Pace e giustizia sociale - di Fausto Bosco

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Stralci dell’intervento al congresso Cgil di Pisa, il 20 e 21 dicembre scorsi.

 

La situazione mondiale è preoccupante. Non c’è solo la guerra in Ucraina a gettare ombre sull’umanità. Sono oltre 160 i conflitti nel mondo, di cui 20 ad alta intensità. Guerre silenziose, vittime innocenti che in molti casi tentano di salvarsi fuggendo, spesso trovando la morte nelle traversate in mare, nelle fredde foreste dell’est, negli stenti e nella malattia. La priorità assoluta è evidentemente la ricerca della pace, come ha ribadito il nostro segretario Maurizio Landini il 5 novembre durante la manifestazione di Roma. (…)

Al dramma delle guerre si aggiunge una crisi economica senza precedenti. (…) La fine della guerra fredda ha portato alla ribalta il sistema di produzione capitalista. A metà anni ’90 si è cominciato a parlare di “terza via”, la convinzione e la presunzione di poter governare il liberismo e la globalizzazione, lasciando che il libero mercato si autoregolamentasse da solo, privatizzando beni e servizi una volta di proprietà degli Stati, smantellando il welfare state e tagliando così a dismisura la spesa pubblica. Parte così l’era delle privatizzazioni, della libera circolazione dei capitali, della finanziarizzazione dei beni e dei servizi di pubblica utilità. Lo slogan era “privato è meglio e più efficiente”. (…)

L’Occidente ha creduto che fosse possibile reggersi sul solo settore terziario leggero e sulla finanza: sono iniziate le crisi cicliche e strutturali: la prima nel 2003, poi la bolla dei mutui subprime del 2008, per arrivare al 2011 con il default della Grecia e infine al 2020, con l’avvento della pandemia che ha messo a nudo tutti i limiti e le devianze di un sistema generatore di diseguaglianze e povertà come quello neoliberista.

La risposta a queste crisi fornita dagli organismi sovranazionali è stata nel segno dell’austerità, aumentando il costo del denaro, rendendo rigidi i parametri di scostamento della spesa pubblica e del rapporto deficit\Pil. Accentramento di capitali e di risorse sempre più nelle mani in pochi individui che determinano le sorti del mondo, poche migliaia di persone nel mondo detengono ricchezze pari a poco meno di tre miliardi di esseri umani.

La pandemia, dicevamo, ha messo in risalto le lacune e le ingiustizie del turbocapitalismo, distruttore del welfare: nel momento di maggior bisogno di assistenza e cure, i vari sistemi sanitari in tutto il mondo si sono rivelati insufficienti. È bastato un microorganismo a gettare l’umanità intera in un incubo. Si sarebbe dovuto capire che con la spesa sociale non si scherza, che era il momento di cessare con i tagli alla spesa pubblica. Era necessario invertire il trend, la politica sembrava aver capito, i social pullulavano di slogan inneggianti verso il Servizio sanitario nazionale. I medici e gli infermieri erano gli eroi moderni. (…)

Il tempo di rimetterci in piedi che la guerra fra Russia e Ucraina ci ha travolti. Un conflitto che ha immediatamente provocato un innalzamento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, innescando una spirale inflazionistica senza precedenti nella storia moderna. Il paradosso è che tale crisi economica non è dovuta alla scarsità degli approvvigionamenti, quindi ad una carenza di offerta al fronte di una domanda crescente. Questa crisi è anomala, provocata dalla speculazione finanziaria, da scommesse sui prezzi da parte di fondi di investimento internazionale che nulla hanno a che vedere con l’acquisto della vendita di gas, cereali e materie prima. Soldi per fare soldi per fare soldi. Sulla pelle di esseri umani che perdono la vita ogni giorno sotto le bombe, nella povertà e negli stenti.

Le misure da attuare non possono essere quelle ordinarie, ancora una volta nel segno dell’austerità, andando ad aumentare i tassi di interesse quindi il costo del denaro: questa inflazione non è generata da un aumento dei consumi, ma da un impoverimento della popolazione al fronte di un aumento esorbitante dei prezzi. Quindi la risposta deve essere di tipo opposto: istituzioni presenti nell’economia, come regolatrici dei mercati, attraverso l’emissione di debito per far fronte ad una spesa sociale sempre più crescente.

Tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche, separare il costo dell’energia da fonti fossili da quelle rinnovabili, intervenire a livello normativo per impedire che operatori finanziari non legati all’acquisto e alla vendita di fonti energetiche di operare scommesse sui derivati degli stessi, favorendo la speculazione e l’innalzamento senza fine dei prezzi. (…)

Ecco la nostra prima e vera battaglia: una critica aspra a questo sistema generatore di diseguaglianze, povertà, conflitti e carestie. Questo governo sta agendo in maniera opposta rispetto a ciò che sarebbe auspicabile, ma non dobbiamo stupirci. È la destra peggiore dal dopoguerra ad oggi, una destra dai tratti xenofobi, sovranisti che premia ricchi ed evasori con una manovra che va a colpire il reddito anziché la rendita, che detassa chi fa utili in borsa e chi gira con denaro contante in tasca favorendo il lavoro nero e l’economia sommersa.

Per questo deve essere data battaglia politica, e le risposte per uscire da questo perverso sistema sono nel nostro documento: rivalutazione delle pensioni, amento dei salari detassando gli aumenti dei contratti nazionali, riforma fiscale in senso progressivo, maggiori risorse per il diritto all’istruzione e alla sanità.

In questo contesto, la scelta del governo di proseguire con la strada tracciata da Draghi con il decreto concorrenza, ovvero di fissare limiti stringenti agli affidamenti in house, cioè alla modalità quasi esclusiva con cui gli enti affidano i servizi pubblici locali senza gara alle proprie partecipate, va nella direzione opposta rispetto a quanto invece sarebbe auspicabile. Per non parlare poi della liberalizzazione del subappalto a cascata: assisteremo sempre più anche nel settore pubblico ad una frammentazione dei cicli produttivi, e alla nascita di imprese senza dipendenti che prenderanno lavori pubblici in subappalto per poi subappaltarli a loro volta, contribuendo ad aumentare zone grigie, infortuni, sfruttamento e infiltrazione criminale. (…)

Ci sono altri due temi che mi stanno particolarmente a cuore: il primo riguarda la strage silenziosa che si perpetra ogni giorno sui luoghi di lavoro. Le condizioni nelle quali si lavora abitualmente sono rimaste essenzialmente quelle di venti anni fa; anzi, spesso, risultano addirittura peggiorate. La corsa alla competizione anche tra i lavoratori e l’aumento della precarietà esasperata da bassi salari, ricatto occupazionale abitualmente usato per diminuire i costi, aumento dei ritmi di lavoro e della conseguente alienazione, progressivo invecchiamento di lavoratrici e lavoratori che non possono andare in pensione, hanno determinato le situazioni di insicurezza e incuria per le quali ogni giorno si muore.

Non possiamo più tollerare tutto questo. Occorre un nuovo paradigma, dobbiamo lavorare per vivere non vivere per lavorare. (…) Come organizzazione sindacale, abbiamo il dovere di ribaltare tutto questo, rovesciando stereotipi figli di un sistema economico completamente sbagliato, che ha fallito miserabilmente tutte le sfide alle quali è stato chiamato rispondere.

Lavorare meno lavorare tutti, perché il tema della riduzione delle ore a parità di salario retribuito è una battaglia di civiltà. Le aziende ed i Paesi che già hanno attuato questa misura hanno registrato un miglioramento della produttività direttamente proporzionale al miglioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Garantire un salario minimo universale, migliorare le condizioni di vita nei luoghi di lavoro, comprendere che la competizione non è altro che uno stratagemma creato dai soggetti economici per accrescere i propri profitti sulle spalle dei lavoratori.

La seconda riguarda la questione morale, tanto cara ad Enrico Berlinguer da farne un caposaldo della formazione politica e culturale e di cui oggi abbiamo perso traccia. Mi riferisco allo scandalo che vede coinvolti membri del Parlamento europeo, rei di aver incassato innumerevoli tangenti al solo scopo di agire in nome e per conto di stati arabi come il Qatar, favorendo accordi e partnership con le istituzioni europee.(…) La sinistra italiana immersa nel lobbismo ha perso ogni traccia della sua identità e ha totalmente reciso le radici con il socialismo, con la cultura laburista, con l’interesse collettivo volto al raggiungimento di una vera giustizia sociale. Mai come oggi, quindi, la questione morale dovrebbe essere il caposaldo da cui ripartire e come sindacato abbiamo il dovere di esercitarla in ogni frangente della nostra attività, in modo da erigerci come esempio di coerenza, dignità e responsabilità.

Il nostro Congresso si incastra in questa difficile fase storica, rispetto alla quale dobbiamo esercitare il nostro ruolo di garanti dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Un momento in cui la credibilità e la fiducia nella politica e nelle istituzioni sta man mano venendo meno, mettendo a rischio l’idea stessa di democrazia. È necessario adempiere al nostro ruolo con passione e rinnovato vigore, quello di organizzazione votata alla ricerca delle condizioni che migliorino la qualità della vita e del lavoro delle persone, che perseguono la ricerca di uno sviluppo sostenibile mettendo al centro la salvaguardia dell’ambiente, e la tutela di tutte le specie viventi. E cosa c’è di migliore della ricerca della pace e della giustizia sociale per veder realizzati i nostri scopi?

 

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