Fonti di Posina: c’è del marcio nella manifattura veneta - di Giosuè Mattei

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Illegalità e sfruttamento diffusi nel sistema degli appalti.  

Il quadro emerso dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Vicenza presso lo stabilimento Fonti di Posina spa nella provincia vicentina è a dir poco raccapricciante. I reati contestati fanno emergere uno spaccato della situazione lavorativa dei dipendenti della cooperativa a cui erano affidati, in appalto, la logistica e il magazzino, che non è assolutamente degno di un paese civile. La sequela di reati ipotizzati ha pochi precedenti nel nostro Paese: caporalato, sfruttamento lavorativo, lavoro nero, lavoro minorile, violenza sessuale, intermediazione illecita di manodopera, contraffazione di documenti, tratta di esseri umani. Le indagini in corso stanno rivelando un sistema di sfruttamento e tratta di esseri umani nella quale sarebbe protagonista una associazione malavitosa internazionale con ramificazioni in tutto il nord Italia, Romania e Moldavia.

Noi - come Flai Cgil Veneto - lo avevamo dichiarato già a proposito dei casi eclatanti emersi sempre nel territorio regionale, quelli di Grafica Veneta e Fincantieri, ovvero che eravamo di fronte solo alla punta di un iceberg. Ma pensavamo di aver visto le situazioni peggiori in termini di sfruttamento lavorativo ai danni di lavoratori inermi, che hanno la sola colpa di aver bisogno di lavorare.

Invece i fatti emersi in questo caso sono addirittura peggiori. Se questo è il prezzo che i lavoratori e le lavoratrici devono pagare sull’altare del profitto delle imprese, è arrivato davvero il momento di dire basta! Non può più essere tollerata una simile gestione dei cantieri in appalto, con l’illegalità e lo sfruttamento che nella maggior parte dei casi rappresentano la regola. E chi afferma il contrario finge di non vedere quale sia lo stato delle cose.

Ad aggravare le responsabilità a carico dell’azienda committente, secondo gli investigatori, è non solo la consapevolezza di quello che accadeva da parte dell’azienda in appalto, ma addirittura la connivenza con gli sfruttatori.

La denuncia che la nostra organizzazione sta tentando di portare all’attenzione delle istituzioni e della rappresentanza industriale è quella di un tessuto economico produttivo veneto (ma in senso generale il nostro ragionamento vale per le regioni con una forte trazione industriale), pervaso da una spiccata permeabilità a sistemi illeciti o addirittura criminogeni, come in questo caso, e che questa metastasi sia molto più profonda di quanto si possa immaginare. Denuncia che trova elementi di fondatezza proprio negli ultimi casi.

Allora pensiamo che occorrerebbe una riflessione seria e consapevole sul fenomeno, soprattutto da parte di chi in questi mesi sta tentando in tutti i modi di minimizzare e marginalizzare questi casi, rilegandoli a fatti di cronaca locale. Per cui invitiamo il mondo delle imprese a fermarsi, a riflettere su questo metodo di fare impresa, che scarica i costi sui lavoratori al solo scopo di massimizzare i profitti e smarcarsi dalla responsabilità per la gestione del personale. Denunciamo il fatto che il sistema degli appalti e dei subappalti è in gran misura non controllato dagli organi istituzionali preposti, e vede protagoniste sempre più spesso cooperative fittizie e prive di scrupoli.

Se, invece, anche dopo quanto accaduto, non cambierà nulla, vuol dire che l’idea di lavoro che si coltiva è strutturalmente fuori dalla Costituzione e dalla legalità. Non è più né ammissibile né tollerabile una situazione di questo genere nelle fabbriche della nostra regione e del nostro Paese. Di questo dovrebbero convincersi non solo gli attori economici, ma le istituzioni sia locali che nazionali, e agire di conseguenza.

Il sindacato farà fino in fondo ciò che deve per continuare a denunciare e per cambiare questo inaccettabile modello di sviluppo, ma occorrerebbe prima di tutto un intervento legislativo che scoraggi la logica dell’appalto e delle esternalizzazioni, attraverso il restringimento delle maglie che consentono le esternalizzazioni, e l’eliminazione di ogni fattore speculativo economico attraverso l’obbligo di applicazione erga omnes del Ccnl dell’azienda committente.

 

Infine occorre eliminare la farsa delle certificazioni etiche e di qualità a cui si sottopongono le aziende appaltatrici, certificazioni spesso erogate da società compiacenti con il sistema. Ormai è accertato, purtroppo, che la deregulation e la liberalizzazione delle procedure in Italia sono terreno fertile per le mafie e per i sistemi criminali. Da questo punto di vista, siamo sicuri che il nostro Paese sia pronto ad affrontare l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza?

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search