Una Sea ridimensionata da gestore diventa stazione appaltante - di Angelo Piccirillo

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Il trasporto aereo è fra i settori che più hanno subito l’impatto della crisi post-pandemica, con picchi di perdite che, in alcuni segmenti, hanno toccato anche il 95% sul 2019. L’entità dei ristori governativi è stata del tutto insufficiente a compensare le difficoltà delle imprese, si è rivelata determinante la concertazione fra aziende, associazioni datoriali e sindacati per tentare un contenimento dei danni di un settore che si stima poter tornare ai precedenti volumi di traffico non prima del 2024-25.

In Sea spa, azienda di gestione aeroportuale di Linate e Malpensa, controllata per circa il 54% dal Comune di Milano e circa il 44% dalla società di gestione F2i, il 19 gennaio 2021 è stato sottoscritto uno degli accordi quadro più rilevanti dell’intero panorama. Prevede tra i suoi punti, nell’orizzonte temporale 2022-28, un piano pensionamenti del personale che coinvolgerà quasi 600 degli attuali 2.600 dipendenti.

I contenuti dell’accordo attendono di essere concretizzati dalla formalizzazione delle necessarie procedure (legge 223/91), ma intanto questo è lo strumento che azienda e sindacato hanno condiviso per gestire una crisi drammatica, evitando di scaricarne le conseguenze sui lavoratori, come purtroppo sta avvenendo in altre realtà.

Nonostante l’elevato significato politico di un accordo di questa portata, solo qualche mese dopo la stipula Sea esce dal percorso di relazioni industriali condivise e decide, unilateralmente, di esternalizzare buona parte di un intero settore informatico, l’Ict, comprensivo dei suoi 60 dipendenti (tra Linate e Malpensa).

Non è la prima volta, nella sua storia, che Sea dismette alcune attività come conseguenza del processo di liberalizzazione del mercato (D.Lgs 18/99) o come effetto di dinamiche di innovazione tecnologica che avevano portato alcuni mestieri ad essere superati o economicamente insostenibili. Tuttavia queste decisioni sono sempre state attuate nel confronto con le parti sociali e con accordi di piena garanzia per i lavoratori, che venivano riqualificati dentro il perimetro aziendale oppure, in qualche caso, sceglievano in piena libertà di seguire la propria attività professionale fuori dalla società aeroportuale.

Perché dunque Sea decide di espellere una importante professionalità e una significativa quota di forza lavoro? Non sono i costi ad aver motivato l’operazione (il settore informatico non è in perdita), piuttosto il perseguimento dell’idea di un’azienda che “riduca i costi fissi” e che sia “più snella, flessibile e ridimensionata”.

A prescindere quindi dalla crisi contingente, affrontata dagli accordi sindacali di contenimento già stipulati, la strategia industriale prevede di impoverire il bagaglio professionale interno, aumentare le quote di attività in appalto (lavoro precario), ridurre all’osso il perimetro occupazionale e, a quel punto, probabilmente, rendere Sea più appetibile al mercato privato.

Con quali conseguenze? Nell’immediato 60 lavoratrici e lavoratori dell’Ict, al termine della procedura di vendita - che prevede un primo step con il trasferimento del personale ad altra società esterna di cui Sea è proprietaria (Airport Ict Services Srl) e entro la fine del 2022 la sua acquisizione da parte di un soggetto terzo - subiranno giocoforza un dumping sociale, a fronte della perdita del Ccnl di categoria, e, soprattutto, di contratto integrativo e sistema di welfare aziendale (Cassa di Previdenza, FonSea e Associazione NoiSea).

Tuttavia le reali conseguenze di questa strategia industriale emergeranno nel breve-medio periodo, con progetti di drastica riduzione del personale cosiddetto amministrativo (la parte non operativa dei dipendenti), e con la verosimile esternalizzazione di ulteriori quote o dell’intera popolazione di attività quali manutenzione impianti, manutenzione mezzi e sicurezza, una massa critica di lavoratrici e lavoratori di oltre 1.000 addetti. Il tutto nell’ambito di un’impresa che, nel 2019, ha fatto registrare un utile netto di 124 milioni e che, anche grazie alle intese sindacali, pur nei cambiamenti che ancora una volta muteranno il volto del settore, tornerà certamente a macinare utili.

Sullo sfondo il vero tema, assente nel rapporto con Sea, di un confronto sul futuro di uno dei principali poli aeroportuali del sud Europa: se gli aeroporti si riducono a stazioni appaltanti, oppure se sono infrastrutture indispensabili allo sviluppo economico.

Al momento di scrivere, l’opposizione sindacale al progetto del management Sea, di cui il settore Ict rappresenta solo la testa d’ariete, è in pieno svolgimento attraverso assemblee, presidi e scioperi molto partecipati. Per il 31 gennaio, data del trasferimento dei lavoratori Ict, nonostante l’opera di mediazione del principale azionista Comune di Milano, il management Sea non sembra voler tornare al tavolo per aprire un vero negoziato. La prospettiva di un escalation conflittuale, in una fase di lenta ripresa per gli aeroporti milanesi, è quindi estremamente concreta.

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