Il Comune di Como fa la festa a famiglie e bambini: chiude due asili e lo annuncia l’8 marzo - di Stefania Macrì

Il sindaco di Como Alessandro Rapinese e la sua giunta “civica” chiudono due asili nido della città e lo annunciano nella giornata internazionale della donna, notoriamente giornata di rivendicazione anche di tutti quei servizi di welfare in grado di supportare le famiglie, e spesso solo le donne, nel lavoro di cura. Una decisione scriteriata quella dell'amministrazione comunale, tesa a smantellare il sistema capillare di asili nido che hanno fatto di Como una città all’avanguardia da quarant’anni a questa parte: dieci asili nido pubblici nei quartieri a garantire sussidiarietà territoriale, e stretta sinergia con le scuole dell’infanzia in un vero percorso 0-6, decenni prima che iniziasse la discussione sul tema ad ogni livello politico. I nidi di Como sono da sempre un’eccellenza, e le lavoratrici si sentono parte di questa storia.

Tuttavia il sindaco e l’amministrazione, all’unanimità, noncuranti della qualità del servizio ma con pura logica ragionieristica, scelgono la dispersione di competenze e di continuità didattica e geografica, preferendo chiudere, accentrare il personale, e costituire “macronidi” invece di ampliare i servizi di quartiere vicini alle famiglie. Una scelta antistorica, in un momento in cui l’Ue chiede all’Italia di ripensare il sistema dello 0-3 anni, considerato che solo il 33% dei bambini italiani accede al nido, contro il 50% e più di Spagna e Francia e il 70% di Olanda e Danimarca, e di ripensare il tessuto socio urbano nell’ottica della città a 15 minuti, garantendo servizi fondamentali raggiungibili a piedi o al massimo in bicicletta.

Perseguendo la logica del risparmio, il Comune costringe decine di famiglie ad usare l’automobile allungando i tempi di trasporto, specialmente in caso di più figli dislocati in plessi diversi, alimentando traffico e inquinamento. Non solo, l’amministrazione decide di convenzionarsi con il privato per aumentare il numero complessivo di posti disponibili. Oltre al danno anche la beffa: chiude nidi a diretto controllo e gestione pubblica per aprire ai privati, rinunciando quindi alla possibilità di gestire direttamente i piani educativi, la formazione del personale, le assunzioni necessarie.

Così i genitori faranno domanda per accedere al servizio pubblico e potranno invece essere dirottati sul privato, senza alcuna garanzia di qualità del servizio. E come se non bastasse, da qui a tre anni non sono previste nuove assunzioni di educatori pubblici: l’amministrazione non intende più sostituire il personale comunale tramite concorsi pubblici, bensì avvia la cosiddetta “coprogettazione” con il privato sociale. Di fatto, il personale comunale verrà affiancato e, in un’ottica di breve-medio periodo sostituto, dal privato del terzo settore.

Anche in questo caso l’ente pubblico abdica a favore del privato, con tutto ciò che ne consegue. Nei servizi ad alta intensità di manodopera come quelli educativi, infatti, il costo del personale è quello che viene compresso nella logica del profitto: lavoratrici del terzo settore lavorano con condizioni ben peggiori di quelle comunali, stipendi ridotti del 30%, assenza di retribuzione e contribuzione durante i mesi di chiusura estivi e di festività programmate, formazione non sufficientemente garantita, elevato turn-over dovuto alla ricerca di condizioni economiche e lavorative migliori. A pagarne le conseguenze saranno i piccoli cittadini, in termini di minore qualità del servizio offerto e maggiore discontinuità educativa, con cambi frequenti e repentini delle figure educative di riferimento.

L’idea di servizi di welfare alla cittadinanza dell’amministrazione Rapinese rasenta lo zero: la chiusura di due strutture, l’apertura ai privati e l’esternalizzazione degli asili nido comunali rischiano di generare un grave contraccolpo sociale, con ricadute sull’intero territorio cittadino sia in termini di qualità di servizi erogati, che di lavoro povero generato. La città di Como è sempre più simile a un luna park per turisti che a una città per famiglie e lavoratori e lavoratrici.

Comunque la nostra battaglia per i nidi pubblici non si ferma, il personale all’unanimità ha indetto lo stato di agitazione e i genitori si sono costituiti in un comitato: porteremo le nostre rivendicazioni in tutte le sedi.

 

 
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