StoptheWarNow: la seconda Carovana di pace in Ucraina - di Emanuele Giordana

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E' finita mercoledì 29 giugno con la partenza da Odessa la seconda Carovana di pace organizzata da StoptheWarNow che, dopo l’esperienza a Leopoli in aprile, aveva raggiunto lunedì 27 giugno la città sul Mar Nero e martedì si era spostata a Mykolaiv, 130 chilometri più a nord, considerata una sorta di porta verso Odessa nel caso l’esercito russo contemplasse di occupare anche la fascia marittima dell’Ucraina. Questo di un possibile nuovo assalto è un clima che si percepiva in entrambe le città, anche se l’apparente tranquillità di Odessa strideva con la evidente militarizzazione di Mykolaiv, i cui sobborghi sono a soli 7 chilometri dal fronte.

Mykolaiv sembrerebbe a tutta prima una località tranquilla sul Nipro (Dnepr), il più grande fiume ucraino e il quarto in Europa. Ordinata, pulita, alberata e anticipata da sconfinati campi di frumento che ancora ondeggiano gli steli gialli al vento del Mar Nero. Ma se ci si avvicina al centro, appare una città militarizzata: sacchetti di sabbia, postazioni mimetiche, bunker infossati. Avvicinandosi alle strade che portano a nord nord-est, la città, conquistata in periferia dai Russia che poi hanno dovuto ritirarsi, è traforata da trincee, buche, rifugi, feritoie, e l’artiglieria russa martella a intermittenza.

Incontriamo Maxim Kovalenko, del consiglio comunale cittadino; ci spiega che Mykolaiv conta ormai oltre 30 vittime civili dall’inizio della guerra, e il bombardamento dell’impianto di desalinizzazione che ha lasciato la città senz’acqua potabile. Una città di 450mila abitanti ridotta adesso a 250mila, perché in tanti se ne sono andati. Prima c’erano molti filorussi. Adesso, dice il consigliere, nemmeno uno. Ma sembra, dice un collega qui da un po’ di tempo, che nemmeno Zelensky sia troppo popolare. E a giudicare dalle file in attesa di un cestino o per riempire le bottiglie, si capisce che il tema della guerra finisce per essere sempre quello: morte, dolore. Fame e miseria se va bene.

È in questo clima che la Carovana di StoptheWarNow, al suo secondo giorno in Ucraina, deposita la merce raccolta in Italia. Lo scarico viene interrotto dalle sirene e si scende nel bunker rifugio: forse 150 metri, attrezzati con cucine e letti. Il rifugio, ricavato sotto un centro di riabilitazione, offre l’occasione per altre parole: “Apprezziamo gli aiuti – dice ancora Maxim – ma ci tocca soprattutto che siate venuti fin qui sfidando le bombe”. Con molta diplomazia, a chi chiede di cosa ha bisogno la città, Maxim – che pure ha parole di elogio per il suo presidente – evita di dire “armi”, come accade il più delle volte. Evidentemente questo convoglio di pacifisti una funzione ce l’ha.

Nei pressi hanno scavato un pozzo. Chiedono di non fotografarlo perché non sia localizzato ma ci mostrano il desalinizzatore cui sta per aggiungersene un altro regalato da StoptheWarNow. La città consumava 150 metri cubi in tempi normali, ma ora è tanto se si arriva a desalinizzarne 20, perché l’acqua estratta dai pozzi è salmastra. E così l’acqua, che normalmente è la ricchezza della città per la presenza del fiume, adesso è la sua condanna. La gente in strada finge una normalità sospesa su quella che è la porta orientale verso Odessa e che i russi tengono in scacco con bombardamenti costanti: o pensando a una prossima mossa o, più semplicemente, per tenere sotto pressione il fianco marino dell’Ucraina e distrarre soldati dal fronte vero, quello del Donbass.

Il ritorno a Odessa consente una “photo oportunity” con striscione anche nella città fondata da Caterina la Grande sulle ceneri, pare, di un insediamento greco di nome “Odisseus”, che la zarina volle declinato al femminile. Il centro storico, che guarda il porto e il mare, è imponente. E se non c’è nulla delle vestigia ottomane, non c’è nemmeno troppa aria di Russia (in tutte le altre parti l’impronta sovietica è invece chiarissima), perché l’architettura richiama piuttosto elementi tipici di quella dell’Europa occidentale. Chi la disegnò e progettò per Caterina era del resto un nobile francese, che si serviva di architetti italiani.

È l’ultimo giorno della Carovana in Ucraina. Il bilancio racconta della consegna di circa 40 tonnellate di aiuti, ma anche la dimostrazione che una presenza fisica è utile e necessaria. Il prossimo appuntamento è a metà luglio con una terza Carovana, espressione di questa variegata coalizione informale di associazioni (cattoliche, laiche, sindacali) che ne conta ormai più di 170. L’idea è di costruire delle realtà stabili in almeno tre città (Kiev, Leopoli, Odessa). Percorso non facile ma una scommessa da tentare. In salita, come è in salita tentare di combattere la guerra senza fare uso delle armi.

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