Unilever, vite operaie dietro un cuore di panna - di Frida Nacinovich

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Il Cornetto Algida ‘cuore di panna’ che vediamo nella pubblicità, e che abbiamo assaporato tante e tante volte, ha fatto innamorare generazioni di giovani. Pochi però sanno che la storica fabbrica artigianale romana di gelati da più di mezzo secolo è di proprietà di un colosso dell’alimentazione e dei prodotti per l’igiene e la casa. Si tratta di Unilever, una delle multinazionali più diffuse ai quattro angoli del pianeta, con un giro di affari annuo di circa 50 miliardi di euro, e con marchi che tutti conoscono. Solo per restare in Italia, brand come Calvè, Knorr, Tè Ati nel settore agroalimentare, e Badedas, Rexona, Mentadent e Dove per l’igiene personale, sono tutti di proprietà Unilever. Soprattutto la public company è leader mondiale nel settore dei gelati con una miriade di marchi, in primis Algida, acquistata negli anni sessanta insieme alla Toseroni-Eldorado, quella del Camillino.

Luigi Gattor lavora all’Unilever di Caivano, in provincia di Napoli, da 26 anni, e fa parte di un folto gruppo di lavoratrici e lavoratori ‘storici’ dello stabilimento. Gli addetti del sito produttivo sono circa 800, impegnati nella produzione di quello che potremmo definire il core business di Unilever, appunto i gelati. Dal Cornetto, gioiello della corona Algida, al prelibatissimo Magnum in tutti i suoi gusti. In particolare Gattor segue gli impianti complessi di pastorizzazione, insomma sta attento che il cuore del gelato risponda sempre ai più elevati standard di qualità.

“Lavoriamo su tre turni - racconta - mattina, pomeriggio e notte, ciclo continuo h24, con il sabato e la domenica a scorrimento”. Gattor sottolinea come nei mesi caldi, quelli di punta per gli appassionati di gelato, i ritmi di lavoro siano frenetici. “In estate - spiega - i dipendenti diretti non bastano ad assicurare una produzione che per forza di cose aumenta considerevolmente. Unilever deve far ricorso a lavoratori interinali, i cosiddetti somministrati. In fabbrica ne arrivano circa 150. Una volta avevamo gli ‘stagionali' storici, che venivano via via stabilizzati, adesso l’azienda preferisce rivolgersi ad un’agenzia interinale. Una strategia industriale che rispecchia la fase che stiamo attraversando”.

Gattor rammenta che nel 1998 nello stabilimento di Caivano, alle porte della metropoli campana, gli addetti erano più di mille. “L’introduzione di tecnologie sempre più avanzate ha sicuramente diminuito il bisogno di manodopera - osserva – e se da un lato il lavoro oggi è meno faticoso fisicamente, dall’altro è molto più stressante. Nella fabbrica 4.0 bisogna seguire continuamente corsi di aggiornamento. Non puoi restare indietro, non puoi vivere di rendita quando sei alle prese con nuove sfide imposte dalla modernità”.

Conciliare i ritmi della vita con quelli del lavoro può essere complicato. “Da questo punto di vista il lavoro in fabbrica è sicuramente usurante, basta pensare che vivendo a trenta chilometri dallo stabilimento ti devi alzare prima delle cinque per fare il turno della mattina. A lungo andare il fisico ne risente”. Eletto nella rappresentanza sindacale unitaria come delegato per la Flai Cgil, Gattor rivendica il livello di sindacalizzazione all’interno dello stabilimento, dove la bandiera rossa della Flai contrassegna la maggioranza dei delegati. “Siamo riusciti a diventare un punto di riferimento per le lavoratrici e i lavoratori, e questo è molto importante, soprattutto perché abbiamo a che fare con una multinazionale, per giunta una delle più grandi del pianeta. Noi cerchiamo di fare del nostro meglio, anche per garantire adeguati livelli di sicurezza a tutti i nostri colleghi”.

Quando chiedi a Gattor quale siano i sacrifici più grandi per un operaio di Unilever, lui risponde senza pensarci due volte: “Lavorare il sabato e la domenica, perché non puoi stare a casa nel fine settimana con i tuoi figli”. Poi il delegato della Flai Cgil torna a quella che per il sindacato resta una ferita non rimarginata: “Quando i precari venivano nel tempo stabilizzati, questo garantiva rapporti anche umani che nascevano e si cementavamo. Con l’attuale frammentazione diventa tutto più complicato. Ma le multinazionali, si sa, guardano unicamente ai profitti, e ci sono paesi dove il lavoro costa meno che Italia”.

L’indotto di Unilever è grande, lo stabilimento di Caivano è un punto di riferimento per il vasto e popoloso comprensorio napoletano. “Pochi anni fa, nel 2015, rischiavamo di chiudere. Ma la fabbrica è nata nel 1973, è un luogo simbolo, un punto di riferimento per l’intero territorio”. Gattor aveva 24 anni quando è entrato in fabbrica, prima di lui c’era suo padre. “Sono la seconda generazione qui. Ma, lo confesso, spero che i miei figli studino e facciano un lavoro meno pesante e non a ciclo continuo”. Perché le notti sono fatte per dormire.

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