La Scuola della Repubblica è una e indivisibile - di Angela Giannelli

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“Ce studie mangi iaddine, ce na studie mangi lupine” (chi studia mangia carne di gallina, chi non studia mangia lupini), recitava un antico proverbio contadino. I nostri padri, con il loro bagaglio di saggezza popolare, volevano che i loro figli studiassero per avere un futuro migliore. Così si arrivò all’alfabetizzazione di massa che permise al Paese di uscire dalla povertà, ed entrare a testa alta tra le grandi potenze economiche.

Anche qui la Carta costituzionale fece la sua parte: “E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”: l’articolo 3 fece in modo che anche il figlio dell’operaio poté diventare dottore. L’istruzione è lo strumento utile a superare le disuguaglianze sociali ed economiche, un individuo è più libero e ricco di possibilità perché maggiori sono gli strumenti culturali di cui è dotato.

Alcuni economisti ci ricordano che la mancanza di istruzione genera povertà e, come il serpente che si morde la coda, la povertà genera mancanza di istruzione. La povertà crescente, in particolare al sud, come evidenzia l’ultimo rapporto Svimez, genera una crisi della coesione sociale che si traduce in una società frammentata e potenzialmente più conflittuale. La scuola potrebbe essere una potente arma di coesione sociale per il Paese, se solo il governo decidesse di garantire un’offerta formativa di qualità, omogenea, sull’intero territorio nazionale.

Ma così non è. Il recente rapporto Svimez 2022 “Un Paese, due Scuole” svela il profondo divario già oggi esistente tra nord e sud in materia di istruzione, ed entra di forza nell’acceso dibattito che vede la Cgil contraria alle proposte di autonomia differenziata che, in particolare nel settore dell’istruzione, andrebbero ad aumentare enormemente gli squilibri già presenti.

Lo studio fotografa un’offerta educativa differenziata tra le regioni del Mezzogiorno e il resto del Paese, in particolare evidenzia una riduzione del “tempo scuola” maggiore nel sud rispetto al nord. Infatti operano i seguenti fattori: insufficienza degli asili nido, scuole dell’infanzia con un’alta percentuale di tempo ridotto; carenza del servizio mensa nella scuola primaria per i deficit strutturali degli edifici scolastici (46,53% al nord e 78,82% al sud, in Puglia 65,2%); presenza del tempo pieno nella scuola primaria con il 48,53% del nord a fronte del 18,60% del sud. La Puglia si attesta al 16,60%.

Questo significa che i bambini delle regioni del sud fanno 4 ore di scuola in meno a settimana, per una media annua di 200 ore che coincide, nell’arco di un quinquennio, ad un anno di scuola persa.

Ancora, c'è una spesa pubblica destinata all’istruzione dalla quale emerge un generale, progressivo disinvestimento da parte dello Stato nel settore dell’istruzione, con punte più elevate nelle regioni del sud - nella scuola il rapporto spesa-studente vede uno scarto di circa 300 euro al sud (6.025) rispetto al centro-nord (6.395). Poi una elevata dispersione scolastica: la percentuale dei tassi di abbandono si attesta al 16,6% nel Mezzogiorno a fronte del 10,4% delle regioni del centro-nord.

Cresce il divario tra nord e sud anche nel settore dell’edilizia scolastica e di investimenti ad essa destinati (rapporto di Legambiente Puglia); edifici scolastici vecchi e poco sostenibili, ma soprattutto insicuri (più del 50% delle scuole non possiede la certificazione di agibilità).

Le 622 autonomie scolastiche pugliesi rischiano di ridursi ulteriormente (da 20 a 80 scuole in meno), a causa della legge di Bilancio 2023 già impugnata dalla Regione Puglia alla Corte Costituzionale.

Il quadro per le regioni del sud è sconfortante, la perdita di apprendimento che si scarica sugli alunni lede il diritto costituzionale allo studio e mette in discussione la funzione stessa della scuola repubblicana che è, come ci ricorda il direttore della Svimez, Luca Bianchi, quella di “fare uguaglianza”.

Le recenti proposte per la creazione di sistemi regionali con risorse e regole differenziate, con il rischio di un ritorno alle gabbie salariali, vanno nella direzione opposta a ciò che serve per invertire questa tendenza. L’istruzione è un diritto universale che non può essere racchiuso nei recinti delle regioni.

Il modello di autonomia differenziata che si prefigura l’attuale governo sembra voler fare da apripista per imporre una logica competitiva che fa piazza pulita dell’idea solidaristica su cui si sono fondate l’Europa e le attuali autonomie locali. È su di un cambio di valori che si sta lavorando, ed è per questo che si sceglie di partire dalla scuola.

La Cgil Puglia sta lavorando da tempo con grande impegno e passione per contrastare questo scellerato progetto. Il 18 febbraio si è svolta una grande manifestazione regionale che ha visto la presenza delle istituzioni, delle forze politiche progressiste e di tante associazioni locali e nazionali. Si è lavorato a costruire un fronte ampio, metodo certamente più faticoso, ma necessario a dare alla Cgil tutta e al Paese un reale contributo di cambiamento.

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