La pandemia della disuguaglianza - di Mikhail Maslennikov

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La pandemia da Covid-19 ha rivelato, in tutta la loro crudezza, gli ampi divari economici e le profonde fratture e fragilità sociali preesistenti lo scoppio dell’emergenza sanitaria e acuiti dalla crisi economica e sociale che ne è scaturita. Le disparità patrimoniali - come rileva il recente rapporto “La pandemia della disuguaglianza” di Oxfam - si sono ampliate su scala planetaria e nella maggior parte dei Paesi del globo.

La ricchezza è concentrata come non mai: la quota dell’1% più ricco del pianeta ha registrato nel 2020 il secondo più ampio incremento su base annua dall’inizio del nuovo millennio. Dieci tra i miliardari più ricchi della Lista Forbes hanno visto il valore dei propri patrimoni duplicare in 21 mesi in conseguenza del rialzo dei mercati azionari, trainati dai settori - come quello farmaceutico, tecnologico o dell’e-commerce - beneficiari, in termini di extra ricavi e profitti, dell’eccezionale domanda di loro beni e servizi.

Le disuguaglianze dei redditi hanno mostrato trend diversi: si sono acuite nei Paesi più vulnerabili, schiacciati da obblighi debitori pesantissimi verso creditori internazionali e sprovvisti di adeguati spazi fiscali per supportare adeguatamente i redditi delle famiglie, mentre si sono attenuate in molte economie avanzate grazie a massicci interventi di welfare emergenziale.

La moderata riduzione delle disparità nelle economie avanzate non deve indurre all’ottimismo. Nel nostro Paese, ad esempio, tale riduzione è stata accompagnata da un calo dei redditi per una quota ampia della popolazione meno abbiente, ed è ascrivibile integralmente a interventi di natura temporanea come l’estensione e le deroghe alla cassa integrazione, il bonus per gli autonomi e il reddito di emergenza. La pandemia ha semmai reso palese quanto le prestazioni sociali fossero poco al passo con i tempi, e quanto fosse invece impellente recuperare l’universalismo delle tutele.

In Italia il forte calo dei redditi familiari ha comportato una contrazione delle spesa per i consumi e il conseguente aumento dell’incidenza della povertà assoluta. Il 2020 ha visto un milione di individui e più di 400mila famiglie sprofondare nella povertà. A differenza della recessione precedente il crollo dei consumi è, questa volta, meno imputabile alla perdita del potere di acquisto delle famiglie, e maggiormente riconducibile alle restrizioni delle attività e al cambiamento pandemico delle abitudini di consumo. Sono cresciuti i risparmi, ma non per tutti, con le famiglie più vulnerabili incapaci di crearsi alcun cuscinetto finanziario.

In un Paese, come il nostro, in cui il mercato del lavoro, fortemente disuguale, genera da tempo e strutturalmente povertà lavorativa, in cui il lavoro troppo spesso non basta a soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare, non può stupire che le ricadute della crisi siano state più marcate per i lavoratori più deboli, assunti con contratti atipici, a termine, di durata breve. Tra questi ci sono soprattutto i giovani. La recessione ha inoltre un volto femminile: le donne erano maggiormente presenti nei settori non essenziali o nell’economia informale, hanno visto un minor rinnovo dei contratti e hanno dovuto conciliare – sopperendo ai ritardi pluriennali degli investimenti nelle infrastrutture sociali - la vita lavorativa con carichi di cura che con la pandemia si sono moltiplicati a dismisura.

Il rapporto di Oxfam esprime un giudizio circostanziato sulla portata redistributiva dei recenti interventi governativi. La razionalizzazione, ispirata all’universalismo selettivo, delle misure di sostegno alle famiglie con figli è largamente apprezzabile, come lo sono gli avanzamenti, sebbene non ancora completi e meno generosi rispetto a quelli prefigurati dal governo Conte II, sul fronte del riordino degli ammortizzatori sociali.

Fortemente discutibili sono invece le scelte in materia di riforma del sistema fiscale: un intervento che ha svalutato in partenza la funzione redistributiva del sistema di imposizione, non ha provveduto a una robusta ricomposizione del prelievo, e ha sacrificato l’obiettivo di garantire maggiore equità orizzontale in favore di una crescita meramente quantitativa che offusca la dimensione sociale dello sviluppo.

L’intervento sul reddito di cittadinanza nella legge di bilancio, a fronte di una pressante, largamente disinformata e denigrante narrazione mainstream dei suoi beneficiari, ha mostrato un’ulteriore dose di conservatorismo, non recependo quasi nessuna delle indicazioni di riforma per rendere l’istituto più equo ed efficiente nella lotta alla povertà. E se, infine, il contrasto alla povertà lavorativa deve recuperare centralità nell’agenda politica, l’azione di governo continua purtroppo a mostrare un atavico ritardo nell’affrontarne con risolutezza le cause strutturali, con il rischio di riprodurre lo status quo prepandemico delle elevate e crescenti disuguaglianze distintive del nostro mercato del lavoro.

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