- Redazione
- 2021
- Numero 21 - 2021
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Nel nostro Paese i salari sono i più bassi, e l’orario di lavoro il più lungo, la disoccupazione, la precarietà di vita e di lavoro dei giovani sono fuori controllo, abbiamo un numero spaventoso di infortuni mortali e di malattie professionali, il lavoro nero e schiavizzato non sono contrastati, i diritti sociali e civili arretrato, l’elusione e l’evasione fiscale raggiungono cifre da capogiro. Il nostro territorio è saccheggiato dalle continue speculazioni, l’inquinamento è a livello di guardia, l’utilizzo delle fonti fossili non si riduce in tempi utili. La transizione ecologica e ambientale non trova concretezza.
Nel frattempo è in atto una pericolosa involuzione democratica fondata sul mancato rispetto del ruolo del Parlamento e del dettato costituzionale, persino nel dibattito sull’elezione e i tempi dell’incarico del prossimo Presidente della Repubblica. E in questa realtà sociale e politica il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si fa beffe del sindacato e del mondo del lavoro.
Il governo dei “migliori” e di una falsa “unità nazionale”, del presidente banchiere tecnocrate solo al comando, ha già convenuto con l’Europa e i partiti la quantità e la destinazione delle risorse, circa 30 miliardi di euro, di una legge di bilancio che, a differenza di altre, dovrebbe essere equa e distributiva. Non lo sarà, vista la continuità con il passato e la scarsezza di risorse per il mondo del lavoro rispetto alle richieste del sindacato.
I piccoli aggiustamenti saranno più di facciata che di sostanza, e non cambieranno la natura e l’indirizzo politico e sociale della legge di bilancio.
Dall’incontro del 16 novembre tra sindacato e governo, dopo che Cgil Cisl Uil hanno riproposto le richieste contenute nelle piattaforme unitarie, è uscito molto fumo e poca sostanza: solo l’impegno ad aprire nuovi tavoli di confronto, mentre la legge di bilancio si avvia ormai verso l’approvazione, con il possibile ennesimo ricorso al voto di fiducia, dentro un patto politico nell’esecutivo, in un Parlamento svuotato di ruolo.
Dopo oltre sei mesi di richieste al governo di un reale confronto di merito sulla legge di bilancio e sulle emergenze del Paese, il presidente del Consiglio fa l’illusionista. Rimanda ancora, come se i tempi fossero illimitati e non urgenti, impegnandosi a un ruolo attivo su alcuni temi - cosa significhi non è dato sapere - e all’apertura di tavoli di confronto sulle questioni più rilevanti, dalla previdenza ai temi fiscali. Si “impegna” pure a un secondo tavolo di riforma della legge Monti-Fornero, da collocare nei primi giorni di dicembre. Coerenza e correttezza vorrebbero che ciò avvenisse a bocce ferme, e non con la cancellazione della pur imperfetta quota 100 sulle pensioni, come gli hanno chiesto Confindustria e i mercati. In sostanza una vacua disponibilità al confronto, peraltro frutto del timido avvio della mobilitazione sindacale.
Insomma rinvii, promesse prive di concretezza, e la richiesta del governo di non proclamare lo sciopero, in cambio di una disponibilità al confronto che cerchiamo e non otteniamo da tempo.
In compenso, a fronte della promessa di “riformare” la legge Fornero, si procede introducendo quota 102, un’elemosina sul futuro dei giovani, sulla precarietà di vita e di lavoro, con una spiccata spinta verso la privatizzazione e il terzo settore. Poco o nulla sulla sanità pubblica, sulla pandemia e la scarsità di personale che sta mettendo ancora in crisi il sistema di prevenzione e di cura, sulla scuola e l’istruzione pubblica e sui rinnovi dei contratti; nulla sugli ammortizzatori sociali, se non una certa propensione verso le proposte padronali di scaricarne i costi sul sistema fiscale. Degli 8 miliardi a disposizione per la riduzione delle tasse, governo e partiti vogliono che una parte consistente non vada verso le buste paga dei lavoratori ma, ancora, verso le imprese e le varie corporazioni.
Il tempo dei rinvii e delle illusioni dovrebbe essere finito per tutti! E dovrebbe essere finita, almeno per il sindacato, la falsa teoria dei due tempi. Senza cambiamento del paradigma, della visione, ci sono solo i “bla bla bla”, come alla Cop26 sul clima.
Siamo sindacalisti della Cgil e di sinistra, conosciamo il valore della mediazione, ma sappiamo intuire quando c’è puzza di bruciato. Non abbiamo bisogno di veri o falsi economisti per capire che la prospettiva teorica nella quale si colloca la legge di bilancio non ha come obiettivo il cambiamento ma la conservazione, la continuità neoliberista, la “modernizzazione” dell’attuale modello di sviluppo e di produzione, il mantenimento degli attuali rapporti di potere e di forza tra le classi, senza una vera redistribuzione della ricchezza se non attraverso l’elemosina, o l’utilizzo di un terzo settore sempre più alternativo al servizio pubblico.
Se non sapremo contrastare questa continuità, teorica e pratica, con il passato, anche sul fronte culturale e valoriale, se non ritorneremo nei luoghi di lavoro con più assiduità e continuità, se non costruiremo e metteremo in campo, con la mobilitazione e lo sciopero generale, la forza, la rappresentanza e il valore del mondo del lavoro, rischiamo di uscire dalla pandemia e dalla crisi economica e sociale non con un radicale cambiamento, richiesto prima di tutti dalla Cgil, ma peggio di come ci siamo entrati, nonostante le ingenti risorse del Pnrr.
Siamo per natura realisti, ma sempre con l’ottimismo della volontà; siamo e rimaniamo sindacalisti non rassegnati e in lotta. La Cgil deve utilizzare al meglio il consenso e la fiducia di chi rappresenta e dell’insieme del mondo del lavoro, sapendo che le battaglie perse per sempre sono quelle non combattute. Per questo, per il nostro futuro e quello delle nuove generazioni, le battaglie vanno sempre combattute.
Ai confini della Fortezza Europa si consuma l’ennesima tragedia umanitaria. Poche migliaia di profughi afghani, siriani, iracheni sono usati cinicamente come “arma ibrida” dal dittatore Lukashenko e respinti violentemente dall’autocrate polacco Morawiecki. Unanimi le condanne delle istituzioni continentali. Ma perché mai il presidente bielorusso non potrebbe ricattare l’Unione europea, come invece fanno impunemente l’ “utile dittatore” Erdogan (la definizione è di Mario Draghi) o le milizie libiche travestite da guardia costiera (grazie a mezzi e finanziamenti italiani)?
A ben vedere è la cinica “politica migratoria” europea, con l’esternalizzazione delle frontiere (alla faccia del sovranismo) a rendere ricattabile l’Ue. Eppure la crisi si risolverebbe in un minuto accogliendo i profughi, nel rispetto del diritto internazionale. Profughi che sono solo una piccola parte di quelli che arriveranno alle nostre frontiere, a causa delle “nostre” guerre e per gli esiti catastrofici dei cambiamenti climatici.
Del resto, come era prevedibile, l’accordo sul clima alla Cop26 è aria fritta. Un fallimento, con le colpe scaricate al solito sulla Cina e ora anche sull’India. Come se i paesi più ricchi, in testa gli Usa - primi produttori di Co2 per abitante - e l’Europa non avessero le più gravi responsabilità per le loro politiche di sviluppo e di consumo. Per un modello capitalistico di crescita, squilibrata e ingiusta, fondato sull’energia fossile e sul nucleare, sull’accumulazione e sulla depredazione e lo sfruttamento dei paesi poveri, da cui arrivano i profughi. Un corto circuito esiziale.
Ne consegue che nell’economia, globale e interdipendente, sono i modelli di sviluppo a dover essere modificati, insieme alle relazioni e agli equilibri tra Stati e nazioni, tra paesi poveri e paesi ricchi. Tra chi accumula ricchezze e chi entra in povertà. Non c’è più tempo per una lunga transizione, occorrerebbe una svolta radicale. Sempre però richiamata a vuoto.
Idati, come i fatti, hanno la testa dura. Gli ultimi dati dell’Inail sul settore edile purtroppo parlano chiaro: ai primi di ottobre 2021 nelle costruzioni si è registrato un numero di infortuni mortali pari quasi al totale dell’intero anno precedente, una vittima ogni 48 ore, una strage che continua. Con un problema in più, legato agli infortuni dei lavoratori con un’anzianità elevata: il 30% degli infortuni ha coinvolto lavoratori over 50, il 13% over 55; il 70% delle malattie professionali colpisce lavoratori tra i 50 e i 64 anni e l’11% gli over 65; un incidente mortale su quattro riguarda gli edili over 55.
Sicurezza sul lavoro, lotta alla precarietà del lavoro, regole negli appalti, pensioni nel settore delle costruzioni: quattro temi che si tengono fra loro e sono al centro dell’iniziativa della Fillea e della Cgil.
Da un lato abbiamo investimenti importanti nelle opere pubbliche e nelle infrastrutture, anche con le significative risorse del Pnrr, dall’altro i provvedimenti fiscali, dal bonus facciate e ristrutturazioni, fino al bonus del 110% sull’efficientamento energetico.
Il lavoro è ripartito, le ore di lavoro sono in aumento, dopo anni le imprese edili cercano nuovi lavoratori da assumere e spesso non li trovano già professionalizzati, mettendo in evidenza le difficoltà già registrate nelle scuole Edili, con meno iscrizioni e quindi meno risorse e progettualità. Permangono vecchi e pericolosi vizi, il proliferare di subappalti, l’utilizzo di contratti di lavoro che nulla hanno a che fare con l’edilizia e con le regole sulla sicurezza sul lavoro, permane la frammentazione aziendale e il nanismo delle imprese.
La manifestazione nazionale dello scorso 13 novembre a Roma, #BastaMortiSulLavoro, organizzata da Fillea Cgil, Feneal Uil e Filca Cisl, con gli interventi dei segretari generali delle confederazioni, ha confermato le richieste e gli obiettivi della categoria.
Si tratta di accelerare sugli impegni presi dal governo per introdurre l’immediata sospensione dell’impresa a fronte di una segnalazione di mancata sicurezza; istituire una banca dati unica sugli infortuni; assumere immediatamente ulteriori ispettori e tecnici della prevenzione. Servono almeno 8mila assunzioni, tra Ispettorati del Lavoro, Aziende sanitarie territoriali e Medicina del lavoro. Poi introduzione della patente a punti sulla sicurezza nel settore delle costruzioni, prevista già dall’articolo 27 del Testo unico sulla sicurezza; un Piano straordinario dell’Inail specifico per i cantieri con assunzioni mirate e collaborando con gli enti bilaterali del settore come i Cpt e con gli Rlst del settore. Infine riconoscere la pensione anticipata ai lavoratori delle costruzioni e dell’industria estrattiva e delle lavorazioni più pesanti, perché “i lavori non sono tutti uguali”; e garantire l’applicazione del Ccnl edile a tutti i lavoratori in cantiere, con le specifiche che il contratto prevede su salute e sicurezza.
La partecipata manifestazione di Roma, con un eco significativa sui media, ha rilanciato la piattaforma, ma dovremo tutti tradurla in pratica a partire dalle normali condizioni di lavoro, e dal controllo dell’organizzazione del lavoro e degli orari nei cantieri.
E’ un percorso, il nostro, che si tiene con altri risultati realizzati in questi mesi nel settore. Nel nostro Paese il problema spesso è l’applicazione di tutele già definite: infatti dal primo novembre scorso è in vigore il “Durc di congruità”, già previsto dalla legge 120/2020 e dal Codice degli appalti. Uno strumento forte, che potrà fare emergere salari e contributi previdenziali tanto nell’edilizia pubblica che in quella privata. La Fillea ipotizza circa 2 miliardi di euro per oltre 75mila lavoratori all’anno. Sarà obbligatorio per tutte le imprese che parteciperanno ad appalti e gare di lavori pubblici per qualsivoglia importo e per tutte le opere edili private oltre 70mila euro.
Il Durc di congruità, semplificando, è la certificazione con cui l’azienda dichiara - per uno specifico lavoro e per uno specifico importo - il numero minimo e “congruo” di lavoratori impegnati, definiti dal decreto ministeriale che ha recepito l’accordo tra i sindacati e tutte le associazioni datoriali del settore. L’intento è quello di coerenza tra gli appalti di opere e i dati occupazionali: quante volte abbiamo visto appalti milionari aggiudicati con la logica del massimo ribasso e dove sulla carta erano impegnati un pugno di lavoratori regolari.
Si ampliano le disposizioni sul sub appalto (decreto semplificazioni 2021) che riconoscono parità di tutele economiche e normative, e applicazione dello stesso Ccnl tra lavoratori dell’appaltatore e lavoratori del sub appaltatore.
Due tappe importanti, che la Fillea ha convintamente condiviso e praticato sul versante delle regole che dovremo presidiare con attenzione per far vivere i diritti nel settore edile, fragile e sempre a rischio sul versante dei diritti e della sicurezza del lavoro.
“Risposte!”. La parola campeggiava a lettere cubitali sul maxischermo dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma, dove si sono riuniti, lo scorso 17 novembre, un migliaio di pensionati e pensionate di Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp provenienti da tutta Italia, nel secondo appuntamento nazionale della mobilitazione unitaria, dopo quello degli edili. Ma mentre le domande sono chiare e note da tempo, le risposte al momento non arrivano.
Per coincidenza, l’assemblea nazionale dei pensionati si è svolta all’indomani dell’incontro fra Mario Draghi e i segretari generali di Cgil Cisl Uil che - intervenuti nel dibattito – hanno raccontato il loro punto di vista sull’incontro del giorno precedente. Ammettendo - con toni e argomentazioni anche diverse - che il confronto non abbia prodotto modifiche della legge di bilancio che ha iniziato da pochi giorni il suo iter parlamentare. Ma ha prodotto il risultato, comunque apprezzato come primo frutto della mobilitazione, dell’impegno alla convocazione di due tavoli sulla riforma della Fornero e sul fisco. Esplicito Bombardieri, segretario generale della Uil, sui “tempi lunghi della lotta”: il tavolo sulla riforma delle pensioni, da tutti definita come “strutturale”, è traguardato al prossimo Documento di Economia e Finanza (Def), a fine aprile 2022.
E’ difficile non constatare un certo iato tra l’analisi della situazione, l’illustrazione delle piattaforme dei pensionati e confederale, presenti in tutti gli interventi, e i tempi e le modalità della mobilitazione mai indicati esplicitamente.
Assenti due dei tre segretari generali dei pensionati (il compagno Ivan Pedretti per il grave lutto della scomparsa del fratello, cogliamo l’occasione per le nostre condoglianze e la nostra vicinanza; il segretario generale della Fnp, Piero Ragazzini, colpito da un malore, a cui auguriamo una pronta e piena ripresa), è toccato a Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uilp, non sappiamo quanto consapevolmente, dire un’importante verità: “I lavoratori ci rimproverano non le battaglie perse, ma quelle non fatte!”. Forse memore della mancata mobilitazione contro la legge Fornero, certo in un frangente e in un contesto a dir poco eccezionali.
Le richieste della piattaforma dei pensionati – quelle, appunto, che attendono risposte – sono state ribadite dalla relazione introduttiva (doveva farla Ragazzini, l’ha letta la segretaria Fnp Patrizia Volponi), dagli interventi di sei segretari regionali (due per organizzazione) e dalle conclusioni di Stefano Landini dello Spi. È intervenuto anche il segretario generale della Ferpa, Agostino Siciliano, che ha ripreso il “Manifesto” della federazione europea dei pensionati, approvato nella recente assemblea di metà mandato, e distribuito ai presenti in un’elegante brochure curata da Spi, Fnp e Uilp.
Come noto, i sindacati dei pensionati rivendicano da tempo interventi a sostegno del potere d’acquisto delle pensioni, con un sistema più equo di rivalutazione come quello definito nel 2000, e richiedono l’allargamento della platea dei beneficiari della cosiddetta 14esima, oggi limitata alle pensioni più basse. Sulla sanità, benché si apprezzi l’aumento del Fondo, si rimarca la necessità di una riforma complessiva del Servizio sanitario nazionale, maggiormente incentrata su territorialità e domiciliarità, e superando la situazione di attuale frammentazione in venti sistemi sanitari regionali, che non garantiscono l’effettiva parità di diritti su tutto il territorio nazionale.
Inoltre la piattaforma unitaria da tempo rivendica l’emanazione di una legge quadro nazionale sulla non autosufficienza, chiedendo che la legge di bilancio non si limiti ad un pur apprezzabile aumento del fondo nazionale, ma veda finalmente la legge come uno dei provvedimenti collegati. Per quanto riguarda le tasse, c’è la richiesta di un’unificazione dei trattamenti con il lavoro dipendente, che ha giustamente diritto a detrazioni oggi non godute dai pensionati.
Se queste sono le rivendicazioni specifiche dei pensionati, forte è chiaro è il sostegno alla piattaforma confederale, in particolare per quanto riguarda la riforma strutturale della Fornero, con la pensione contributiva di garanzia per i giovani e il riconoscimento del lavoro di cura, in particolare per le donne, e la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni, e alle richieste di una più generale riforma fiscale. Unanime – come hanno ribadito i tre segretari generali confederali – la rivendicazione che gli 8 miliardi previsti in legge di bilancio per il fisco vadano tutti per la riduzione delle tasse sul lavoro e sulle pensioni, escludendo assolutamente un taglio dell’Irap, che costituirebbe oltretutto un ulteriore attacco al finanziamento del Sistema sanitario nazionale.
A dispetto della formula stanziale e “convegnistica”, le pensionate e i pensionati – felici di questa prima occasione di riunirsi fisicamente dopo tanto tempo – hanno dimostrato la consueta combattività. Spetta ora alle confederazioni indicare un percorso di mobilitazione efficace e tempestiva.