La via maestra della Costituzione per un salario giusto e dignitoso - di Pierpaolo Canestraro

Riceviamo e pubblichiamo.

Il salario minimo legale sembra essere diventato uno degli elementi di unità delle opposizioni. Ma continua ad essere annunciato come la soluzione di tutti i mali: si corre il rischio che, polarizzando la discussione e semplificando l’intervento, si finisca col peggiorare le cose.

Le principali cause dei salari bassi vanno ricercate nel dumping contrattuale e nella mancanza di norme vincolanti per i datori di lavoro sull’applicazione dei Ccnl. Inoltre, nuove modalità di lavoro si trovano in un limbo legislativo che le vecchie norme del Codice civile, pensate per lavoro subordinato e autonomo, fanno fatica ad inglobare. Per sopperire a queste mancanze la magistratura, in numerose vertenze, ha emesso già sentenze interessanti.

Né vanno dimenticati gli utilizzi distorti di stage, tirocini, partite Iva, cooperative, ecc., ed altre forme di lavoro etero-organizzate che, insieme ad alcuni interventi del legislatore, hanno contribuito a peggiorare salari e condizioni lavorative.

Escluso dalla proposta di legge sul salario minimo legale, merita invece visibilità il lavoro domestico e di cura di anziani non autosufficienti, settore invisibile, sottopagato anche in nero, i cui costi ricadono interamente sulle famiglie già in difficoltà.

La proposta sul salario minimo legale è stata annunciata anche come sostegno alla contrattazione collettiva con una cifra di circa 9 euro lordi. Lasciando in disparte slogan e semplificazioni, la soluzione a mio parere è molto più complessa di come viene presentata.

Con la proposta di salario minimo legale “9 euro” si interviene sul lavoro contrattualizzato, mentre il resto sopra menzionato continua a restare nel limbo legislativo senza soluzione. Concentrando l’attenzione sui lavori “standard contrattualizzati”, quasi tutti i contratti collettivi sono sopra la cifra ipotizzata. Restano al di sotto alcuni contratti collettivi e contratti firmati da associazioni non rappresentative (contratti pirata) stimati in circa il 15-20% dell’intera platea di lavoratori contrattualizzati. Esistono datori di lavoro che non applicano contratti collettivi nazionali ma solo contratti aziendali o individuali.

Bisogna considerare gli effetti che l’introduzione di un salario minimo legale di questo tipo, con valenza generale, può avere sulla contrattazione collettiva, in cui i minimi contrattuali sono demandati alla contrattazione dalla Costituzione.

I datori di lavoro che non applicano contratti nazionali possono continuare ad attestarsi al di sotto degli standard retributivi e di tutela dei Ccnl, evitando anche contenziosi che attualmente in numerose sentenze della Cassazione riconoscono l’applicazione dei minimi e tutele dei Ccnl. Le maggiori associazioni datoriali e organizzazioni sindacali dovranno tenere in considerazione questo con una possibile contrattazione al ribasso per rendere più attrattivi i Ccnl ed evitare l’uscita di aziende importanti dalle associazioni datoriali. In pratica quello che succede oggi per dumping contrattuale, un domani potrebbe succedere per attestarsi su cifre più basse.

Il problema della rappresentanza sindacale e delle associazioni datoriali non verrebbe risolto dal salario minimo legale, con evidenti effetti sulla contrattazione. Di conseguenza non può esserci estensione erga omnes delle tutele dei Ccnl. La seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione verrebbe bypassata con un intervento ambiguo ed in dubbio contrasto con i valori della Costituzione, che demanda alla contrattazione le materie previste dalla proposta di legge.

Per ultimo, resterebbe in vigore nel nostro ordinamento uno dei tanti interventi demolitori della contrattazione collettiva e con essa di tutele e retribuzioni: l’art.8 del DL n.138/2011 (Monti-Fornero) con estensione degli ambiti di intervento nel 2014 (Renzi-Poletti), la “contrattazione di prossimità” con possibilità di derogare disposizioni di legge.

Soluzioni diverse dal salario minimo legale sono possibili e sono già previste nella nostra Costituzione, solo che da circa 70 anni si è preferito non intervenire.

Come già nel pubblico impiego, con l’Aran, si può intervenire anche nel lavoro privato con una legge sulla rappresentanza con riconoscimento del sindacato. Nel privato, una soluzione potrebbe essere un soggetto pubblico terzo, anche all’interno del Cnel, che partecipa e firma i Ccnl rendendoli vincolanti con estensione generale.

Di conseguenza anche la contrattazione di secondo livello può avere maggiore estensione: rappresentanza ponderata tra deleghe sindacali e votazioni Rsu prestabilite con termini certi possono contribuire anche ad aumentare la produttività in maniera sana e senza ribassi su retribuzioni e sicurezza sul lavoro.

 

Per ultimo, dovranno essere ripensate modalità e meccanismi di rinnovi contrattuali, vacanze contrattuali, adeguamenti all’inflazione: in tutto questo il ruolo delle istituzioni, la politica in generale, non può essere assente né sentirsi assolta con un intervento sommario di salario minimo legale come soluzione a tutti i mali.

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