Transizioni ecologica e digitale: dal lavoro il percorso per uno sviluppo sostenibile e una buona occupazione - di Nicola Atalmi

Dalle vuote passerelle del G7, alle vive e concrete testimonianze di delegate e delegati della Cgil negli stessi giorni, tra Verona e Trento.

Nei giorni scorsi si è tenuto a Verona e Trento il “Vertice G7 dell’industria, della tecnologia e del digitale”. Primo caso di G7 diviso in due città (ma si sa, i due protagonisti italiani hanno evidentemente due bacini elettorali diversi), dove - sotto lo sguardo elegante e severo appunto dei due padroni di casa, il ministro Adolfo Urso e il suo sottosegretario e camerata di partito Alessio Butti - si è discusso in tre sessioni di “Intelligenza artificiale e tecnologie emergenti nell’industria”, poi di “Reti sicure e resilienti. Catene di approvvigionamento e Fattori chiave di produzione”, e infine di “Sviluppo Digitale – Prosperare Insieme”.

Non c’è che dire, un ambizioso progetto di convergenza e lavoro comune tra le sette potenze del pianeta, su di un tema di stretta attualità e di molteplici piani di lavoro. Infatti è proprio la prima volta che un G7 si occupa di “governo digitale”. Ma non è l’unica novità, perché l’imprimatur della destra sovranista si coglie anche dal fatto che è anche la prima volta che partecipano ad un panel dei G7 anche i rappresentanti delle sette associazioni imprenditoriali. Ovviamente come parti sociali è stata ascoltata solo la voce del padrone, perché la voce di chi lavora evidentemente non interessava molto.

Dalla pirotecnica, e un po’ ridicola, conferenza stampa di fine lavori non si è capito nulla di cosa si sia discusso precisamente, mentre dai documenti conclusivi emerge che sono stati presi impegni di lavoro comune su vari temi decisamente importanti: dalla libertà di Internet all’impatto dell’Intelligenza Artificiale nello sviluppo, fino al tema dei semiconduttori. Temi quindi importanti ma senza grandi impegni concreti, come spesso accade a questi vertici-passerella.

Un po’ di concretezza in più si è potuta invece cogliere a Verona, il giorno precedente e in un’altra location, all’auditorium della Fiera, dove Cgil nazionale e Cgil Veneto hanno dato vita ad un “Contro G7” dal titolo “Nelle due grandi transizioni per lo sviluppo e la buona occupazione”, nel quale hanno preso la parola lavoratrici e lavoratori dei settori produttivi industriali che stanno concretamente vivendo la transizione energetica ed ambientale, e quella dell’innovazione tecnologica e digitale. Si tratta di trasformazioni globali che incidono ed incideranno sempre più non solo su come si producono beni e servizi, ma anche nella vita quotidiana dei cittadini, finanche nei meccanismi democratici delle società moderne.

Significativamente la Cgil ha dato la parola a lavoratrici e lavoratori proprio dei settori particolarmente interessati a questi cambiamenti. Le loro voci ci hanno restituito una fotografia caleidoscopica che intreccia rischi e opportunità di queste trasformazioni, di come settori maturi e altri più nuovi vivano questi cambiamenti. Realtà ed esperienze diverse, positive e negative, ma con un filo conduttore certo e consolidato che è quello, denunciato dai segretari di categoria e dal segretario confederale Pino Gesmundo nelle conclusioni: l'assoluta mancanza di una capacità di regia e programmazione da parte delle associazioni imprenditoriali e della politica.

Per noi in Veneto questa non è una novità. Da sempre le trasformazioni del sistema economico e imprenditoriale in queste terre, dai distretti alla globalizzazione neoliberista, sono allergiche a regole, programmazione, condivisione: un sistema “anarchico” che è al tempo stesso creativo e autodistruttivo.

Ha aperto gli interventi Francesco, un delegato Flai Cgil di Verona presso la Acque San Benedetto, che racconta un caso concreto di transizione ecologica e tecnologica seguito a due anni di cassa integrazione dove, grazie all’impegno del sindacato, è stato possibile tenere assieme un ricambio generazionale su base volontaria a fianco ad un robusto sostegno a percorsi formativi. Francesco mette il dito nella piaga della precarietà che indebolisce le prospettive, e della necessità che il sindacato rappresenti anche lavoratrici e lavoratori dei settori impiegatizi, che non sono direttamente in produzione e che, pur rappresentando una quota crescente in questi settori, partecipano poco all’attività sindacale pensandosene estranei. Queste divisioni si superano con la solidarietà e il lavoro comune: un lavoro duro, non sempre facile, ma che è possibile proprio per la passione e le competenze delle nostre Rsu nei luoghi di lavoro.

È una sua compagna di lavoro a leggere l’intervento di Ilenia perché lei, nel triplice ruolo di lavoratrice, delegata e mamma, non può esserci per motivi familiari, ma ci consegna l’orgoglio di una lavoratrice di origine rumena, carrellista, da tempo rappresentante sindacale della Fillea Cgil di Treviso nello stabilimento Mediaprofili, colosso del mobile, grande fornitore di Ikea per la quale produce pannelli e componenti. Un’azienda tutt’ora in salda mano familiare del fondatore dal 1982, che passa dai 191 milioni di fatturato e 430 dipendenti del 2009 ai 395 milioni di utili dello scorso anno con più di 1.100 dipendenti. Una crescita resa possibile da un costante investimento della proprietà nell’azienda, che ora è altamente meccanizzata, e dalla acquisizione di altre aziende del settore, nello stesso territorio, e una partnership forte con Ikea che ha permesso anche di competere su scala globale con altri fornitori. Una contrattazione aziendale che è riuscita a conquistare salari sopra la media del settore, e accompagnare una innovazione tecnologica e una riconversione ecologica, come richiesto tassativamente dal colosso svedese, che non ha fatto perdere posti di lavoro e redditività. Anzi.

Poi è la volta di Luca, delegato sindacale della Riello della Fiom di Verona. Ripercorre la storia del colosso dei bruciatori che attraversa un secolo, da azienda familiare a gruppo multinazionale, passando per le successive trasformazioni ecologiche, dal carbone alla nafta pesante, poi al metano e all’elettricità. In questo caso industriale la divisione tra i cugini fondatori apre le porte alla finanza e alle banche, per arrivare progressivamente ad essere proprietà di una multinazionale americana. In questo caso i problemi sorgono dalle preoccupazioni circa la capacità dello stabilimento veronese di reggere alla transizione ecologica, perché la multinazionale ha già altre aziende dove ha investito nel settore delle nuove fonti rinnovabili. Il nostro delegato ricorda, con una punta di amarezza, come la Fiom abbia organizzato un convegno, nel lontano 2008, per discutere appunto della necessità di un lavoro di squadra tra le aziende del settore e le istituzioni, per superare la frammentazione ed affrontare le nuove sfide con una struttura distrettuale. Ma, come sappiamo, fare squadra non è propriamente una caratteristica dell’imprenditoria veneta. E da allora si è accumulato troppo ritardo.

Prende poi la parola Caterina, delegata Zalando della Filt di Verona. Racconta il caso imprenditoriale del colosso dell’e-commerce dell’abbigliamento, con un polo logistico a Nogarole Rocca di 230mila metri quadrati con oltre 1.600 dipendenti, che salgono fino a 2.000 nei picchi commerciali. Uno stabilimento dove la robotica si sposa con la qualità dell’occupazione, e la contrattazione aziendale della Cgil strappa condizioni migliorative sul lavoro nei weekend e sulle ferie. E ci racconta di un sindacato che arriva con intelligenza a discutere anche di come uno stabilimento di questo tipo e di tali dimensioni impatta con il territorio di un piccolo comune, non solo per i camion ma anche per il pendolarismo dei dipendenti.

È poi la volta dell’amarezza di Mauro, delegato Filctem del petrolchimico di Marghera, che rappresenta la sua storia come la fotografia del disastro nazionale della chimica del nostro Paese: transizioni green sempre annunciate e mai avviate davvero, come pure le necessarie bonifiche, in un declino occupazionale senza prospettive. Un racconto esemplare che pone con forza la domanda di come la transizione energetica ed ecologica in questo paese non debba scaricare i costi sul lavoro.

L’ultimo intervento è quello di Katia, delegata di Tim, che ci porta all’attualità della scellerata decisione di spezzettare l’azienda, separando la rete che andrà in mani (speculative) di un fondo americano, non senza ulteriori investimenti pubblici, mentre rimarrà una Tim solo commerciale senza la rete, la cui sopravvivenza sul mercato è già stata giudicata negativamente proprio dalle borse. Nel momento in cui, proprio dal G7, viene l’indicazione che serva unire le forze in Europa per avere gruppi di Tlc continentali in grado di competere alla pari con i colossi asiatici e statunitensi, noi demoliamo il nostro campione nazionale, condannando il nostro paese ad essere terreno di scorribande straniere e mero mercato di sbocco per aziende con il cervello, e il cuore, molto lontano.

Ecco, forse al G7 del ministro Urso e dei suoi illustri ospiti avrebbe fatto bene un giro tra le lavoratrici ed i lavoratori che si sono incontrati a Verona, per cogliere la realtà viva di come le transizioni si concretizzano nei nostri territori e come possono incidere concretamente sul lavoro. Queste due profonde transizioni disegnano un profilo nuovo del capitalismo globalizzato e finanziarizzato, che richiederebbe una classe politica, almeno europea, capace di rappresentare anche il lavoro e di accompagnare e correggere le trasformazioni di questi tempi difficili.

 

 
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