A 50 anni dal golpe, il Cile fatica a liberarsi della nefasta eredità di Pinochet - di Vittorio Bonanni

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A cinquant’anni dal feroce colpo di Stato, finanziato dalla Cia e dalle multinazionali Usa, del generale Pinochet contro il legittimo governo del presidente Salvador Allende, assassinato dai golpisti mentre difendeva il palazzo presidenziale de la Moneda, il Cile democratico sta vivendo un vero e proprio incubo. Tutto l’iter successivo alla grande mobilitazione del 2019 potrebbe, infatti, terminare con l’approvazione di una Costituzione peggiore di quella del 1980, promulgata dalla dittatura di Pinochet. Un risultato paradossale se consideriamo che, dopo quella stagione, l’allora presidente Sebastián Piñera fu costretto ad indire un referendum, svolto il 25 ottobre del 2020, stravinto con il 78% da chi voleva mettere la parola fine a quella troppo lunga stagione. Con la Costituzione dei militari cambiata 64 volte dopo il ritorno della democrazia, senza sostanziali risultati.

L’anno dopo, il 15 e 16 maggio 2021, ci fu la consultazione elettorale per eleggere i 155 componenti della Convenzione Costituzionale, vinta dalle forze progressiste e di sinistra. La proposta elaborata da questa assemblea costituente venne, però, respinta il 4 settembre del 2022 con il 61,86% di quell’85,81% che si era recato alle urne, sostanzialmente perché considerata troppo avanzata per un Paese come il Cile, dove la componente moderata, se non reazionaria, è ancora molto forte.

Dunque nuova tornata elettorale il 7 maggio scorso, ad un anno e mezzo – 19 dicembre 2021 - dalla vittoria alle presidenziali del giovane di sinistra Gabriel Boric. Una consultazione finalizzata ad eleggere i cinquanta consiglieri costituzionali, stravinta dalla destra che ha ottenuto nel suo complesso il 56,5%, con il Partido repubblicano di estrema destra di José Antonio Kast, di origine tedesca, figlio di un membro del partito nazista, contrario a ogni modifica del testo di Pinochet.

Fra un paio di settimane da questa assemblea uscirà una nuova proposta che sarà poi di nuovo messa ai voti il prossimo 17 dicembre. Il nuovo testo non potrà tuttavia essere modificato in dodici punti essenziali preparati precedentemente da “esperti”, tra i quali quello che fa del Cile un’economia di mercato con partecipazione statale e privata.

Secondo l’italiano Istituto affari internazionali (Iai) la destra ha di fronte tre opzioni. La prima, voluta da Kast, è la più estremista e prevede la cancellazione totale dei punti più avanzati della precedente proposta di Costituzione. Tuttavia un simile testo correrebbe il rischio di una nuova bocciatura, mentre se approvato potrebbero riaccendersi quelle tensioni sociali apparentemente sopite. Un eventuale “no” alla nuova proposta lascerebbe definitivamente operante la Costituzione di Pinochet, a Kast assolutamente gradita.

La seconda eventualità è che siano effettuati cambiamenti di facciata, un po’ come è successo in questi trentacinque anni di democrazia. L’altra opzione, la meno probabile anche se la più saggia, sarebbe scendere a patti con la sinistra, in particolare con il Frente Amplio di Boric, come vorrebbe la destra più centrista e moderata di Chile seguro, che aveva ottenuto il 21% dei voti per la costituente. In questo modo si darebbe voce a tutte le componenti della società cilena. Anche perché una parte di coloro che hanno bocciato la prima bozza sarebbe comunque favorevole ad una proposta meno radicale.

La nuova Costituzione, sempre se verrà approvata, farà da sfondo alle elezioni presidenziali del 2025, alle quali la sinistra probabilmente arriverà in una condizione di debolezza, a maggior ragione se consideriamo che il Cile sta vivendo una fase recessiva, con il tasso di crescita nell’anno in corso tra il -0,5% e +0,25%, in ogni caso più bassa dell’1% auspicato dal governo. Un peggioramento che ha trovato una giustificazione nella guerra in Ucraina, ma che nel Paese andino ha avuto effetti sociali devastanti.

La decisione del Cile di aumentare i tassi di interesse all’11,25%, pur controllando l’inflazione (8% circa), ha ridotto la crescita perché l’accesso al credito è diventato più difficile sia per i privati che per le imprese. A rendere più complicata la situazione è la fase incerta dell’economia cinese. Pechino ha rapporti molto stretti con il Cile, principale produttore mondiale di rame, molto richiesto dal Dragone, che ne sta però importando quantità minori.

Ovviamente, nel corso dei due anni che mancano alle nuove elezioni, questa deriva potrebbe interrompersi. Ma lo stato attuale delle cose aggiunge un importante elemento in più di preoccupazione per il giovane capo dello Stato. L’incubo di un Cile governato da un ammiratore dei golpisti e con una Costituzione forse peggiore di quella attuale è dietro l’angolo, e cancellerebbe così tutte le speranze riposte in questi anni di battaglie democratiche.

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