Basta morti sul lavoro! - di Stefano Santini

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Riprendere la mobilitazione generale per la Carta dei Diritti universali sul lavoro.  

Quando sul lavoro muore una persona, quanta ipocrisia c’è in giro. Soprattutto da chi, ricoprendo ruoli politici e sindacali, non ha coraggio di prendere iniziative concrete. Un post, due righe di comunicato e via. Eppure è noto quali sono i motivi, cosa succede nei luoghi di lavoro, gli Rls - rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza - spesso emarginati e ricattati dai datori di lavoro, organismi preposti alla prevenzione e al controllo pressoché inesistenti. Rari i casi di medici competenti, pagati dalle aziende, che si fanno parte attiva sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Delle malattie professionali, fateci caso, non ne parla nessuno, nonostante vi siano patologie, anche psicologiche, soprattutto in questo momento di pandemia, e invalidanti che spesso portano alla morte. I ritmi di lavoro incredibilmente accelerati; il timore di perdere il lavoro che pone i lavoratori subalterni al volere del padrone - padrone, sì, questo è il vero termine - che si è fatto più arrogante in virtù dello smantellamento dei diritti conquistati con anni di lotte. La solidarietà dei lavoratori demolita da una pacca sulla spalla, che fa credere a chi la riceve di essere meglio dell’altro, che poi l’altro, domani, lo diventa lui. Una catena di anelli spezzati, ammucchiati, arrugginiti, isolati in un angolo.

Si è perso troppo tempo, non si può indugiare oltre: bisogna uscire nelle piazze. Nelle organizzazioni di cui si fa parte, gridare, lottare per ripristinare il diritto al lavoro con lo scudo delle regole. Rivendicare la vigilanza del rispetto dei diritti, delle regole per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Lottare per far comprendere che la solidarietà è riprendere quegli anelli, rimuoverli dalla ruggine e rimetterli uno a uno assieme, per rifare la catena di solidarietà più forte e resistente di prima, perché se toccano uno toccano tutti.

Un diciottenne e un sessantaquattrenne morti sul lavoro in due giorni. Il primo sarebbe dovuto stare sui banchi di scuola, il secondo in pensione. Due persone morte frutto delle scelte politiche di questi anni di malgoverni che hanno venduto due generazioni, nipoti e nonni, al facile sfruttamento di chi li voleva comodamente consumabili senza gli ostacoli dei diritti e di legittime pretese.

Uno strumento utile alla protezione di tutti i lavoratori, donne e uomini, giovani e meno giovani, con ogni forma di contratto, fu individuato nella Carta dei Diritti universali del lavoro, “Patrimonio di Libertà”, faceva bella mostra in copertina. Oltre un milione di firme raccolte. L’allora segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, presentò quella iniziativa come: “Proporre il lavoro come punto di creazione di ricchezza del nostro Paese, ma anche come punto di vita dignitoso delle persone”. Ma da tempo quella Carta giace in Parlamento, chissà in quale sottoscala e con quanta polvere coperta.

Eppure fu una bella reazione quella di chi vedeva i diritti a non essere licenziati senza una giusta causa, contrapposti a chi – Renzi – decideva che per creare lavoro bisognava recidere quei diritti, che a suo vedere erano barriere per assumere. Come era un ostacolo al lavoro la rappresentanza sociale, per cui oltre a tagliare i diritti era necessario applicare la disintermediazione … dei lavoratori. Quella dei padroni era una rappresentanza da proteggere, da rafforzare.

Sulla Carta dei Diritti sono scese le tenebre, non ne parla neanche più chi di quella Carta fu promotore, è qui il guaio. Bisogna, con urgenza, riaccendere i riflettori su quello strumento che ha visto impiegate molte delegate e molti delegati: è questione di coerenza, credibilità e dignità.

Lo sciopero del 16 dicembre scorso segna un punto a favore dei sindacati che lo hanno promosso, e ha fatto emergere quali sono le forze antagoniste da contrastare. Il sindacato deve negoziare, certo, ma non sui diritti che, negati, impoveriscono materialmente e moralmente chi rappresenta.

 

Insomma, non credete che sia arrivato il momento di una reazione che unisca il giovane al vecchio, l’operaio e l’impiegato, il lavoratore del pubblico e del privato, che rivendichi l’attenzione a quella Carta di cui tanto c’è necessità, in uno sciopero generale? Oppure, anche su questi temi, quello dei diritti e basta morti sul lavoro, fare lo sciopero generale è da irresponsabili?

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