Controinchiesta sul fallimento della sanità lombarda di fronte alla pandemia - di Gian Marco Martignoni

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Vittorio Agnoletto, Senza respiro, Altraeconomia, pagine 237, euro 12.

Nella scorsa primavera non è andata bene come in molti si auguravano anche in forme e manifestazioni colorate. L’inarrestabile susseguirsi delle morti ha generato una forte indignazione di massa e la nascita di un Comitato “Noi denunceremo”, a partire dal territorio di Bergamo, che grazie a 150 testimonianze raccolte ha richiesto l’apertura di una indagine da parte della magistratura. Una iniziativa meritoria, se si considera che l’epicentro della pandemia è stata quella Lombardia, in cui la messa in concorrenza del privato con il pubblico si è tramutata nel fallimento dell’eccellenza di quel sistema sanitario regionale. Un’eccellenza rivendicata, nonostante tutto, dall’ineffabile presidente Attilio Fontana sul Corriere della Sera del 22 dicembre scorso.

Senza però aspettare il responso della magistratura, mette il dito nella piaga l’ottimo libro “Senza Respiro” di Vittorio Agnoletto, che, oltre ad essere medico del lavoro, è anche il conduttore della trasmissione “37 e 2” su Radio Popolare. Si tratta di un libro dichiaratamente di controinformazione, imprescindibile sul piano metodologico per comprendere, tramite la comparazione con quanto è avvenuto in altre regioni d’Italia e in altre nazioni dell’Europa, quali sono stati gli errori commessi e le responsabilità di funzionari regionali e nazionali, nonché degli istituti scientifici pubblici.

Grazie alla testimonianza di alcuni medici di medicina generale - che insieme a infermieri, farmacisti e altri operatori hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite perdute - è emerso che polmoniti anomale erano state riscontrate a ottobre-novembre del 2019, per cui, secondo il dottor Poidomani, dall’inizio del 2020 si sono persi almeno quarantacinque giorni prima di dichiarare il confinamento. Mandando sostanzialmente la “prima linea” allo sbaraglio, per la mancata attuazione del piano pandemico sia nazionale che regionale, l’assenza dei dispositivi di protezione e dei reagenti per effettuare i tamponi.

Pertanto, prevalendo le ragioni dell’economia su quelle della salute, il confinamento è decollato solo con l’8-9 marzo, poiché l’istituzione della zona rossa in Val Seriana, ove erano noti i rapporti tra aziende locali del settore tessile tramite i loro tecnici con la zona di Wuhan, era stata contrastata dagli interessi ben rappresentati da Confindustria. Al contempo, sacrificata la medicina sul territorio e la funzione fondamentale dei distretti socio-sanitari, gli ospedali sono diventati il veicolo dell’infezione. Quando poi sono collassati, la Regione Lombardia ha deciso, in assenza di qualsiasi strategia di tracciamento, di trasferire i pazienti positivi Covid nelle Rsa. Si è così determinata, anche per l’incremento sensibile delle morti per infarto, una strage generazionale, che nel caso del Pio Albergo Trivulzio ha condotto i famigliari delle vittime a formare un comitato per richiedere verità e giustizia.

Diversamente la pandemia è stata affrontata in Veneto, grazie ai tamponi a tappeto promossi dalla perspicacia del dottor Andrea Crisanti, ma anche per la presenza di più laboratori pubblici e di una diffusa assistenza sanitaria integrata. Come pure in Emilia Romagna con l’istituzione delle Usca ogni 50mila abitanti e il riferimento certo dei medici di famiglia, che un tal Giancarlo Giorgetti aveva improvvidamente giudicato figure pubbliche e sociali ormai irrilevanti. La Toscana invece si è difesa tramite gli “alberghi sanitari”, la produzione delle mascherine e i tamponi gestiti dalla Regione, ma anche per la minor incidenza del settore privato rispetto alla Lombardia.

A livello internazionale la Germania si è distinta per la grande capacità delle strutture ospedaliere, ma soprattutto per il buon funzionamento dell’assistenza primaria, che ha favorito perciò un basso numero di ricoveri. Decisamente in controtendenza è il caso del Portogallo, ove si è investito sulla centralità della medicina territoriale, con l’istituzione delle case per la salute e i tamponi gratuiti.

 

Da questi esempi sommari si evince quanto siano stati profondi in quest’ultimo trentennio i processi di mercificazione della salute, per via di quell’egemonia neoliberista che, mediante l’aziendalizzazione e la regionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, ha negato i principi che hanno ispirato la legge 833 del 1978 e quindi gli articoli 3 e 32 della nostra Costituzione. Non è un caso allora che Vittorio Agnoletto riprenda, nel sesto capitolo del libro, le linee fondanti di quella sanità universale “possibile” che hanno contraddistinto la storia e le battaglie di Medicina Democratica.

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