Tim: cronaca di un disastro annunciato - di Nicola Atalmi

Il governo non rifinanzia il contratto di espansione.

Come su un piano inclinato la traiettoria di Tim, ex monopolista delle telecomunicazioni ed ex campione globale del settore, prende lentamente velocità verso un destino che sembra segnato. Da una parte la separazione della rete affidata ad una nuova società, la Netco, con l’entrata di un fondo di investimento speculativo. Dall'altra la ServCo, la vecchia Tim, senza più la rete ma solo con i servizi commerciali. Per la prima il governo garantisce, con il golden power, che l’acquirente Kkr si impegni per il mantenimento degli attuali livelli occupazionali di 20mila addetti, mentre la seconda resta con i suoi 16mila addetti che saranno affidati alle caritatevoli mani del mercato.

Una scelta già in sé pericolosissima, perché smembra definitivamente la nostra azienda di riferimento delle Tlc, prendendone la parte strategica della rete e affidandola in mani straniere con tanti saluti alla governance nazionale delle sfide della nuova era digitale, fondamentali per qualsiasi ipotesi di rilancio produttivo del nostro Paese oltre che per il diritto dei cittadini alla connessione nell’Italia dei campanili, dove ancora troppe persone sono escluse dalla banda larga.

Teniamo anche in considerazione che anche per l’azienda che gestirà la rete potrebbero in futuro sorgere dei problemi, perché la Netco sarà una azienda meramente di rete mentre la parte dei data center e i servizi per le grandi imprese rimarranno nella vecchia Tim ServCo. Inoltre un fondo speculativo come Kkr, che godrà dei finanziamenti Pnrr per la rete, prevede già di aver completamente risanato l’azienda per il 2030, e potrà già rimettere sul mercato questa nostra infrastruttura strategica. A chi la venderà dopo?

Ma c’è anche un vero tema occupazionale per le nubi che si addensano sui cieli della rimanente ServCo che, destinata a competere nell’agguerrito e poco profittevole mercato delle Tlc senza avere più alle spalle il vantaggio competitivo della più grande e tecnologica rete nazionale, rimane con 16mila dipendenti che risultano essere ampiamente sovradimensionati rispetto alle possibilità di mercato.

Solo per dare una idea dimensionale, la ServCo Tim ha un numero di dipendenti che è superiore alla somma dei suoi concorrenti: Wind Tre, Vodafone, Fastweb e Iliad.

Il governo sovranista di quella destra che mette davanti a tutto l’interesse nazionale, dopo aver acconsentito alla svendita all’estero della rete garantendone, per qualche anno i livelli occupazionali, per i 16mila dipendenti della ServCo aveva garantito alle organizzazioni sindacali che avrebbe rifinanziato il contratto di espansione per cercare di ridurre i costi sociali del probabile taglio occupazionale.

E così il 14 febbraio, non sappiamo se in onore al santo degli innamorati o in ricordo della abolizione della scala mobile, nel corso della assemblea nazionale delle Rsu Slc di Tim piomba da Roma l’ultima notizia, quella davvero preoccupante, che è passata nel silenzio assordante della politica. Sparisce dall’eterno .italico decreto milleproroghe l’emendamento bipartisan, del valore di 150 milioni di euro, che avrebbe dovuto rifinanziare quel contratto di espansione che solo per Tim dal 2019 al 2023 aveva permesso uno scivolo verso la pensione di ben 10mila dipendenti.

Qualche legittimo sospetto per questa amara sorpresa è venuto per il concomitante inserimento di un nuovo emendamento del valore di 220 milioni per rifinanziare l’esenzione dell’Irpef agricola richiesta da quel “popolo dei trattori” tanto caro ad ambienti governativi.

Non sappiamo se le due cose siano collegate ma certo è che la notizia è arrivata alle Rsu Tim come una vera e propria ulteriore doccia fredda. La Slc Cgil ha immediatamente chiesto la convocazione di un tavolo ministeriale perché ci siano risposte vere sul destino di Tim dopo la separazione della rete, sia sulle strategie complessive che sui probabili pesanti risvolti occupazionali.

È tardi per fermare questo disastro annunciato? Non siamo in grado per ora di saperlo, ma certo è che il dibattito su di uno snodo così importante come quello della rete infrastrutturale digitale del Paese, e sull’ennesimo scempio occupazionale su Tim, meriterebbe una attenzione diversa. Forse sui giornali e in televisione se ne parla poco perché Tim è un importante e ricco cliente per la pubblicità?

Noi cercheremo di portare il tema all’attenzione della politica, ma è opportuno che anche tra i lavoratori di entrambe le società cresca una consapevolezza nuova sulla partita cruciale che si sta giocando sulle loro teste.

 

 
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