I “treni per Reggio Calabria”, 50 anni dopo - di Alessandro Genovesi

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Il 22 ottobre di 50 anni fa, migliaia di edili, metalmeccanici, braccianti, ferrovieri (e non solo ovviamente) sfilavano per le strade di Reggio Calabria per riaffermare la centralità del lavoro, della sua funzione emancipatrice, costituzionalmente antifascista.

A volere quella giornata, a conclusione di tre giorni di Conferenza nazionale sul Mezzogiorno, erano stati in particolare Truffi (segretario generale degli edili) insieme a tutta la Flc (la Federazione unitaria dei lavoratori delle costruzioni), la Flm (Trentin, Carniti e Benvenuto) e la Federbraccianti diretta da Rossitto. La Conferenza e la manifestazione non avrebbero dovuto rappresentare “solo” la risposta a due anni di violenze fasciste nella città calabrese, e più in generale alla strategia della tensione. Strategia che – dagli attentati di Piazza Fontana – provava a bloccare l’avanzata del movimento dei lavoratori e della sinistra politica (in particolare del Pci).

Soprattutto i “treni per Reggio Calabria” avrebbero dovuto mettere al centro delle politiche di sviluppo dell’intero Paese il rilancio economico e sociale del Mezzogiorno, rompendo rendita fondiaria, parassitismo, arretratezza delle infrastrutture e della macchina amministrativa. Insomma ridurre quelle disuguaglianze (a partire da disoccupazione e lavoro nero) che fornivano – per chi non era emigrato al Nord - l’humus anche per forme di ribellione reazionarie (come quelle cavalcate dal sindacalista fascista della Cisnal, Ciccio Franco, e dal Movimento sociale italiano, con i “boia chi molla”).

Quanto è rimasto di quello che innescarono quelle giornate? Quanto è ancora attuale, il tema del lavoro e della buona occupazione come strumento di riscossa dei giovani, delle donne, dei cittadini meridionali? Su questo abbiamo voluto riflettere in una giornata organizzata da Cgil e Spi di Reggio Calabria e regionali, con storici, intellettuali e una parte importante del gruppo dirigente di oggi.

In particolare, oltre la splendida relazione di Carmelo Gullì, segretario generale dello Spi di Reggio (all’epoca giovane studente), importanti – a mio parere – i contributi di Sposato (segretario generale Cgil Calabria), Pedretti (i giovani di 50 anni fa sono oggi i nostri compagni e compagne dello Spi) sul rapporto tra funzione del sindacato e ruolo della sinistra politica (Ingrao fu tra i protagonisti dei lavori della Conferenza ma non solo, visti i legami che aveva con Reggio Calabria), ma anche e soprattutto di Mininni, segretario generale della Flai (in particolare sullo stato e l’organizzazione dell’impresa agricola, ieri ed oggi) e del segretario della Fiom De Palma (anche sui limiti di una visione molto industrialista, “pesante”, che in quegli anni e forse era inevitabile, tutti avevamo). Infatti sarebbe sbagliato – almeno così ritengo – comparare i dati di disoccupazione del 1972 e quelli del 2022 (molto simili, in particolare quelli giovanili) in termini statistici, per dire che nulla si mosse.

In realtà non fu così: la “riconquista politica e sociale” in nome dell’attuazione reale dei dettami della Costituzione portò ad un aumento delle risorse per la Calabria ed il Sud. Portò, per esempio, a mantenere in funzione – con anche altri compiti – la Cassa del Mezzogiorno. Ma furono sottovalutate le “leve” dell’uso clientelare e tutto dentro un’espansione della macchina pubblica che quella spinta, concretamente, produsse. Mentre noi eravamo tutti concentrati nella riproposizione di un’industrializzazione pesante di alcuni lembi del territorio (le cattedrali nel deserto), così come sottovalutammo alcuni processi che pur se con molti limiti, avanzavano in altri settori della società.

Tanto è che solo con l’ultimo Berlinguer (prima) e Trentin (dopo) cogliemmo in pieno – opinione personale - il tema del modello di sviluppo non per forza “lineare e cumulativo”, la questione morale, quanto il “sapere” stesso stava diventando – in epoca globale – lo strumento di una nuova divisione internazionale del lavoro.

Evidenziato ciò, è chiaro che il tema dello sviluppo del Mezzogiorno come questione nazionale (ed oggi anche europea ed euromediterranea) rimane centrale anche per la Fillea e la Cgil tutta oggi. Per ogni concreta azione che ci faccia affrontare la transizione energetica, digitale e demografica con l’obiettivo di creare buona e stabile occupazione. Che il tema dell’aumento delle disuguaglianze rimane terreno di scontro inevitabile tra conservatori, ceti parassitari, rentier vecchi (chi continua a vivere nel “feudo” sfruttando i migranti) e nuovi (chi gioca in Borsa, chi prende gli incentivi e scappa, chi vive di rendita immobiliare) e noi forze progressiste, figlie di un campo culturale e ideale (per citare il classico Bobbio) collocate a sinistra.

E’ inutile negare che anche oggi, nella rabbia, nella frustrazione, nella solitudine, pesca una destra che ha una visione dei rapporti sociali, delle relazioni e finanche delle istituzioni assai distante da noi. Dal riconquistare a una partecipazione e impegno collettivo queste donne e uomini, dobbiamo ripartire anche noi.

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