Ucraina: tamburi di guerra e carovane di pace - di Alfio Nicotra

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Da un lato il sabotaggio al Nord Stream, i referendum farsa sull’annessione alla Russia delle zone occupate, la mobilitazione dei coscritti dichiarata da Putin e il continuo richiamo alla possibilità di uso dell’arma atomica. Dall’altro noi, costruttori di pace delle carovane di “Stopthewarnow”, che da marzo attraversano i territori di guerra portando aiuto umanitario e sostegno politico alla società civile. Con particolare attenzione agli obiettori di coscienza, a chi ha il coraggio di dire: no, contro un mio fratello non sparo!

Come ci ha scritto il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi: “Una piccola luce di pace nelle tenebre terribili della violenza”. Quella partita per Kiev il 26 settembre, sia pur in numeri più contenuti delle diverse carovane, era forse la più politica. Una Carovana di cui ci siamo fatti carico noi di Un Ponte Per insieme al Movimento Nonviolento, con il sostegno di tutte le associazioni di Stopthewarnow. Con lo scopo, in primo luogo, di sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sui giovani che disertano o si dichiarano obiettori di coscienza sia in Ucraina che in Russia, chiedendo misure di protezione da parte dell’Ue e l’apertura delle frontiere per accoglierli.

Svuotare la guerra togliendo “la carne da macello” dai campi di battaglia significa dire che esiste un’altra strada da percorrere, che uccidere e morire non è l’unica opzione. In Ucraina, nel 2021, erano più di 5mila gli obiettori di coscienza al servizio militare, riconosciuta dalla legislazione, ma immediatamente sospesa con la legge marziale che dichiara tutti i maschi dai 18 ai 60 anni mobilitabili nel conflitto e richiamati alle armi. In Russia, crollata la parodia della “operazione militare speciale” con la quale il governo aveva cercato di non allarmare la popolazione, l’annuncio della mobilitazione generale parziale ha dato il via alla legittima fuga dal paese di tantissimi giovani, come dimostrano le file alle frontiere.

Abbiamo denunciato, anche all’ambasciatore Pierfrancesco Zazo che ci ha ricevuti all’Ambasciata italiana a Kiev, che erano inaccettabili le chiusure alle frontiere di paesi come la Finlandia e la Lituania, ed era assolutamente anacronistica la decisione, annunciata dalla von der Leyen appena il 1° settembre, di restrizioni nei visti d’ingresso per i cittadini russi.

In Ucraina il caso-simbolo è quello del giornalista Ruslan Kotsaba, accusato di alto tradimento per dichiarazioni contrarie alla leva risalenti al 2015, ai tempi della guerra del Donbass. Forse anche per l’attenzione internazionale il processo a suo carico (rischia 15 anni di carcere) è stato rinviato proprio il giorno del nostro arrivo a Kiev. Di grande commozione l’iniziativa assunta con alcuni esponenti del movimento pacifista ucraino di un comune presidio simbolico alla statua di Gandhi, in uno dei giardini della capitale. Per la giornata internazionale della nonviolenza, il 2 ottobre, abbiamo anche letto un brano attualissimo dell’attivista nonviolento e statista indiano sulla necessità del bando delle armi nucleari, e di sottrarre l’umanità a questa terribile minaccia.

Prima di Kiev c’eravamo fermati a Cernivtsi, città ucraina al confine con la Romania, dove con l’università locale, una delle più importanti ed antiche del paese, patrimonio Unesco, abbiamo avviato un progetto di collaborazione per educazione alla pace e alla nonviolenza. Un progetto che Un Ponte Per sta portando avanti con il partner rumeno Patrir (Peace Action, Training and Research Institute of Romania), rivolto ai giovani dell’Ucraina in tutto il paese.

Tra gli incontri a Kiev quello con diversi attivisti sindacali che, pur non facendo mancare il sostegno e l’adesione alla resistenza all’invasore, ci hanno illustrato il gravissimo peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari, il pesante aggravarsi della disoccupazione e la contrazione dei diritti dei lavoratori. La legge marziale ha vietato il diritto di sciopero e consentito settimane di lavoro di 60 ore, spesso senza adeguare i salari, il cui pagamento in alcuni casi è rinviato a quando l’invasore russo dovrà risarcire il popolo ucraino dei danni prodotti. Il governo ha aggravato questo quadro con la legge 5371 sul lavoro, rendendolo sempre più precario al punto da cancellare il diritto al mantenimento del posto per le lavoratrici in maternità.

L’economia di guerra costituisce una pista di lavoro che la delegazione consegna ai sindacati italiani ed europei, affinché non abbandonino i lavoratori ucraini e facciano pressioni sulla Ue per far rispettare gli standard europei sul diritto del lavoro. Quanto alla nostra proposta di trovare un punto d’iniziativa comune con i lavoratori russi, c’è stato detto che i tempi non sono maturi e che si dovrà aspettare la “vittoria” dell’Ucraina. Dovremo, con grande intelligenza e capacità creativa, insistere invece per imporre un protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici di entrambi i paesi per rompere lo schema amico-nemico. Serve anche a questo un nuovo e forte movimento per la pace.

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