La qualità dei gruppi dirigenti per la coerenza dell’azione sindacale - di Andrea Raschia

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Non so dire se la sensazione dipenda dall’età. Provo a spiegare. Sin da giovanissimo ho sempre guardato al gruppo dirigente della Cgil con profondo rispetto e senso di ammirazione. Ad ogni livello. Col senno di poi, non che fossero sempre così ben riposti... Però questo era. Correvano gli anni di grandi conquiste per il movimento dei lavoratori e la società intera, frutto di lotte dure, possenti. Il lavoro si faceva ascoltare. Eccome. Pretendeva di essere ascoltato.

Oggi quella parola d’ordine che campeggia sulle nostre iniziative fa riflettere. Sembra esprimere una sorta di timidezza: “Ascoltate il lavoro”... La dice lunga sulla fase che attraversiamo, sulle difficoltà nostre e, in ultima analisi, sulla qualità del gruppo dirigente. Non certo da oggi. Per quanto Landini segretario generale non sia cosa da poco. Ma quante resistenze, un vero fuoco di fila per contrastarne candidatura ed elezione. Anche da parte di compagni mai visti in versione “barricadera”.

Generalizzare non è mai corretto, però credo sia questo il punto vero, ciò che ha segnato la nostra fragilità ed ha caratterizzato criticità nel territorio, che continua ad essere gestito con quel retropensiero lì, col quotidiano tran tran. In una situazione tutt’altro che ordinaria!

È evidente: c’è un problema di qualità che, purtroppo, chiama in causa anche noi. Non siamo indenni dalla crisi di valori che attraversa la società intera; indebolisce le sue classi dirigenti, non risparmia nulla e nessuno. Sembriamo aver dimenticato il nostro essere “soggetto politico di trasformazione”. Abbiamo dunque il dovere di rafforzare i nostri anticorpi, trasmessi da compagne e da compagni che hanno fatto grande il nostro Paese, che la Cgil ha contribuito a ricostruire, mantenendo lucidità anche nei momenti più bui di questa lunga storia.

Non mi stupirei se interventi critici, a partire dalle condizioni del lavoro povero, apprezzati da tante compagne e compagni, da giovani e in particolare da quanti vivono sulla propria pelle quella condizione, risultassero meno graditi all’organizzazione a volte quasi più preoccupata - parla la mia esperienza - di evitare situazioni di imbarazzo, problemi e difficoltà alle controparti che ottenere risultati concreti per le persone che intende rappresentare.

Per alcuni “dirigenti” non è mai il momento per reagire. Con la conseguenza che questa condizione mentale viene interiorizzata, ormai fatta propria dalle persone, sempre più impaurite e timorose. Non solo nei luoghi di lavoro. E non solo in quelli privati.

Prima che cadessero ore drammatiche per il territorio marchigiano, nelle pagine di giornale risuonava quotidiano il lamento di associazioni di categoria per la vana ricerca di mano d’opera giovanile. D’ostacolo, secondo lor signori, reddito di cittadinanza, e perfino misure di sostegno al reddito per disoccupati! A parte la narrazione che non risponde alla realtà dei fatti. A parte tanta superficialità e l’idea che lavoro, persone, dignità, siano merce; idea “altra” di società, lontana dalla nostra Costituzione democratica. Colpisce il fatto che a parlare sia esclusivamente la parte datoriale. C’è troppo silenzio in giro. Stipendi miserabili, non solo d’estate purtroppo. “Guadagnare poco e non parlarne mai”, ha scritto Michele Serra.

Per fortuna al nostro segretario generale non mancano modi e occasioni per urlare le ragioni della Cgil. Cgil che dovrebbe tenere però gli stessi decibel in ogni situazione, specie quando serve concretezza nei luoghi ove declinare concetti quali “riunificazione del mondo dal lavoro e ricomposizione contrattuale”, che non di rado, invece, segretari di camere del lavoro o di categoria giudicano “sbagliati e fuori luogo”.

Ci avviciniamo alla fine del percorso congressuale. Continuo a pensare a quale sarà l’esito del prossimo assetto dei gruppi dirigenti alla fine del congresso. Tema decisivo per ricostruire una Cgil che da troppi anni sembra aver smarrito la sua fisionomia. Tutto ciò ha inevitabilmente condizionato la capacità di ottenere risultati concreti e portare benefici alla gente che rappresenta.

Il quesito e il bivio del Congresso, al di là di quanto scritto nei documenti, è molto semplice: tornare ad essere sindacato che contratta su tutto - dalle condizioni di lavoro, al welfare, allo sviluppo - sulla base di proposte rivendicative su cui chiede il vero mandato dei lavoratori, con la capacità di ricostruire un solido rapporto di fiducia, ricercando consenso, la nostra forza indispensabile per ottenere risultati. Altrimenti ancora sarà più arduo. E non arresteremo il declino.

Un grande abbraccio e in bocca al lupo. A tutti noi.

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