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Lorenzo Parelli, studente del quarto anno di un centro di formazione professionale di Udine, ha perso la vita a 18 anni nell’ultimo giorno di stage del progetto di alternanza scuola-lavoro. Secondo le ricostruzioni, stava eseguendo lavori di carpenteria metallica in un’azienda meccanica: una putrella gli è caduta addosso, uccidendolo. L’ennesimo incidente mortale in un luogo di lavoro, tanto più inaccettabile perché colpisce un giovane studente, durante quella che avrebbe dovuto essere un’esperienza formativa negli ora ribattezzati “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” (Pcto).
Al cordoglio per la morte orribile di un ragazzo tanto giovane - in un Paese dove lo stillicidio di vittime quotidiane, una strage di incuria e sfruttamento, ha contato oltre 1.400 morti sul lavoro lo scorso anno - si unisce l’indignazione per il fatto che si continua a utilizzare l’alternanza per impegnare gli studenti in attività che appaiono chiaramente lavoro non retribuito, spesso con scarsi livelli di sicurezza.
Sarà la magistratura ad accertare la dinamica dell’incidente mortale e le responsabilità dell’azienda, in un quadro generale di pesanti responsabilità delle imprese nella mancata applicazione delle norme e della cultura della prevenzione e di mancati controlli pubblici.
Le morti sul lavoro non sono mai fatalità, ma il frutto del dispregio dei dettami della Costituzione, che rimane fuori dai cancelli di troppe fabbriche. E mai l’alternanza scuola-lavoro dei giovani studenti dovrebbe essere trasformata in lavoro, oltretutto non retribuito, né le funzioni formative, gli stage, possono divenire strumento per ridurre il costo del lavoro e aumentare la produzione.
L’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro, introdotta dalla renziana legge 107, propagandata dall’allora premier come “buona scuola”, ha comportato la moltiplicazione di esperienze e attività slegate dal proprio percorso educativo e spesso improvvisate, di scarsa qualità, in tanti casi vere e proprie prestazioni di lavoro gratuito, prive di qualsiasi contenuto educativo. È ora di dire basta!
Questa tragica vicenda conferma le rivendicazioni della Flc e della Cgil: l’abrogazione dell’obbligatorietà dell’alternanza, dando centralità al ruolo della scuola e alla conoscenza dei diritti dentro i luoghi di lavoro. La nostra organizzazione, da sempre portatrice del valore del lavoro, ha continuamente sottolineato la centralità di una impostazione educativa e didattica per ogni attività rivolta alle studentesse e agli studenti che sono affidati alla scuola.
Speriamo solo che, davanti alla morte in fabbrica di uno studente diciottenne, tutti, nessuno escluso, imprese, associazioni padronali, enti di vigilanza, istituzioni, si facciano un esame di coscienza, e riflettano se stanno facendo davvero tutto il possibile per evitare che questa strage continui, e per garantire la sicurezza e l’incolumità di chi lavora. Allo stesso tempo, il nostro sindacato è chiamato a moltiplicare l’impegno, la vigilanza, la lotta per il diritto allo studio e al lavoro in piena salute e sicurezza.
La rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, viste le modalità con cui è avvenuta, porta con sé una serie di conseguenze politiche. Tutte ad alto peso specifico, destinate a segnare sia il cammino residuo di questa legislatura che il quadro di partenza della prossima.
La prima e più importante conseguenza è la fine, definitiva, del bipolarismo. Nella pur trentennale trimurti del (centro)destra, le divisioni fra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono state infatti talmente marcate da far ipotizzare una lunga fase di rapporti gelidi, se non apertamente conflittuali, tra le diverse forze politiche. E la decisione di Forza Italia di compattarsi con l’area di centro, prima sul nome di Pierferdinando Casini e poi su Mattarella, prefigura nuovi scenari.
Anche nel campo del cosiddetto centrosinistra, dove pure le differenze sono state più sfumate, l’accordo fra Pd e Movimento 5 Stelle ha mostrato profonde crepe. A partire dalle opposte valutazioni di partenza, con il Pd a favore di Mario Draghi al Quirinale e il M5S apertamente contrario, per finire con la plateale spaccatura interna nel partito che aveva stravinto le elezioni del 2018, e che oggi è frantumato in tanti progetti politici e personali.
La conservazione dello status quo, con Draghi alla guida del governo e Mattarella al Colle, è stata salutata con soddisfazione dalle variegate forze politiche di centro. In primis dall’Italia Viva di un Matteo Renzi che ora ha un anno di tempo per dare gambe al suo, dichiarato, progetto di una coalizione alternativa sia alla destra (Lega e Fdi) che all’alleanza Pd-M5S-Leu, sostenitrice all’epoca del secondo governo di Giuseppe Conte.
Proprio questo progetto politico, nel quale confluiranno con tutta probabilità gli orfani dell’ormai troppo anziano e acciaccato Silvio Berlusconi, dà l’ultima palata di terra al bipolarismo. Peraltro sempre costruito “in vitro”, grazie a leggi elettorali costruite ad hoc.
Scrivo questo personale ricordo a pochi giorni dalla morte, a 82 anni, dell’amico, del compagno Domenico Bonometti. Se n’è andato in silenzio, in punta di piedi, con la stessa orgogliosa dignità che ha caratterizzato tutta la sua vita di uomo, padre, marito, militante politico e sindacalista. Un padre che ha dovuto affrontare, insieme alla moglie Lucia e al figlio Andrea, l’indicibile dolore per un’immensa perdita, una delle prove più dure e difficili che si possano immaginare. La sua profonda umanità, il suo riserbo orgoglioso pur nella sofferenza mi hanno sempre accompagnato. Mi accompagnano ancora.
La scomparsa di Domenico addolora e sgomenta tutti coloro che hanno avuto il privilegio di godere della sua amicizia, la fortuna di condividere con lui una vita di militanza e di passione politica sindacale. Per me, oltre quarant’anni. Anni fantastici e terribili, di impegni faticosi, di delusioni e disillusioni, di conflitti e di amicizie interrotte, accompagnati da indimenticabili momenti di gioia, di conquista, di vicinanza e di solidarietà. E momenti di sorrisi, di conviviale e piacevole leggerezza.
Potrei condensare il ricordo di Domenico in pochissime parole: era una bella persona, un uomo gentile, perbene, doti essenziali che lo hanno accompagnato per tutta la sua non sempre facile esistenza.
Il mio rammarico è di non aver potuto partecipare all’ultimo saluto, perché stavolta il tam tam della solidarietà, dell’appartenenza, della vicinanza nel dolore non ha funzionato: l’informazione sulla sua morte è stata a dir poco deficitaria, in Cgil e tra di noi. Perché Domenico era uno di noi, un delegato di fabbrica, un dirigente sindacale della Fiom, della Cgil e dello Spi. Un militante e dirigente della sinistra politica, da sempre parte di una lunga storia collettiva, umana prima che sindacale e politica, che nulla e nessuno può cancellare.
Nei ricordi di questi giorni c’è un giudizio unanime, un riconoscimento che accomuna tutte e tutti. Domenico, compagno schietto e puntiglioso, partigiano appassionato, non aveva ambiguità né diversi volti secondo le occasioni, lui era vero agli occhi di tutti. Semplice, schivo, diretto e privo di doppiezze, lineare nei suoi ragionamenti tanto quanto coerente nelle sue scelte. Unitario, disponibile, gentile, leale quanto radicale, fermo e deciso nelle sue profonde convinzioni, rigoroso, determinato anche nel conflitto e nelle rotture. Un combattente, un militante coerente sino in fondo, sino allo sfinimento delle sue forze, che erano molte, straordinarie dietro l’apparente fragilità del suo fisico minuto, nervoso ma robusto.
Ho conosciuto Domenico nella veste di delegato di fabbrica e militante di Democrazia Proletaria; facevamo attività politica nella zona nord est di Milano - abitava a Settala - mentre sindacalmente militava nella zona sud perché lavorava nella fabbrica metalmeccanica Nardi, a Linate. Eravamo alla fine degli anni ‘70, io giovane delegato della Gte di Cassina de’ Pecchi, Domenico, più “anziano” di età e di esperienza, un vero “capofabbrica” da ascoltare sempre con attenzione.
Nelle mille lunghe e fumose riunioni sindacali e di partito era un riferimento per noi giovani delegati. Non incuteva soggezione ma naturale rispetto. Quando ci si trovava dopo il lavoro in via Vetere, sede di Avanguardia Operaia e poi di Democrazia Proletaria, nella commissione lavoro organizzata dall’indimenticabile compagno Luigi Cipriani, “Cippone”, per non sbagliare l’intervento attendevo quello di Domenico.
Eravamo due metalmeccanici iscritti alla Fiom, compagni della sinistra sindacale, di “Democrazia Consiliare”, la componente di Dp quando nella Cgil c’erano ancora le componenti di partito. Lì sono le radici della sinistra sindacale collettivamente organizzata in Cgil: noi siamo figli di quella storia, della quale Domenico è stato un protagonista assoluto.
Lui del Pdup, io di Ao, del Cub Autelco, poi sempre insieme dentro Dp dalla sua nascita, nel 1975, sino allo scioglimento nel 1991. Poi ancora insieme in Rifondazione Comunista sino alla scissione e alla nascita del Pdci. Sempre a fianco nella lunga storia della sinistra sindacale, fino alla divisione organizzativa e politica intervenuta, purtroppo, nel nostro percorso sindacale.
Domenico era un dirigente regionale e nazionale della Fiom, dal congresso del 1986 entrò a far parte del Comitato Centrale e, prima del congresso nazionale di Verona del 1989-90, venne distaccato dalla fabbrica come funzionario Cgil a Milano, divenendo tra l’altro riferimento politico e organizzativo di Democrazia Consiliare.
Al Congresso Fiom di Verona, dopo un durissimo scontro politico, riuscimmo a farci riconoscere come rappresentanza plurale di Democrazia Consiliare, e anche grazie a lui un gruppo di compagni, tra cui il sottoscritto, entrò nel Comitato Centrale. Erano anni di dure battaglie politiche interne all’organizzazione, di disconoscimenti e discriminazioni, di lotte sindacali nei luoghi di lavoro e nelle piazze contro il padronato e i governi di allora.
Domenico aveva un forte senso di appartenenza alla Cgil e al partito. Orgoglioso, apparentemente spigoloso, su di lui potevi contare sempre. In ogni momento trovavi solidarietà, vicinanza, complicità e forza morale, e un innato spirito di servizio, una predisposizione alla militanza estrema, totale e caparbia.
Centinaia di banchetti per la raccolta firme per i referendum di Dp sulla contingenza, sull’articolo 18, contro il nucleare; centinaia le manifestazioni, le lotte per la conquista dei contratti nazionali, i picchetti dinanzi alle fabbriche in lotta, le mobilitazioni contro l’inquinamento, per la difesa dell’ambiente e della democrazia. Le feste di Dp prima e di Rifondazione poi della zona nord est, le campagne elettorali snervanti, decisive per la sopravvivenza di Dp in Parlamento.
La sua auto sempre carica di volantini, giornali, bandiere, tavoli, scope e secchi per “attacchinare” migliaia di manifesti, giorno e notte. La preparazione dei comizi nei tanti paesi, nei quartieri popolari, dinanzi le fabbriche. Momenti di ristoro al bar, in alcune occasioni a casa sua, nel palazzo popolare di Settala dove viveva con la sua bella famiglia. Lui c’era sempre, era una presenza sicura, affidabile.
Indimenticabili le elezioni politiche del 1983. Dopo la delusione cocente del mancato quorum del cartello di Nuova Sinistra Unita del 1979, mitigata poco dopo dall’elezione di Mario Capanna a deputato europeo per Dp, ci siamo immersi col massimo impegno, giorno e notte, in una campagna elettorale che avrebbe potuto segnare precocemente la fine del partito. Dp raggiunse il quorum, fu eletta una agguerrita pattuglia di 7 deputati che si posizionò all’opposizione del primo governo Craxi.
Quel decisivo risultato elettorale fu possibile grazie alla presenza nei luoghi di lavoro di delegati, “capofabbrica” e dirigenti politici-sindacali come Domenico. Averlo a fianco nello scontro politico e sindacale, davanti ai cancelli della fabbrica o nel corteo, nei congressi o nelle tante riunioni sindacali, ti dava sicurezza. Radicale ma mai estremista, con una forte cultura unitaria, confederale e generale, mai chiuso nel particolare della sua realtà produttiva.
Domenico, rigoroso e puntiglioso, mai pedante, un linguaggio diretto fuori da ogni “sindacalese” e “politichese”, semplice quanto chiaro ed efficace, forgiato nel rapporto diretto con il mondo operaio come delegato di fabbrica. Si faceva capire sempre, per sua natura, per appartenenza di classe. Era gentile ma non accomodante, disponibile all’ascolto ma non remissivo, di nobili sentimenti tra i quali albergava pure un giusto conflitto di classe. Difendeva con determinazione le sue idee e ciò in cui credeva.
Aveva deciso da sempre con chi stare, forte delle sue radici, della sua cultura, della sua storia, capace di una “mite” quanto determinata autorevolezza nella conquista del consenso, nel luogo di lavoro come nel territorio e nel sindacato.
Sulla coerenza e la lealtà di Domenico non c’era da dubitare. Anche quando le nostre strade si sono divise, due congressi fa, non si è mai spezzata l’appartenenza alla storia comune, non sono venute meno le ragioni profonde che avevamo collettivamente costruito e condiviso. Le rotture politiche ci hanno segnati, mai però è venuta meno la stima, la solidarietà, la vicinanza umana, l’amicizia che si è cementata, con Domenico e con altre e altri, in oltre 40 anni di passioni e di lotte. Ci siamo divisi ma non ci siamo mai persi.
Domenico non aveva ambizioni personali, non si metteva in corsa per una carica sindacale, e forse per questo non ha avuto i giusti e meritati riconoscimenti. Ma lo trovavi sempre un passo avanti come delegato, come dirigente rappresentativo immerso nella realtà sociale. Nemico della retorica verbosa e delle analisi prive di concretezza, andava al sodo delle cose e i suoi interventi erano decisi, sempre “sul pezzo”. Camminava sulla terra e viveva la condizione operaia direttamente nella quotidianità.
È stato un dirigente sindacale e un politico capace di seminare cultura e coscienza, un lavoro enorme, essenziale per una nuova sindacalizzazione e politicizzazione nel mondo del lavoro, e dentro e fuori la fabbrica. Questo non gli è stato mai adeguatamente riconosciuto.
Sceglieva per convinzione, mai per opportunismo o convenienza personale. Era di una lealtà traboccante, sconfinata, e questo modo di essere e di vivere con coerenza la sua militanza, merce sempre più rara, è rimasto indelebile. Era una persona di specchiata e rigorosa moralità.
Troppi amici, compagne e compagni ci hanno lasciato. Certi vuoti non si colmano e ci accompagnano tutta la vita. Li riempiamo facendo vivere ogni giorno i desideri e le aspirazioni delle loro esistenze. Il modo migliore per ricordarlo, dunque, è continuare a impegnarci, a lottare con la stessa passione e dedizione per quel mondo migliore cui aspirava, e al quale ha dedicato la sua vita di uomo e di militante sindacale e politico. Ciao Domenico, ti vogliamo bene. Grazie.
Caro Domenico, abbiamo seguito con grande apprensione la tua malattia, dall’intervento che sembrava riuscito fino all’improvviso aggravamento con un ulteriore intervento d’emergenza, la lunga riabilitazione che ti aveva riportato alla normalità e risvegliato il tuo interesse per la nostra comune vita politica e sindacale, in un dialogo quotidiano, con un continuo scambio di idee, opinioni, proposte, appuntamenti. Ma tutto purtroppo s’è concluso, brutalmente, con la tua fine improvvisa.
È una perdita incommensurabile: ci manca enormemente, proprio in questo momento di difficoltà e di crisi, il tuo stimolo, il tuo giudizio sempre saggio e preciso, la tua immancabile presenza da protagonista. La tua storia è la nostra storia, di tutti noi, perché ci hai accompagnato, da protagonista, con modestia e senza esibizionismi, in tutte le vicende della sinistra politica e sindacale dalla seconda metà del ‘900 fino ad oggi.
Come militante nel contempo sindacale e politico, hai sempre ritenuto che, pur nella loro reciproca autonomia, questi due aspetti dovessero essere ricomposti in un orizzonte di valori ed obiettivi comuni. Dopo aver militato nello Psiup e nel Pdup, ci avevi raggiunto in un percorso comune nell’esperienza libertaria di Democrazia Proletaria, profondamente impegnata nel mondo del lavoro, nell’ambiente, la salute, la democrazia.
Hai sempre partecipato attivamente a quel Dipartimento Lavoro che è stato soggetto fondamentale dell’azione di Dp. Sei stato uno dei principali protagonisti delle assemblee operaie del “Lirico”, in cui Dp divenne il punto di riferimento dell’opposizione operaia alla politica di concertazione di Cgil, Cisl, Uil. Sei stato un protagonista fondamentale, a partire dalla raccolta delle firme fino all’organizzazione delle assemblee, di tutte le iniziative referendarie e delle leggi di iniziativa popolare promosse da Dp, per l’estensione dell’articolo 18 alle piccole aziende, per il recupero della contingenza nella liquidazione (per cui oggi esiste il Tfr), contro il nucleare, la caccia, l’installazione dei missili, gli sfratti, l’uso dei pesticidi, per l’equità fiscale per lavoratori e pensionati, per il garantismo e per far pagare i danni agli inquinatori.
Dopo lo scioglimento di Dp hai militato in Rifondazione Comunista e in Sinistra Italiana, ma nella ferma convinzione della necessità di ricostruire un nuovo orizzonte alternativo unitario per la sinistra di classe, ambientalmente e socialmente impegnata, superando l’attuale frammentazione con un nuovo radicamento sociale.
La tua storia sindacale ti ha visto protagonista, come operaio “capofabbrica” militante alla Nardi, della nascita del “Sindacato dei Consigli” sostenuto dal protagonismo delle lotte dei lavoratori. Come delegato sei entrato nel Comitato Centrale della Fiom e hai partecipato da protagonista alle imponenti manifestazioni e agli scioperi dei delegati “Autoconvocati”, contro il taglio della scala mobile nel 1984, che hanno dato vita alla nuova componente programmatica di “Democrazia Consiliare”, che si proponeva il superamento delle componenti partitiche tradizionali, richiamandosi all’esperienza dei Consigli di Fabbrica. E ha segnato la nascita della nuova “sinistra sindacale” nelle diverse forme che si sono poi succedute, da “Charta ‘90” a “Essere sindacato” ad “Alternativa Sindacale”.
Come rappresentante della sinistra sindacale sei divenuto funzionario della Camera del lavoro di Milano e poi segretario lombardo dello Spi e membro del suo Direttivo nazionale. Allo Spi sei stato un instancabile organizzatore dell’area nazionale. Hai organizzato e assunto la presidenza di tutte le assemblee nazionali dell’area della sinistra dello Spi, da quella di Isola delle Femmine a quelle di Torino e Milano.
Ricorderemo sempre il tuo impegno politico-sindacale, con un attivismo continuo, dinamico e senza riserve, caratterizzato da una forte intransigenza morale, contro ogni compromesso o lassismo, disinteressato all’affermazione personale e impegnato in un lavoro intenso per il successo dell’azione collettiva.
Il tuo lavoro, prezioso e decisivo, non ha mai avuto quella evidenza pubblica che avrebbe meritato. Hai sempre lavorato, caparbiamente, per una ricomposizione unitaria della sinistra sindacale, e di una più vasta sinistra politica radicata socialmente, ambedue essenziali nell’attuale situazione di disgregazione politica, sociale e del lavoro.
La tua ininterrotta assidua militanza, missione irrinunciabile di tutta la vita, è un esempio decisivo per tutti noi. Ci lasci un impegno ed una testimonianza: continuare, con assiduità e coerenza, nella battaglia per la libertà, la democrazia, la difesa dei diritti e il protagonismo sociale del mondo del lavoro, che occorre riunificare in un comune progetto di alternativa sociale.
Ciao Domenico, è stato un privilegio averti come compagno ed amico, e sarai sempre con noi per proseguire la nostra battaglia comune per costruire un’alternativa egemone di lungo periodo, un progetto di futuro solidale. Grazie, Domenico.