Denaro, potere: quali saranno le nuove origini del nostro tempo? - di Luca Papini

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I salari in Francia nello scontro tra capitale e lavoro.

Il tema salariale in Europa sta provocando un dibattito importante e assume una gran vivacità in Francia, a seguito dell’avanzata elettorale della sinistra unita e dell’iniziativa sindacale nei posti di lavoro.

In Francia è di queste settimane l’aumento netto di 150 euro mensili per un quadro di primo livello operaio alla catena di montaggio - da 1430 a 1580 euro netti mensili. A fronte dell’aumento del settore sanità in Italia di 90 euro lordi mensili.

Il 52% della forza lavoro francese ha un salario inferiore a 2000 euro netti a tempo di lavoro pieno, con un 30,7% che sta nella forbice 1500-2000, e con un 22,2% che è sotto la soglia dei 1500 euro. L’aumento di 150 euro netti agirà quindi come leva su questa maggioranza dei lavoratori. Nella fascia tra i 2000 e i 3000 euro netti mensili si colloca il 28% della forza lavoro, dai 3mila a 4mila un 10%, sopra i 4mila il restante 8% (dato Insee 2019).

Questa dinamica salariale tenta di recuperare la fiammata dell’aumento dei prezzi, sopratutto legati ai prezzi energetici e al consumo; un tema che era già sul tavolo della contesa tra capitale-lavoro prima dello scoppio della guerra.

Tra il 2009 e il 2011 in Francia il tasso di inflazione passa da zero a 2.1%, mentre l’evoluzione dei salari scende da +1,2 a -0,4. Dal 2013 al 2017 c’è una fase di recupero salariale a fronte di una decrescita a zero del tasso di inflazione nel 2015, che poi si impenna sopra il 2% ancora nel 2020.

Su questa dinamica si sono sempre confrontate due scuole. Quella keynesiana, che si fonda sull’interventismo dello Stato in economia, secondo la quale l’inflazione permette di far diminuire la disoccupazione; e quella monetarista, influenzata da Friedman, secondo la quale l’aumento dei prezzi deve essere regolato da istituzioni indipendenti rispetto al potere politico, in questo caso la Banca centrale europea.

Da un punto di vista sindacale queste due scuole devono considerarsi superate, e il sindacato deve tornare a porsi la sfida del superamento dell’attuale modello di produzione capitalistica.

In Francia il dato salariale è fissato attraverso tre livelli. A livello nazionale, lo Smic fissa un salario orario minimo per l’insieme della massa salariale; aumenta ogni anno a gennaio seguendo un meccanismo automatico che dipende dall’inflazione passata e dall’evoluzione del potere d’acquisto del salario orario di base di operai e impiegati. Questo aumento coinvolge una massa salariale del 10% complessivo.

A livello settoriale, ogni inizio di anno sono adeguati i salari di categoria con la definizione di minimi livelli salariali. Questo livello coinvolge i tre quarti dell’intera platea salariale del settore privato. A livello di impresa possono essere firmati accordi sindacali sulla parte salariale: coinvolge ogni anno il 15% della forza lavoro.

E’ nel secondo livello che si concentra quindi la maggior parte della massa salariale, ed è là che l’andamento dei salari è condizionato dal combinato inflazione vs aumento Smic. Per questo, se i salari negoziati dipendono dall’inflazione dell’anno passato, saranno meno influenzati dall’evoluzione delle attività o dalla disoccupazione.

L’evoluzione mensile dei prezzi al consumo è passata da zero del giugno 2020 a +4.5% del 2022. Un dato che la Francia non segnava dal 1985, sospinto sia dalla fiammata sul costo energetico (+28,9% su base annua), sia dal +7.2% di aumento del costo per l’alimentazione. L’inflazione francese è più contenuta rispetto a Spagna (+9.8%), Germania (+7.3%) e Italia (+6.7%). Ciò sembra dovuto alle politiche di contenimento di tipo keynesiano fatte dal governo francese, unitamente a un maggiore ricorso all’energia nucleare rispetto al gas in rapporto ai paesi citati.

Uno dei temi forti della campagna elettorale di Melenchon (Nupes, Nuova unione popolare, sociale e ecologica) è stato proprio l’innalzamento dello Smic a 1500 euro netti (dagli attuali 1302 netti). La platea riguarderebbe circa 2 milioni di francesi che sono attualmente in Smic. Vi si è opposto con forza il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, secondo cui l’aumento agirebbe in modo fortemente negativo sull’inflazione, che non potrà essere più contenuta attraverso svalutazioni della moneta come avveniva prima dell’euro.

Ma questo è ormai un dibattito sepolcrale. La guerra in Ucraina, a causa dello scontro tra due nazionalismi, sta determinando un’accelerazione vertiginosa dei processi capitalistici in atto.

La rottura del ciclo di accumulazione a egemonia statunitense sta trovando nuovi attori sullo scenario mondiale, e quello che pare delinearsi è simile alla dinamica descritta da Giovanni Arrighi (“Il lungo XX Secolo”, Il Saggiatore, 1994) analizzando la vittoria del modello olandese su quello di Venezia, nel 1600. Venezia adesso si chiama Russia, e Olanda si chiama Cina. Un bel rompicapo per i Draghi di turno. Quando un ciclo capitalistico non produce più ricchezza entra in crisi, e la guerra è l’ultima variante a cui ricorre per ristabilire rapporti di forza e equilibri.

Denaro, potere: quali saranno le nuove origini del nostro tempo?

 

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