Cerealia, non si vive di solo pane - di Frida Nacinovich

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Sono buoni come il pane, ma non ne approfittate. Marius Costache è arrivato fino a Roma, sotto la sede di Federpanificatori, per chiedere il rinnovo di un contratto che slitta da tre anni. Circondato dalle rosse bandiere della Flai Cgil allarga le braccia, come a dire: “Non è possibile”. Loro, i panificatori, sono costretti a una vertenza che ha dell’incredibile. “Il nostro contratto nazionale di lavoro era già scaduto prima della pandemia. Poi è arrivato il virus, ma per il nostro lavoro non è cambiato nulla, a parte i rischi per la salute che sono aumentati”. Tradotto: a lavoro ogni notte per continuare a sfornare pane, pizza, schiacciate. Insomma tutto quello che allieta quotidianamente le tavole delle famiglie italiane.

I panificatori - un tempo si chiamavano fornai - si aspettavano quantomeno un po’ di riconoscenza, leggi il rinnovo di un contratto scaduto, appunto, da tre anni. Invece no, le associazioni datoriali - un tempo si chiamavano padroni - hanno cominciato e continuano a fare melina. Cornuti e mazziati, si direbbe a Napoli. Così hanno fatto sentire la loro voce con una protesta composta, lo sciopero degli straordinari e della flessibilità degli orari, e una doppia manifestazione davanti alla sede di Federpanificatori e vicino alla sede di Fiesa Confesercenti.

Il tavolo di confronto con Federpanificatori è fermo da quattro mesi. L’altro, nonostante otto incontri, non ha portato ad alcun risultato concreto. Per questo Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil hanno deciso di proseguire con lo stato di agitazione.

Il mancato rinnovo del contratto nazionale Panificazione lascia senza tutele proprio chi nei difficilissimi mesi di lockdown ha comunque garantito ogni giorno la produzione del pane. “Bisogna dare giusti diritti a tutte le lavoratrici e i lavoratori - sottolinea Costache - a partire dal salario, dalla salute e sicurezza e dalla formazione”.

Nel comparto ci sono 80mila addetti e 25mila aziende. Si tratta di una delle realtà più importanti del settore dell’agroindustria, bandiera del made in Italy nel mondo.

Emigrato dalla Romania, Costache è da sedici anni dipendente di Cerealia, un marchio che i clienti Coop conoscono bene, come garanzia di bontà e di genuinità. Ormai italiano a tutti gli effetti, racconta di essere arrivato nel belpaese quando aveva poco più di vent’anni, scommettendo su se stesso e con una certezza: “Volevo venire qui, e vivere in un paese definito dall’Unesco come lo scrigno in cui è conservato l’80% dei beni artistici e architettonici dell’intero pianeta”.

Da un anno lavora a Castelfiorentino, deliziosa cittadina della provincia di Firenze, incastonata nel comprensorio dell’Empolese Valdelsa. “Prima la sede di Cerealia era a Montaione, circa quindici chilometri da qui”. Un altro paese magico, disseminato di vigne, piccola miniera d’oro per i cercatori di funghi e tartufi, con l’ulteriore particolarità di dare il nome a un tipo di pane, il pane di Montaione, fra i più buoni dell’intera Toscana. “Di un trasferimento dell’azienda si era iniziato a parlare nel 2011 - racconta – per motivi logistici, perché arrivare e ripartire da Montaione è più complicato che muoversi da Castelfiorentino. Ci sono voluti nove anni perché Unicoop Firenze ultimasse il trasloco”.

Un passaggio obbligato per una delle ditte più longeve del territorio, nata nel 1957 per volontà di Gino Tognetti, settima generazione di montaionesi doc. Fu lui a rilevare un negozio di alimentari che aveva, pensate, anche un forno a legna. Dai cento chili di pane sfornato ogni giorno si passò in breve a moltiplicare la produzione, fino ad arrivare, negli anni d’oro, a 300 quintali ogni ventiquattr’ore.

Alla fine l’impresa di Tognetti fu acquistata da quel colosso della grande distribuzione organizzata che è Unicoop Firenze. E Cerealia ha mantenuto nel tempo quelle caratteristiche che da più di sessant’anni i toscani ben conoscono: qualità e genuinità nel segno di vecchie, tradizionali lavorazioni che lasciano intatti profumi e sapori. Una ricaduta sul territorio di Castelfiorentino pari a 25 milioni di euro e che vede Cerealia, dalla sua fondazione con questo nome nel 2011, dare lavoro a una novantina di persone, cui vanno aggiunti gli interinali, le cooperative in appalto, le ditte di trasporto. Un microcosmo perfettamente organizzato, indispensabile per rifornire le famiglie dell’alimento che non può mancare sulle tavole della penisola.

I panificatori fanno un lavoro molto faticoso, che prevede sveglia prima dell’alba e ore passate ad impastare e infornare il pane, sette giorni su sette. Costache è in Cerealia dal 2006, quando ancora la fabbrica era a Montaione e di proprietà dei Tognetti, Unicoop Firenze arriverà nel 2011. “Lo spostamento a Castelfiorentino è stato un cambiamento totale, ci siamo di colpo trovati in uno stabilimento all’avanguardia, ipertecnologico, digitalizzato”. Un ponte verso il futuro. La produzione non si ferma mai, si lavora a ciclo continuo, h24. I lavoratori ricordano il vecchio, inossidabile slogan ‘vogliamo il pane e anche le rose’. Loro il pane ce l’hanno, vogliono il contratto.

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