Un’autonomia contro la Costituzione - di Vasco Cajarelli

L’autonomia differenziata è una minaccia particolarmente insidiosa contro la Costituzione perché viene contrabbandata come un’attuazione della Costituzione.

La grave modifica fu introdotta improvvidamente nel 2001 dal centro-sinistra nella riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, come una sorta di contentino al federalismo sbandierato dalla Lega Nord, nella illusione che avrebbe evitato il riproporsi di minacce all’unità nazionale.

In realtà, i leghisti sostenitori dell’autonomia differenziata sono rei confessi nella loro intenzione di stravolgere la Costituzione quando fanno derivare dall’autonomia differenziata l’instaurazione di uno Stato federale. Quindi prefigurano il cambiamento della forma di Stato mediante una legge ordinaria (la legge Calderoli) e le leggi adottate a maggioranza assoluta che recepiranno le intese tra lo Stato e le singole Regioni, senza che sia approvata una legge costituzionale con il procedimento stabilito dall’art. 138 (doppia votazione delle Camere, di cui la seconda almeno a maggioranza assoluta, e, qualora la maggioranza sia inferiore ai due terzi dei componenti, possibilità di chiedere il referendum da parte di un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).

Va poi considerato che una disposizione costituzionale deve fare corpo con l’insieme delle norme costituzionali e non può pregiudicare i principi supremi della Costituzione e l’assetto complessivo dei rapporti Stato-Regioni. Questo è proprio quello che fanno la legge di bilancio per il 2023 e la legge Calderoli di attuazione dell’autonomia differenziata approvata il 2 febbraio scorso dal Consiglio dei ministri.

Il primo principio fondamentale ad essere violato è l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, che sarebbe pregiudicato dalla numerosità delle materie tutte trasferibili alle Regioni (23 nella intesa relativa al Veneto, 20 per la Lombardia e “solo” 16 per l’Emilia-Romagna) e dalla loro importanza. Infatti, alcune riguardano i diritti fondamentali, come la salute, l’istruzione, i beni ambientali e culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro), altre le infrastrutture di interesse nazionale, come porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione e - sembra incredibile in tempi di crisi energetica in Italia e in Europa - produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.

In pratica l’Italia si trasformerebbe in un Arlecchino diviso in repubblichette titolari di competenze disparate e enormemente differenziate tra di loro. Ciò porterebbe di fatto a una forma di secessione e alla disunione del Paese, progetto che la Lega non ha mai abbandonato, come dimostra il fatto che il referendum consultivo nel 2017 del Veneto (seguito lo stesso anno dalla Lombardia) sulla richiesta di autonomia differenziata si tenne in base alla prima di due leggi approvate nel 2014, che chiedevano ai cittadini di pronunciarsi anche su altri quesiti: se mantenere alla Regione almeno l’80% dei tributi pagati dai veneti, se trasformarla in Regione a statuto speciale, e infine se farla diventare una “Repubblica indipendente e sovrana”.

 

Un principio a essere violato è quello stabilito dall’articolo 2 della Costituzione che impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’art. 5, comma 2, della legge Calderoli stabilisce che il finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni avvenga tramite “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”. Quindi le Regioni più ricche otterranno finanziamenti ulteriori e più cospicui, esattamente al contrario di quanto stabilisce l’istituzione di un fondo perequativo “per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e del comma 5, per cui lo Stato “destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali” a favore di enti locali e Regioni al fine di promuoverne lo sviluppo economico, la coesione sociale e l’effettivo esercizio dei diritti della persona.

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