In difesa della sanità pubblica e per il suo miglioramento - di Alfonso Gianni

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Ivan Cavicchi, “La sinistra e la sanità. Da Bindi a Speranza e in mezzo una pandemia”, Castelvecchi, pagine 192, euro 13.50.

Che il pungente pamphlet di Ivan Cavicchi, “La sinistra e la sanità. Da Bindi a Speranza e in mezzo una pandemia”, abbia colto nel segno, lo si può dedurre anche da una frase pronunciata da Mario Draghi in una conferenza stampa dopo un decreto sui ristori: “Sul Mes occorre essere pragmatici, al momento il livello dei tassi è tale per cui prenderlo non è una priorità. Ma c’è un motivo più importante: il Mes è investito nella sanità, e quando avremo un piano per la sanità condiviso allora forse verrà il momento di chiedersi se vale la pena. Altrimenti prenderlo senza un piano significa buttare i soldi”.

Di evitare il ricorso al Mes abbiamo già parlato più volte e per ragioni non solo legate alla modestia dei risparmi sugli interessi. È soprattutto la seconda affermazione di Draghi ad attirare l’attenzione, perché rivela l’assenza di un piano per la sanità mentre sarebbe indispensabile, per evitare che le sovvenzioni e i soldi presi a prestito vengano del tutto sprecati.

Il piano che manca consiste in quella “quarta riforma” di cui ci parla Ivan Cavicchi nel suo libro, ovvero nel superamento in positivo e lungo la stessa ispirazione di fondo degli inevitabili limiti della riforma del 1978, la 833, nel solco della piena implementazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione. Cosa che le due leggi successive, la 502/92 e la 229/99 si sono ben guardate di fare. Anzi. Bisogna ribaltare quindi la logica privatizzatrice che oggi più che mai mette in pericolo la “nuda vita” delle persone.

La riforma del 1978 fu preceduta da un largo movimento, fatto di sindacati, di forze politiche, di intellettualità, di operatori in campo sanitario, di lavoratori, di “comunità scientifiche allargate” (cui ho fatto riferimento nella mia prefazione al libro di Cavicchi) che mutarono appunto i rapporti di forza sociali e politici, e oltrepassarono i confini dell’ordinamento giuridico preesistente, imponendo un nuovo concetto di salute. Come successe in Piemonte, grazie al ruolo di Ivar Oddone. Come successe a Milano, grazie alla presenza di Giulio Maccacaro e di un vivace movimento studentesco che seppe unirsi al movimento operaio sul tema della salute.

Il frutto della mobilitazione congiunta furono gli interventi nelle grandi e piccole fabbriche, specie della cintura milanese, con la formazione di gruppi operai di autogestione della salute (il più noto dei quali è quello della Montedison di Castellanza, con Luigi Mara); l’istituzione dei ‘Servizi di medicina dell’ambiente di lavoro’ (Smal) – una quindicina tra 1972 e 1974 - che fiancheggiavano quel movimento; la modifica del curriculum di studi della facoltà di medicina (obbligatorietà della medicina del lavoro con un nuovo programma concordato con la Camera del Lavoro); la legge regionale lombarda che istituiva un nuovo rapporto tra rappresentanze operaie e istituzioni dando vita a quelli che si chiamarono ‘Comitati sanitari di Zona’.

La pandemia in corso ha scoperchiato il vaso di pandora. Gli insopportabili vincoli della proprietà intellettuale, della brevettazione di un bene comune “sociale” come è un farmaco essenziale o salva-vita, categoria nella quale si devono includere i vaccini anti Covid, vanno assolutamente superati. Contro di essa si sono pronunciati appelli di autorevolissimi scienziati, ed è in corso una raccolta di firme per promuovere un’iniziativa dei cittadini europei (Ice), che imponga alle istituzioni europee una nuova legislazione in materia.

Mentre nel nostro Paese si sono rese evidenti tutte le aporie implicite nella frettolosa “riforma” del Titolo V della Costituzione, con l’esplodere del contrasto di competenze fra Stato e Regioni, che certamente verrebbe ancora peggiorato se dovessero andare in porto le proposte di “autonomia differenziata” portate avanti dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna.

Cavicchi chiama in causa la sinistra. Egli sa bene che il Pd non ne fa più parte e che una forza politica degna di quel nome oggi è divisa o ridotta a poca cosa. Ma se appunto vogliamo rigenerarla o costruirla da capo, convinti della sua indispensabilità per la giustizia sociale ed ambientale, bisogna farlo a partire da grandi problemi concreti. Quello della lotta alla pandemia, perché nessuna parte dell’umanità di questo globo terrestre rimanga priva dei vaccini, dei farmaci e dell’assistenza sanitaria indispensabile a garantire salute e vita. Quella della difesa e della riforma in melius del Servizio sanitario nazionale.

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