Montanari: “Sia pace in Ucraina, gridiamo ai potenti che vogliamo vivere e non morire” - di Frida Nacinovich

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Un partigiano come presidente. Tomaso Montanari, si ricorda la celebre canzone di Toto Cotugno ‘L’Italiano’, che diventò famosa in tutto il mondo? Quel passaggio parlava di Sandro Pertini, il politico socialista che chiedeva di svuotare gli arsenali e riempire i granai.

Lei è stato fra i promotori di un appello per chiedere alla politica italiana di non finanziare ulteriormente gli aiuti militari all’Ucraina, e non portare da 25 a 38 miliardi annui le nostre spese militari. Ma sia questo che il prossimo governo sembrano intenzionati a tirare dritto. Elmetto in testa.

“Mi chiedo allora cosa ancora rimanga della Costituzione italiana. Il ripudio della guerra passa attraverso il ripudio della sua preparazione. E il ripudio della logica secondo cui ‘si vis pace, para bellum’. La questione è profonda, antica, e riguarda anche la nostra adesione alla Nato, alla quale ad esempio, come è noto, il presidente Pertini era contrario. Senza arrivare a mettere in discussione il se starci, bisognerebbe però almeno discutere sul come starci. Visto che l’articolo 11 parla di condizioni di parità e reciprocità, la domanda è retorica: siamo o non siamo in condizione di parità con gli Stati Uniti? O anche solo con la Francia, con l’Inghilterra? Su questo punto dovremmo dare una risposta sostanziale. Perché la logica non fa sconti, quello che è successo da febbraio a oggi dimostra che ogni iniziativa intrapresa altro non ha fatto che trascinarci sul baratro nucleare. Evidentemente questo combattere la guerra con la guerra non funziona. A me sembra che non solo non sia giusto, ma nemmeno funzionante”.

 

Dallo scorso febbraio, chiunque si oppone motivatamente all’escalation del conflitto russo-ucraino viene invariabilmente accusato di essere un putiniano. Nella lista nera probabilmente c’è anche lei…

“Non c’è dubbio alcuno che Vladimir Putin sia l’aggressore. Ma il punto è un altro. E cioè, se a questo si risponde con un’escalation di guerra e di minacce, o se invece si risponde provando a costringerlo a una trattativa. Io credo che l’Occidente non ci abbia minimamente provato a tentare una via diplomatica. Come ha scritto uno dei massimi studiosi italiani di geopolitica, Lucio Caracciolo, questa è una guerra mossa dagli Stati Uniti. Lo storico direttore di Limes non può essere certo sospettato di essere un putiniano, un estremista. La sua analisi è stata raccolta anche da ‘La Stampa’, non da ‘il manifesto’, o ‘il Fatto quotidiano’ o ‘l’Avvenire’, che ormai è il giornale italiano più di sinistra. Scegliere l’Ucraina come teatro della Terza guerra mondiale, perché questo è successo, è stato fatto in due: Putin da una parte, l’Occidente dall’altra. Non si tratta di negare che la Russia ha aggredito l’Ucraina, piuttosto di capire perché è successo, soprattutto se si poteva evitare. E una volta che è successo, cosa avremmo dovuto fare”.

 

L’inverno è alle porte, gli italiani e le italiane sono preoccupatissimi per gli effetti concreti della cosiddetta economia di guerra. Al nord, sul fronte sarà ancora peggio. Ma davvero non ci sono margini per un’iniziativa diplomatica europea?

“Ti confesso di sperare che si arrivi all’inverno, perché la minaccia nucleare mi pare seria e concreta. Siamo in una situazione in cui potrebbe succedere che per sbaglio, non volendolo, per un fattore imponderabile, si arrivi a una prima bomba nucleare tattica sul territorio ucraino. A quel punto cosa accade non lo sa nessuno, la logica dell’escalation vuol dire che ognuno farà qualche cosa in più. E siamo sicuri che una guerra nucleare possa essere confinata al territorio dell’Ucraina, anche se basterebbe quello a devastare mezza Europa, noi compresi? Mi risulta che esista un sottomarino russo in grado di arrivare a distruggere Los Angeles senza essere intercettato. Siamo sicuri che si arriverà all’inverno? Io non lo do per scontato. Continuiamo a sostenere che bisogna essere europeisti e atlantisti, come se le cose fossero sinonimo. È evidente che gli interessi degli Stati Uniti e gli interessi dell’Europa non coincidono. Se non altro perché il rapporto con la crisi energetica, anche soltanto per la vicinanza geografica con il territorio di guerra, è diverso. Una guerra nucleare limitata all’Ucraina ha conseguenze diverse per l’Italia e per gli Stati Uniti. E poi l’idea che la Russia andasse estromessa dall’Europa e costretta a ripiegarsi sull’Asia, cioè sul rapporto con la Cina - perché è quello che è successo - può forse convenire agli Stati Uniti, molto probabilmente conviene agli Stati Uniti, certamente non conviene all’Europa. Quindi in questo caso bisognerebbe essere atlantisti ma anche intelligenti. Soprattutto non autolesionisti. Questo avrebbe voluto dire essere atlantisti critici. E non atlantisti succubi. Questo è un po’ il punto. Nel modo più moderato possibile”.

 

In questi mesi abbiamo assistito ad un’autentica denigrazione di tutti coloro che hanno a che fare con la Russia, dai cittadini di quel paese agli intellettuali e studiosi che ammoniscono di non fare di ogni erba un fascio. Lei, che è il rettore dell’Università per gli stranieri di Siena, che giudizio si è fatto di questa situazione?

“Noi come Università per gli stranieri di Siena il 23 novembre prossimo consegnamo la laurea honoris causa a Ludmilla Petruseskaja (insigne scrittrice e drammaturga russa, implacabile oppositrice del governo del presidente Putin e della sua guerra contro l’Ucraina, ndr). Abbiamo pubblicato subito dopo l’inizio della guerra il suo post su facebook, scriveva che questa guerra è colpa di un criminale numero uno come Vladimir Putin. Non mi pare sia un’espressione che lascia spazio a dubbi sulla scelta di campo. Noi le diamo la laura honoris causa, e nello stesso tempo continuiamo a studiare la lingua russa, abbiamo infatti invitato Paolo Nori a parlare di Dostoevskij. Noi pensiamo che la guerra non sia alla cultura russa. Crediamo che bisogna distinguere Putin dalla Russia. Bisogna separare il piano bellico da quello culturale. E dobbiamo anche pensare che la risposta all’aggressione dell’Ucraina non può essere un’escalation militare, nemmeno nella cultura. Nelle parole, nel lessico, nella retorica. Ci siamo trovati di fronte giornali italiani come ‘Corriere della sera’ e ‘Repubblica’ che sembravano fogli interventisti del tempo di D’Annunzio. Il ‘Corriere’ è arrivato a scrivere che noi saremo deboli perché nelle famiglie italiane non c’è più l’abitudine a considerare un onore la perdita di un figlio in guerra. Proprio così. Logiche mostruose. Francamente non so chi potrebbe essere felice di perdere un figlio in guerra”.

 

Solo Papa Francesco non si stanca di ripetere che la guerra è una follia. Un sentimento che, al di là del voto, accomuna buona parte della popolazione italiana. Sarai sempre in prima fila in questa pacifica battaglia di civiltà?

“Penso che questo succeda perché il Papa è il Papa. E questo è un Papa che ci crede al Vangelo. Ma anche per un’altra questione che invece si sottolinea poco: Papa Francesco non è un occidentale, è un argentino. E ha un rapporto critico con gli americani, i gringos, come li ha chiamati in un’occasione, suscitando un’aspra polemica. Ha la capacità di guardare il mondo con uno sguardo non occidentalocentrico. Ecco, questo non succedeva, non era mai successo, non c’era mai stato un Papa non occidentale. Io direi che è il punto vero della questione: guardare il mondo con un occhio mondiale. E ha ragione, non ci dobbiamo stancare di manifestare il nostro no alla guerra, di manifestare per la pace. Io sono esterrefatto che non siamo tutti in piazza. Di fronte alla minaccia nucleare nessuno è più in grado di portare la gente in piazza in Occidente. Non ci sono né partiti, né sindacati capaci di far scendere le persone in piazza. Ma se non manifestiamo ora, non so quando dovremmo farlo. Non so se dopo potremmo farlo ancora. Siamo un passo oltre, la minaccia è talmente grave che i numeri delle manifestazioni dovrebbero essere soverchianti. E vorrei dire, lo dico in modo brutale, che le manifestazioni dovrebbero essere di tipo egoistico. Cioè: siamo in piazza per la nostra sopravvivenza”.

 

Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi?

“Leggo che gli Stati Uniti e l’intelligence ritengono probabile l’escalation nucleare. Come si fa a stare in casa venendo a conoscenza di una cosa del genere? Per non essere accusati di essere equidistanti fra russi e ucraini? Di quale giudizio ci dovremmo preoccupare? Al tempo della crisi di Cuba con i missili, le piazze del mondo erano piene di manifestanti. Oggi no. E allora mi domando: chi fa sentire ai potenti della terra che l’umanità ha voglia di vivere e non di morire? Nessuno. Non c’è più una forza politica, di massa, in grado di rappresentare. Un paradosso: noi diciamo di combattere per i valori dell’Occidente, ma di fatto non c’è più democrazia neanche in Occidente. Questo è il punto, le nostre non sono più democrazie ma post-democrazie, così come vengono chiamate. E nella post-democrazia il nesso tra popolo e governo, popolo e politica, è allentato a tal punto che quattro italiani su dieci non votano, in un momento in cui si decidono le sorti del pianeta”.

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