le lavoratrici possono costruire forme di aggregazione al fine di riconoscersi, costruire una propria soggettività ed esprimere un potere, è più attuale oggi che 60 anni fa.

Per ragioni di spazio non posso proseguire, ma i temi su cui Panzieri ha indicato un possibile nuovo inizio per il movimento operaio italiano sono tanti, e val la pena di farsi oggi interrogare. Questo nuovo inizio è rimasto finora largamente allo stato di potenzialità, perché il nostro ha avuto due “torti” assolutamente paradossali.

Il primo è di essere morto giovane, nel 1964 a soli 43 anni, nel pieno della sua maturità umana e intellettuale. Se fosse vissuto avrebbe potuto affinare il suo pensiero, sistematizzarlo, attraversare il conflitto dispiegato del ‘68-‘69 e degli anni settanta, giocare nella nuova fase un ruolo politico individuando strategie, interlocutori e avversari. Quando si muore giovani molte delle potenzialità restano tali e non si parla ma si è parlati. Panzieri è stato dipinto come il padre dell’operaismo quando con l’operaismo ideologico Panzieri ha rotto in modo chiaro. Farne emergere la ricchezza, andare oltre le evocazioni e cominciare a leggerlo mi parrebbe una buona cosa.

Il secondo torto di Panzieri è di aver avuto troppa ragione nell’analisi della fase in cui ha vissuto. L’aver contribuito in modo decisivo alla “scoperta” dell’operaio massa, l’aver scommesso sul suo potenziale antagonista quando ancora la pace sociale la faceva da padrona, l’aver individuato la proposta consiliare come base su cui sviluppare quell’antagonismo, l’aver individuato le caratteristiche di fondo della modernità del neocapitalismo senza cadere nel rischio della sua esaltazione, lo ha condannato all’identificazione totale con quella fase storica, con quelle fabbriche e quella classe operaia.

Così Panzieri è stato spesso rimosso e seppellito con l’operaio massa – l’operaio dequalificato di linea - che aveva contribuito a “scoprire”. A questi due torti siamo chiamati a porre mano, proseguendo la ricerca e valorizzando le intuizioni teoriche e politiche di Raniero Panzieri. Buona lettura.


Il libro “Raniero Panzieri, l’iniziatore dell’altra sinistra”, è in uscita per Shake edizioni il 12 marzo. Curato e introdotto da Paolo Ferrero, contiene una postfazione di Marco Revelli, una biografia ragionata di Panzieri e alcuni scritti di Franco Fortini curati da Luca Lenzini. La parte più consistente del volume è costituita da saggi e testimonianze di compagne e compagni che hanno conosciuto e frequentato Panzieri: Gianni Alasia, Luca Baranelli, Sergio Bologna, Giorgio Bouchard, Ester Fano, Pino Ferraris, Goffredo Fofi, Nando Giambra, Pinzi Giampiccoli, Dario e Liliana Lanzardo, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Cesare Pianciola, Vittorio Rieser, Pucci Saja Panzieri, Renato Solmi, Mario Tronti.

(320 pagine, 17 euro, è acquistabile scontato via internet scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

 

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