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Auguriamo buon lavoro alla nuova segreteria della Cgil, eletta lo scorso 19 maggio dall’assemblea generale, consapevoli della fase eccezionale che stiamo attraversando. La nostra piena e fattiva solidarietà alle popolazioni dell’Emilia Romagna colpite dall’alluvione. Un disastro dovuto al cambiamento climatico e alle gravi responsabilità della politica, di presidenti di Regione, sindaci, lobby dell’edilizia che in questi decenni hanno cementificato intere zone e abusato di un territorio fragile, senza nessuna prevenzione e con molti condoni edilizi.
Abbiamo bisogno di uno Stato che si riappropri dei suoi doveri e non certo di presidenzialismo e autonomia differenziata. I veri terroristi ambientali sono quanti si sono arricchiti con un modello di sviluppo che sfrutta il pianeta e le persone, non i coraggiosi ragazze e ragazzi di Fridays for Future o di Ultima Generazione, impegnati contro il collasso climatico. In questo paese la politica della prevenzione non esiste: prevenire è un programma rivoluzionario.
Le grandi manifestazioni di Bologna, Milano e Napoli chiudono la prima fase della mobilitazione sindacale. La campagna di assemblee va proseguita e intensificata, indispensabile per creare le condizioni per lo sciopero generale, auspicabilmente unitario, ma anche da soli se necessario.
La guerra, la sua escalation, lo scontro geopolitico tra imperi sono rimossi dal dibattito, schiacciato sulla retorica dello “scontro tra democrazie e autoritarismi”. La Marcia Perugia-Assisi del 21 maggio non è stata neppure nominata dai media mainstream.
Il G7, autonominatosi guida mondiale, decide di inviare all’Ucraina gli aerei F16 e di continuare a fornire missili a lunga gittata, bombe e proiettili. L’Europa e l’Italia spostano risorse del Pnrr per aumentare la produzione di strumenti di morte. Riunito a Hiroshima, simbolo della follia umana della distruzione nucleare, il G7 dimostra tutta la sua irresponsabile cecità con la chiusura verso ogni spiraglio di negoziato, promosso dal Vaticano o dalla Cina, considerata nemica e alleata della Russia.
Le politiche di una Ue bellicista, neoliberista e subalterna agli Usa rafforzano le politiche classiste del governo Meloni. Con la richiesta Usa di revocare l’accordo commerciale con la Cina, si dovrebbero cancellare 77 miliardi di scambi con la seconda economia al mondo. Germania e Francia sono i principali partner della Cina, che detiene il 20% del mercato mondiale.
I “leader” europei, eterodiretti dagli Usa, pensano alla vittoria con le armi, incuranti dello scenario che stanno predisponendo per il futuro dell’Europa, del mondo e delle nuove generazioni. La vittoria militare non esiste, le armi portano solo la sconfitta dell’umanità, distruzione e sofferenza, inquinamento atmosferico e delle menti, perdita di ogni solidarietà e umana pietà.
Noi non ci rassegniamo e continuiamo la lotta collettiva, consapevole e organizzata per conquistare un paese più libero, eguale, giusto. Un mondo migliore è possibile.
E' stata davvero bella la manifestazione ‘Ci vuole un reddito’, messa in piedi sabato 27 maggio da ben 140 associazioni, movimenti e sindacati per contestare il ‘decreto lavoro’ del governo Meloni. Un provvedimento che peggiora ulteriormente le condizioni di lavoro e di vita di milioni di persone, confermando la natura neoliberista dell’esecutivo, una destra che di sociale non ha alcunché. ‘Il nemico è chi affama, non chi ha fame’: lo striscione portato da un gruppo di manifestanti ben fotografa lo stato delle cose in questo particolare momento storico. E i carrelli della spesa portati in corteo hanno evidenziato quanto l’economia di guerra e le speculazioni ad essa legate, come hanno ammesso anche le istituzioni economiche internazionali, stiano pesando sulle fasce più deboli della popolazione, che sono sempre più ampie.
Gli arcobaleni della pace hanno punteggiato ogni singolo metro della manifestazione, così come erano in bella evidenza anche poche ore prima sul palco del centro congressi Frentani, dove a riunirsi era la Cgil con tante associazioni laiche e cattoliche. ‘Insieme per la Costituzione’ per dare corpo a un percorso comune di iniziative che avrà il suo battesimo sabato 24 giugno a Roma, con una manifestazione nazionale per la difesa e il rilancio del Servizio sanitario pubblico e universale e del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro. Sabato 30 settembre una seconda manifestazione nazionale, sempre a Roma, per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l’attuazione della Carta, contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della Repubblica parlamentare. Perché la Costituzione va attuata e non stravolta. Ed è quanto mai necessario un fronte quanto più ampio possibile, per cancellare il modello sociale classista e autoritario che ha in mente il governo, e sostituirlo con un modello sociale fondato su uguaglianza, solidarietà e partecipazione.
Ma l’Italia non dovrebbe ripudiare la guerra? Il conflitto russo-ucraino sta andando avanti da più di un anno, il cessate il fuoco è ancora lontano, e la diplomazia latita. Ci rivolgiamo a Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza di Roma, per capire a che punto è la notte, quanti altri morti, sofferenze e devastazioni dovranno accadere prima che a parlare non siano solo le armi.
Professore, andiamo subito al cuore del problema: inviare armi all’Ucraina è una violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione? Ci rende o no cobelligeranti?
Non è solo l’articolo 11 a scrivere, in modo molto chiaro, che l’Italia ripudia la guerra. Direi piuttosto che l’intero sistema costituzionale ha un animo pacifista. L’articolo 11 parla di pace, non di guerra, viene invocato invano quando si parla dell’invio di armi. L’articolo 52 piuttosto, quello che viene considerato il più ‘guerriero’, mettiamola così, recita che la difesa della patria è un sacro dovere. Un dovere dei cittadini però. E quindi la guerra inevitabile è quella difensiva. Insomma, se fossimo invasi da truppe straniere, allora ecco che scatterebbe l’obbligo di difendere, anche con le armi, il terreno patrio. Poi voglio ricordare che esiste una procedura, stabilita dalla Costituzione, per la dichiarazione di guerra. Naturalmente si sta parlando di guerra di difesa. Ci sono tre articoli, il 78, l’87, il 60: dicono sostanzialmente che la dichiarazione di guerra è deliberata dal Parlamento nazionale, la dichiarazione formale di guerra è deliberata dal capo dello Stato, e il Parlamento in caso di guerra conferisce i poteri necessari al governo. Poi in caso di guerra si proroga la durata delle Camere, perché in guerra non si possono fare elezioni. E c’è tutto un meccanismo che, giustamente e per fortuna, non è stato attivato. A dimostrazione del fatto che noi non dovremmo essere in guerra. Siamo di fronte a un tema tutto politico, che è la guerra per procura. Noi non andiamo in guerra fino ad ora, però in qualche modo favoriamo la guerra di altri, la guerra degli ucraini.
Insomma, non esistono disposizioni costituzionali che impongano la difesa di patrie altrui. Eppure i pacifisti vengono accusati di non stare dalla parte dell’aggredito, o peggio di ‘tifare’ per l’aggressore, accusati di essere filoputiniani.
Anche nello spirito dell’articolo 52, non c’è dubbio che il popolo ucraino debba resistere in armi. È espressione di un diritto medioevale che è, appunto, il diritto di resistenza. Non solo, la stessa Carta dell’Onu, articolo 51, parla chiaramente di diritto all’autodifesa individuale e collettiva, e legittima la resistenza in armi dell’Ucraina. Non ho neppure dubbi su chi sia l’aggressore e chi sia l’aggredito. La Carta dell’Onu dice chiaramente che i membri, tutti i membri dell’organizzazione, devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. Quindi qualunque sia la causa, qualsiasi cosa sia accaduta nel Donbass, dove Putin sostiene di essere intervenuto per difendere il territorio, non è una giustificazione per il diritto internazionale. Lo ripeto: è chiaro chi è l’aggredito e chi l’aggressore. Gli ucraini si devono difendere e l’aggressore è la Russia. La Carta dell’Onu dice però anche quale è l’obbligo dei paesi non belligeranti: noi, l’Europa, gli Stati Uniti e via di seguito. Devono, anzitutto, perseguire una mediazione tramite negoziati. Quindi noi veniamo meno alla Carta dell’Onu, e direi anche allo spirito della nostra Costituzione. Dovremmo comportarci come in questo momento nel mondo fa soltanto Papa Francesco.
Sembra che Papa Francesco sia l’unico a chiedere il cessate il fuoco, l’apertura di reali trattative e lo stop al riarmo. Un capo di Stato estero che rispetta la nostra Costituzione, un unicum.
Abbiamo ormai assunto lo spirito della guerra. E in guerra ci sono gli amici e i nemici. Anche nel nostro dibattito pubblico c’è questa tendenza, ci si divide tra amici dell’Ucraina e nemici dell’Ucraina quindi filorussi. Non è proprio la dimensione della pace. L’Onu deve garantire la pace e la giustizia fra le nazioni, questo è il punto. Poi ci sono le condanne. Io sono un antiputiniano viscerale, nel senso che ritengo che a Mosca ci sia un’autocrazia. Non ho alcuna intenzione di difendere i regimi. Ma tendo a distinguere fra i regimi politici e le ragioni della pace. Anche in altri teatri di guerra bisogna distinguere questi due livelli. Di fronte alla guerra diffusa, se non dichiarata, ai curdi in Turchia, io voglio la pace nelle regioni aggredite dai turchi, e il mio giudizio su Erdogan è un giudizio politico che non ho difficoltà a dare. Non mi piacciono gli autocrati e non ho difficoltà a formulare una condanna. Ma la dimensione della pace opera su piani internazionali, dividersi tra filo americani e filo russi non ha senso. Ha senso sul piano geopolitico, non lo ha per ricerca della pace che deve essere perseguita da tutti. Pensare che una pace giusta possa essere stipulata dai due soggetti contendenti, uno dei quali fra l’altro possiede le armi nucleari, è un paradosso. La pace è responsabilità di tutte le potenze, l’Italia e l’Europa, l’America, la Cina, l’India ….”.
L’Europa non poteva fare di più per la la pace fra Russia e Ucraina?
L’Europa doveva assolutamente farlo, oltre che per ideali anche per biechi interessi economici. Perché una cosa è certa, se si determinerà quell’asse che si intravede se dovesse proseguire lo scontro fra Occidente e Oriente, un asse che raggruppasse la Russia, la Cina e l’India da un lato, e dall’altro i paesi della Nato, certamente l’Europa verrebbe schiacciata in mezzo fra queste due superpotenze. Ripeto, oltre che per nobili ragioni ideali, anche per interessi geopolitici l’Europa dovrebbe agire per la pace, puntando su un sistema multipolare, non monopolare o bipolare”.
I generali sono più realisti dei governanti, da tempo stanno dicendo che non può esserci una vittoria sul campo, né dall’una né dall’altra parte.
I generali si rendono conto di quella che è la situazione sul campo. Noi ce ne rendiamo conto poco, un po’ per colpa nostra perché chiudiamo gli occhi, un po’ perché non ci fanno vedere quello che succede davvero. Le devastazioni delle guerre dovremmo conoscerle, almeno dai libri di storia, e questo ci dovrebbe assai preoccupare. Soprattutto oggi, visto che, lo ripeto, stiamo giocando con il nucleare. Un gioco molto pericoloso. Tra le cose che mi hanno colpito, forse per sminuire la devastazione provocata dall’uso di queste armi micidiali di distruzione, c’è la distinzione che ora viene fatta fra il nucleare e il nucleare tattico. Insomma è come dire che non arriviamo all’apocalisse mondiale, solo a una piccola apocalisse circoscritta a poche città ucraine. Mi sembra che Hiroshima e Nagasaki ci abbiano insegnato poco”.
Le manifestazioni per la pace vanno avanti. Sono degli inguaribili romantici i pacifisti che hanno affollato le piazze e anche la marcia straordinaria Perugia Assisi?
Sono essenziali le manifestazioni per la pace. Come si dice, fai quel che devi, poi succeda quel che succeda. In ogni caso la guerra finirà con la pace, perché qualcuno vincerà. Invece la giustizia fra le nazioni deve essere il frutto della ragione. Una ragione da imporre con un tavolo di trattative. Quindi non voltarsi dall’altra parte, ma lavorare a una conferenza internazionale di pace. Perché poi la storia ci insegna che le guerre si concludono con trattati di pace. Un passaggio molto delicato, visto che abbiamo avuto trattati che sono stati solo tregue. Versailles, dopo la prima guerra mondiale, ha portato ad atti che hanno preparato lentamente la seconda guerra mondiale. La Costituzione e anche la Carta dell’Onu, in combinato disposto, imporrebbero ai non belligeranti l’obbligo di far cessare la guerra. Io credo che ci sia solo un modo per dare seguito allo spirito pacifista della Costituzione, al ripudio della guerra e alla carta dell’Onu: indire una conferenza internazionale di tutti gli Stati, come fu fatta ad Helsinki, per imporre la pace”.
Non è il maltempo! È tante altre cose quello che è successo in Romagna: cementificazione, consumo di suolo, mancanza di prevenzione e manutenzione del territorio, cambiamento climatico.
Sono cause su cui occorre aprire una seria riflessione. La legge sul consumo di suolo resta nei cassetti del Parlamento. L’Emilia Romagna è una delle regioni in Italia con valori più alti di consumo di suolo, anche nei territori ad alto livello di pericolosità idraulica. Si continua a costruire in zone pericolose, mettendo a rischio le popolazioni, con edifici a ridosso degli argini dei fiumi e un’impermeabilizzazione del suolo che rende il territorio meno in grado di assorbire l’acqua delle piogge.
La politica nega ostinatamente il legame di causa-effetto fra siccità, fenomeni alluvionali e franosi e cambiamento climatico, e soprattutto nasconde la connessione fra gli episodi meteorologici estremi, sempre più frequenti e devastanti, e le scelte di politica economica, energetica, industriale ed agricola, considerato che la causa principale del cambiamento climatico sono le emissioni di gas a effetto serra prodotte dalle fonti fossili. Le azioni sono pressoché assenti.
Il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico (Pnacc) proposto dal governo, ma non ancora adottato, non prevede alcun finanziamento delle misure necessarie e ha tempi di partenza troppo lunghi rispetto all’emergenza che stiamo affrontando. Nel Def non c’è alcun richiamo alla prevenzione e al dissesto idrogeologico. Il Pnrr ha previsto solo 50 milioni per la realizzazione di un sistema di monitoraggio e previsione, e 2,49 miliardi per la gestione del rischio alluvione e la riduzione rischio idrogeologico. Gli appalti dovrebbero essere aggiudicati entro dicembre 2023 ma le risorse sono troppo poche e i tempi troppo lunghi.
Intanto, il 9 maggio scorso, il Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza per accelerare l’approvazione del regolamento a sostegno della produzione di munizioni, che prevede fra l’altro la possibilità per gli Stati membri di utilizzare i fondi europei dei programmi di spesa sociali e del Pnrr per destinarli alle spese per armamenti.
Il Piano nazionale clima energia (Pniec) deve essere aggiornato e inviato alla Commissione europea entro il 30 giugno, ma al momento non c’è nemmeno un testo su cui discutere, solo un questionario online che viene spacciato per consultazione. Ricordiamo che il Pniec in vigore ha un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del 37%, a fronte di un obiettivo europeo del 55%.
Il Consiglio dei ministri del 23 maggio ha approvato un decreto-legge che introduce interventi urgenti per fronteggiare la fase emergenziale per le aree alluvionate, con una dotazione di 2 miliardi per indennizzi e sostegni a imprese e lavoratori. Si parlerà in seguito di ricostruzione, i danni potrebbero arrivare attorno ai 10 miliardi. Ancora una volta, invece, resta fuori ogni ragionamento sulla prevenzione e sull’adattamento e la mitigazione al cambiamento climatico. Anzi, da quanto si legge nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri, il governo ha previsto disposizioni per semplificare la realizzazione di nuova capacità di rigassificazione nazionale, anche qualificando come opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, quelle per la realizzazione di unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione. Un’operazione di negazionismo climatico che fa il paio con l’attribuzione della responsabilità di quanto accaduto agli ambientalisti.
Da ormai troppi anni la Cgil rivendica e propone politiche urgenti di giusta transizione ecologica, decarbonizzazione dell’economia, misure strutturali di prevenzione e manutenzione del territorio, investimenti adeguati.
Vogliamo una piena occupazione, stabile e di qualità, al servizio del benessere dell’ambiente e delle persone. Dobbiamo intervenire finché siamo in tempo, con la radicalità e l’urgenza che ci indicano tutti i rapporti dell’Ipcc (panel sui cambiamenti climatici dell’Onu).
Serve una legge sul clima che indichi obiettivi, target e tempi certi e rapidi della decarbonizzazione, sul Pniec è necessario, prima del 30 giugno, un confronto fra governo, parti sociali e società civile organizzata, vanno fermati tutti i nuovi investimenti nelle fonti fossili, e trasformati i sussidi ambientalmente dannosi in sussidi ambientalmente favorevoli per recuperare risorse indispensabili per la transizione ecologica, l’adattamento al cambiamento climatico e la prevenzione.
Non possiamo aspettare oltre, siamo già in un irresponsabile ritardo!