Italgas Reti: l’insostenibile leggerezza...dell’essere azienda - di Francesco Calabrese

Con questo titolo la Rsu del Polo Lombardia-Novara ha pubblicato l’ultimo comunicato nei primi giorni di febbraio, dopo una serie di incontri inconcludenti con la controparte e dopo aver ricevuto il mandato da tutti i lavoratori rappresentati ad aprire la mobilitazione per rivendicare condizioni di lavoro migliori.

Se si prova ad andare su internet e come qualsiasi utente si digiti chi è Italgas e di cosa si occupa, le risposte automatiche sono: “Siamo leader nella distribuzione del gas, primi in Italia e terzi in Europa, e grazie alle nostre infrastrutture giochiamo un ruolo di primo piano nel percorso di transizione energetica, verso la decarbonizzazione dell’economia e dei consumi, in linea con i target del green deal dell’Unione Europea”.

Accipicchia! Per chi legge, e magari è anche una lavoratrice o un lavoratore dell’azienda, cresce l’orgoglio di appartenere a un’impresa che è, o dovrebbe risultare, fondamentale nel contribuire al cambiamento del Paese.

Con questo atteggiamento non banale (una volta si chiamava senso di appartenenza), le lavoratrici e i lavoratori rappresentati dalla Rsu e dalle organizzazioni sindacali che lavorano nel territorio della Città Metropolitana di Milano si confrontano con la direzione aziendale, convinti che sia necessario, per garantire quel ruolo di leader di cui sopra, contribuire a migliorare le condizioni di lavoro e dei lavoratori e accrescere l’occupazione sia in termini quantitativi che qualitativi.

Dall’uscita dalla fase drammatica del Covid-19, dove si è toccato con mano la necessità dell’azione sindacale per correggere le “fragilità” organizzative dei processi di lavoro, in modo da salvaguardare la salute e la continuità dell’erogazione del servizio essenziale di distribuzione del gas, è seguita immediatamente una nuova fase, nella quale siamo immersi, di innovazione e investimenti orientati alla transizione.

Qui si innesta la nostra battaglia, che si sta diffondendo su tutto il territorio nazionale, con questi obiettivi fondamentali: assumere personale, in particolare sulla parte operativa; ridurre l’orario di lavoro, a parità di salario, per tutti i lavoratori assunti post 2002, equiparandoli a 38 ore settimanali; favorire un passaggio di competenze e conoscenze tra il personale in uscita per raggiunti limiti di età e il personale che necessariamente deve entrare; internalizzare le attività distintive del lavoro oggi appaltate.

L’idea che l’innovazione tecnologica e digitale debba essere pagata dai lavoratori, pensando che si realizzi in extremis un grande automa meccanizzato che disintermedia tutti i processi lavorativi e polarizza da una parte personale altamente specializzato e dall’altro personale a basso valore aggiunto, è un enorme errore.

Poi c’è il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, che ha una peculiarità nel settore gas-acqua dovuta al fatto che i lavoratori assunti dopo il 2002 hanno un orario di lavoro di 38 ore e 30 minuti a settimana, a differenza dei lavoratori assunti prima del 2002 che hanno un orario di lavoro di 38 ore a settimana. Di fatto si è venuta a creare una disparità di trattamento evidente che a nostro giudizio deve essere sanata, anche attraverso la contrattazione aziendale.

Infine, abbiamo la necessità di mettere in campo un programma di assunzioni legato alla trasmissione delle conoscenze e competenze acquisite negli anni, che non possono essere ridotte o sostituite da procedure di lavoro standard, da consegnare ai nuovi assunti. Perdere conoscenze e competenze, infatti, vuol dire non essere più in grado di effettuare determinate lavorazioni ed essere costretti a farle fare all’esterno con conseguenze gravi per la tenuta futura dell’azienda.

Noi pensiamo che i lavoratori debbano partecipare a questi cambiamenti con un maggior protagonismo collettivo. Oggi siamo alle porte di una grande azione di forza che pensiamo debba portare la controparte a riaprire i tavoli negoziali.

 

 
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