Primo Maggio e 25 Aprile, le nostre piazze - di Giacinto Botti

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Per il secondo anno le giornate di lotta, speranza, unità e democrazia dovremo viverle ancora nel pieno della pandemia. Giornate nelle quali, comunque, rinnoveremo gli ideali della lotta democratica e antifascista, di giustizia e solidarietà. Giornate di fratellanza internazionale del movimento dei lavoratori, per la pace, contro le aggressioni ai popoli, le guerre che continuano, in una lotta egemonica di vecchie e nuove grandi potenze, attraverso diversi strumenti, compresa la proprietà dei vaccini anti Covid.

Giornate non commemorative, ma di speranza e partecipazione individuale e collettiva, di impegno nella difesa di conquiste storiche mai definitivamente al sicuro. E per nuove conquiste, che rispondano ai cambiamenti nella società e nei bisogni materiali e culturali. C’è voglia di voltare pagina, di trarre insegnamento da quanto la pandemia ha evidenziato, a partire dalle gravi scelte di aver sacrificato stato sociale, ruolo pubblico in economia, sanità pubblica e Servizio sanitario nazionale, scuola pubblica, ricerca da parte dei governi, compresi quelli di centrosinistra. Bisogno e desiderio collettivo che nascono da solitudine, dolore, richiesta di sicurezza e solidarietà.

Occorre ridare concretezza al cambiamento, ridisegnare insieme un futuro migliore per tutte e tutti, nuove e vecchie generazioni. Occorre vincere, non solo sul piano economico e sociale, ma anche culturale e valoriale, percorrendo concretamente la strada disegnata nella Costituzione.

La Cgil può essere strumento di pensiero e di organizzazione, di lotta e di partecipazione, di unità e di rappresentanza del mondo del lavoro di ieri e di oggi. Una Cgil che rialzi lo sguardo, che parli di immigrazioni, guerre, diritti universali, costruzione dell’Europa solidale e dei popoli, piena affermazione del ruolo e dei diritti delle donne, tassazione delle grandi ricchezze. Senza inseguire regionalismi e corporativismi, e sfuggendo i richiami della “unità nazionale” per l’uscita dalla crisi.

In questi 25 Aprile e Primo Maggio si rinnova lo scontro di classe, antico ma attuale, tra chi ha nei suoi progetti l’utopia del possibile, chi la conservazione di potere e ricchezza. La nostra opzione è salvare il pianeta, i popoli e non certo il capitale. Sconfiggere il virus pandemico e quello dello sfruttamento del pianeta e delle persone.

Dalla tragedia, non certo una calamità naturale, si esce migliori solo cambiando paradigma, mettendo in discussione il modello di crescita, accumulazione e redistribuzione della ricchezza, il sistema capitalistico che distrugge l’ambiente, sfrutta le persone, privatizza il bene comune e pubblico, mette il profitto e il mercato, anche nella pandemia, davanti al diritto alla vita e alla salute delle persone.

Nulla è scontato, né ci sarà regalato. Il desiderio diffuso di più democrazia, giustizia e diritti sociali, eguaglianza nelle possibilità, lavoro con dignità dovremo conquistarcelo con le nostre idee, le nostre lotte, la nostra determinazione.

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Nelle pieghe delle quasi quotidiane manifestazioni di lavoratrici e lavoratori Alitalia, rafforzate dalle proteste dell’intero settore del trasporto aereo messo in ginocchio dalla pandemia, il leghista Giancarlo Giorgetti ha finito per cedere alle richieste sindacali di tavoli istituzionali di confronto. “Il ministro Giorgetti ha preso l’impegno ad aprire un tavolo sul trasporto aereo - spiega il segretario della Filt Cgil, Fabrizio Cuscito – mentre su Alitalia ha detto che si farà promotore di un tavolo interministeriale, una questione più complicata perché devono essere coinvolti quattro ministeri”. Nel mentre i rapporti fra il governo italiano e la Commissione europea sono diventati, sul caso Alitalia, piuttosto difficili. Questo perché, avvertono da Bruxelles, le domande poste in merito al progetto della newco Ita sono rimaste fin qui senza risposta, e i nodi da sciogliere sulla discontinuità della nuova azienda rispetto ad Alitalia restano il perimetro aziendale e la riduzione degli asset, del personale e degli slot aeroportuali.

Il problema è che le richieste dell’Ue porterebbero a una newco che nascerebbe con un altro marchio, rinunciando anche al codice Az. Un taglio che potrebbe costare fino a 500 milioni fra mancate entrate e spese di marketing, dicono gli addetti ai lavori. Poi a dimezzare gli slot su Linate e perderne ulteriori in altri aeroporti, da cedere ai concorrenti. Infine ad una compagnia di soli 45 aerei, con al massimo 3.500 dipendenti, con i servizi a terra di Fiumicino (oltre 3mila) e la manutenzione (un migliaio) sul mercato, e un totale di 7.500 “esuberi” fra lavoratori e lavoratrici. Uno scenario che anche gli apostoli del “libero mercato”, che rimarcano sempre i 12 miliardi pubblici spesi per sostenere la compagnia e i tanti anni di cig dei lavoratori, giudicano senza prospettiva alcuna. Se non quella di finire rapidamente in bocca ai big player continentali. 

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Pieno successo dello sciopero nazionale della logistica - di Luca Benedetti

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Rimuovere le pretese padronali, per un contratto di valorizzazione salariale e di nuovi diritti.  

Primavera calda per la logistica e il trasporto merci. Il 29 marzo è stata un’importante giornata di lotta e di mobilitazione per l’intero comparto. I lavoratori hanno infatti incrociato le braccia nel giorno in cui Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno proclamato lo sciopero nazionale dell’intero settore per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Il risultato e l’adesione sono stati straordinari oltre che sorprendenti, tenendo in considerazione che la proclamazione era avvenuta soltanto dieci giorni prima.

I lavoratori hanno risposto massicciamente alla chiamata delle organizzazioni sindacali, fermando per un giorno la movimentazione delle merci nell’intero Paese. Un segnale importante che dovrà essere tenuto in considerazione dalle associazioni datoriali, che in un anno di trattativa, già resa difficile dalla pandemia, sono state soltanto capaci di porre sul tavolo di trattativa proposte finalizzate alla riduzione del costo del lavoro, e contemporaneamente formulare richieste inique e irricevibili, tese esclusivamente a ottenere ulteriore flessibilità.

Precarizzazione del mercato del lavoro, abolizione degli scatti di anzianità, riduzione delle giornate di ferie e permessi retribuiti, abolizione del pagamento delle festività, impoverimento della clausola sociale messa a garanzia dell’occupazione e del reddito. Queste sono soltanto alcune delle rivendicazioni fatte dalle controparti, le quali al contempo non hanno accolto nessuna delle richieste sindacali, sia sulla parte normativa che su quella economica.

I lavoratori della logistica, come più volte ribadito, sono stati più che mai indispensabili nel corso dell’ultimo anno, consentendo alle imprese continuità nell’attività, garantendo i rifornimenti dei beni di prima necessità e di consumo a tutta la popolazione, anche a rischio della personale incolumità. Per questo le pretese datoriali sono risultate ancor più vergognose ed offensive.

Con lo sciopero si chiede che le richieste padronali vengano rimosse dalla discussione, aprendo almeno alla possibilità di un rinnovo della parte economica, che dovrà necessariamente essere congrua rispetto allo sforzo fatto dai lavoratori. Non è accettabile che un settore che ha visto nell’ultimo anno crescere i propri utili in maniera evidente, non sia in grado di garantire ai lavoratori un aumento salariale equo e dignitoso.

E’ un mondo in continua trasformazione, dove parallelamente al costante aumento dei flussi e dei volumi delle merci trasportate, oltre che dei fatturati delle aziende, si assiste ad un inarrestabile processo di digitalizzazione e automatizzazione dei processi. Da qui la necessità di affrontare questo rinnovo contrattuale con spirito innovativo, capace di dare risposte alle esigenze dei lavoratori, coniugandole con i mutamenti in atto, al fine di governare il cambiamento in atto.

Non è più rinviabile il riconoscimento dei nuovi profili professionali venutisi a creare per via di questa rivoluzione, e non ancora contemplati nelle declaratorie dei livelli di inquadramento contrattuali. Si dovranno inoltre realizzare specifici percorsi formativi, per garantire a lavoratrici e lavoratori le competenze necessarie per affrontare le nuove professionalità. Così come molto c’è ancora da fare nel settore della cooperazione, dove ancora permangono troppi ostacoli per il conseguimento di una completa equiparazione economica e dei diritti tra soci lavoratori e dipendenti.

Lo stato di cose che si è venuto a creare per via della ingiustificabile rigidità delle associazioni datoriali e delle aziende del settore ha di fatto bloccato il rinnovo contrattuale, in un momento in cui, mai come prima, si avverte la necessità impellente di regole e garanzie nuove per i lavoratori.

Se si dovesse chiudere la partita con un semplice rinnovo della parte economica, rimandando i temi della discussione a un futuro le cui tempistiche sono ad oggi non definibili con certezza, sarebbe per tutti un’occasione persa per porre precise norme a governo del settore e tutela dei lavoratori.

Lavoratori agricoli: “Da essenziali a dimenticati” - di Giosuè Mattei

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Continua la mobilitazione con lo sciopero nazionale del 30 aprile. 

Ilavoratori agricoli e braccianti stagionali, i florovivaisti e i lavoratori e le lavoratrici degli agriturismi, nel silenzio generale, hanno pagato un prezzo altissimo in questa crisi pandemica che dura da oltre un anno. Nonostante ciò il settore agricolo, anello primario della filiera agro alimentare, non si è mai fermato, garantendo la raccolta e la trasformazione dei prodotti che hanno riempito gli scaffali dei supermercati per poi giungere nelle nostre tavole.

“Da essenziali a dimenticati” recita uno dei nostri slogan. Essenziali perché quando questo virus sconosciuto mieteva vittime, e molte fabbriche si fermavano o venivano messe in sicurezza con i protocolli aziendali, questi lavoratori hanno continuato a lavorare silenziosamente e spesso in condizioni di sicurezza sanitaria pessime o nulle. Solo grazie all’intervento sindacale si è riusciti a stipulare protocolli provinciali per mettere in sicurezza anche questo settore.

“Dimenticati”, hanno urlato i lavoratori nei presidi organizzati dalla Flai Cgil, insieme alle altre sigle sindacali, davanti alle prefetture delle sette provincie venete il 10 aprile scorso, così come qualche giorno prima le strutture nazionali avevano manifestato con i lavoratori e le lavoratrici davanti al Senato, per denunciare pubblicamente la discriminazione perpetrata nei confronti di questi lavoratori già vulnerabili, ed esposti più di altri a molteplici forme di sfruttamento e senza un ammortizzatore sociale in caso di perdita del lavoro. Discriminazione e smemoratezza degli ultimi due governi che, da maggio 2020 in poi, ha escluso questi lavoratori da ogni forma di sostegno e ristoro per chi ha lavorato poco e nulla l’anno scorso e in questo scorcio di 2021.

Qualcuno potrebbe pensare e affermare che il settore non si è mai fermato durante la pandemia. Senza però comprendere che ci sono stati migliaia di lavoratori stagionali stranieri che, nel 2020 e nel 2021, sono rimasti bloccati per lunghi periodi nel loro paese di origine e che sono potuti tornare in Italia solo ad estate inoltrata, perdendo di fatto due cicli stagionali. Oppure le lavoratrici e i lavoratori degli agriturismi che sostanzialmente hanno lavorato solo quattro mesi nel 2020, e neppure un giorno nel 2021. Oppure il settore del florovivaismo, fermatosi a causa dell’azzeramento degli eventi.

Per questi lavoratori stagionali c’è stato il danno di aver perso reddito, ma anche la beffa perché avranno una diminuzione anche dell’integrazione al reddito della disoccupazione agricola. Per cui se è vero che vogliamo unire il mondo del lavoro, uniamoci tutti a questa battaglia di uguaglianza per questi lavoratori che non chiedono sussistenza ma pari dignità, considerazione e rispetto come le altre categorie di lavoratori. Lavoratori del settore a tempo indeterminato che non hanno nessun ammortizzatore sociale in caso di perdita del posto di lavoro, perché tagliati fuori dalla Naspi, per la quale chiediamo un ammortizzatore sociale universale per il settore.

Infine tornano ciclicamente in auge i voucher, a cui diciamo un “No” fermo e determinato. No all’uso dei voucher in agricoltura, che una parte della politica vorrebbe riproporre su assist delle associazioni datoriali agricole. Questo vorrebbe dire riportare le lancette a qualche anno fa, quando i voucher erano il veicolo dello sfruttamento lavorativo nella sua massima espressione.

Ebbene, uniamoci alla lotta di questi lavoratori e lavoratrici che il 30 aprile scioperano in tutto il territorio nazionale, e diciamo allo Stato che per una volta non si sottragga dalle proprie responsabilità verso questi lavoratori. Altrimenti vorrebbe dire ancora una volta abdicare, consegnando agli sfruttatori di braccia, caporali e faccendieri un vuoto che questi criminali sanno benissimo come colmare.

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