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“L’iniziativa dei comunisti salisburghesi ha puntato soprattutto sul tema della casa, che rappresenta per molta parte dei ceti popolari una vera e propria emergenza. Il prevalere degli interessi speculativi, favoriti nel tempo da tutti i maggiori partiti, ha determinato una consistente crescita degli affitti. Questa situazione è stata aggravata negli ultimi mesi dalla crescita dell’inflazione”.
Succede in Austria, come ben racconta Franco Ferrari in questo numero di Sinistra Sindacale, così come succede in Italia, dove si sono moltiplicate le proteste di fronte ad affitti diventati insostenibili, specialmente nelle città turistiche e in quelle dove hanno sede le università. Le tendopoli allestite dagli studenti fuorisede di fronte a numerosi atenei, e alla sede del ministero dell’Università, sono una nitida fotografia dello stato delle cose.
Da anni la Cgil e il Sunia denunciano la latitanza della politica nel mettere in atto un piano che possa garantire un diritto all’abitare adeguato alle necessità non soltanto degli studenti e delle giovani generazioni. Anche di tutte quelle famiglie a basso e medio reddito, lavoratori e pensionati, diventati ostaggi di una realtà in cui il settore turistico-ricettivo è dominante, con gli affitti brevi che hanno mandato in cielo i prezzi delle locazioni.
Per giunta anche i fondi del Pnrr sul macrotema delle politiche abitative sono indirizzati soprattutto verso il settore privato e il libero mercato. Verso quegli “studentati” che stanno spuntando come funghi in settembre, e che guardano ad una fascia di utenza benestante e con un'alta capacità di spesa.
“La vostra lotta è la nostra lotta”, ha detto Maurizio Landini rivolto agli studenti nella manifestazione di Milano. Aggiungendo subito dopo che “il problema dell'abitazione non riguarda solo gli studenti, è un problema più generale. Per questo lavoratori e studenti insieme, per cambiare questo paese”. Come nel biennio 68-69.
Le mobilitazioni di queste settimane di Cgil Cisl Uil contro le scelte del governo di destra, liberista, classista e bellicista, vanno coerentemente proseguite per conquistare un ampio fronte sociale e creare le condizioni per lo sciopero generale. L’unità sindacale è un bene assoluto, ma non può essere la gabbia per quel bisogno di coerenza e continuità che proviene dalla parte più sindacalizzata del paese.
Lo sciopero generale non è la panacea risolutiva dello scontro in atto, ma un passaggio obbligato per rimettere al centro il lavoro come condizione per la dignità della persona, l’integrazione e il riscatto sociale. La classe lavoratrice riprenda il suo ruolo dirigente per un cambiamento radicale, economico, sociale e politico.
Abbiamo di fronte una destra di governo pericolosa, che pratica una “dittatura parlamentare” prescindendo dalle opposizioni politiche, che persegue la logica neocorporativa e liberista, separa il lavoro dai diritti, il salario dalla prestazione lavorativa, il lavoro dalla salute, il capitale dal lavoro. La presidente del Consiglio ha come credo ideologico “non va disturbato chi produce”. Un governo forte con i deboli e debole con i forti, che risponde a Confindustria, alle lobby, agli interessi particolari. Non è più tempo di compromessi e consociativismi. L’opposizione politica faccia il suo mestiere.
Lo scontro è di sistema, per questo serve continuità di azione, coscienza diffusa; vanno cambiati i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra sfruttatori e sfruttati, tra padroni e lavoratori.
L’autonomia della Cgil dal governo e dai partiti va agita mantenendo la discriminante sul merito ed esercitando sempre libertà di giudizio e di azione, consapevoli di limiti, ritardi e difficoltà.
Il sindacato confederale non può fermarsi senza aver conquistato le proprie rivendicazioni, se non vuole perdere credibilità e consenso. Non può farlo la Cgil, alla quale tante e tanti affidano le loro speranze per una vita migliore. Le diseguaglianze di ceto e di genere, la precarietà, l’attacco ai diritti del lavoro, i tagli alla sanità e alla scuola pubblica, la mancata applicazione della Costituzione antifascista, a partire dal ripudio della guerra, sono il frutto delle politiche classiste e liberiste dei governi di centrodestra e di centrosinistra, dei governi “tecnici” e tecnocratici, da Ciampi a Dini, da Monti a Draghi, e di leggi come la Treu e la Biagi, i decreti Poletti e il Jobs act che ha anche cancellato l’articolo 18, pilastro di democrazia nei luoghi di lavoro, che va ripristinato.
Dobbiamo accompagnare la mobilitazione con una battaglia culturale sui valori, con lo sguardo oltre i nostri confini e con una proposta generale. Costruire consapevolezza, cultura, militanza e organizzazione per tenere in campo la mobilitazione del mondo del lavoro, dei pensionati, delle donne e delle giovani generazioni, per un tempo che non sarà né breve né facile.
Il paese ha bisogno di una Cgil forte, coerente, unita e plurale.
Storico presidente della Federazione nazionale della stampa italiana che ha guidato per sette anni, parlamentare in cinque legislature, da sempre impegnato in difesa di una comunicazione libera e trasparente, Giuseppe Giulietti è un punto di riferimento per chiunque si occupi o faccia informazione. In Articolo 21, associazione che riunisce giuristi, scrittori, registi e giornalisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero, oggi è coordinatore dei presidi regionali e territoriali. Forse nessuno meglio di lui, che ha lavorato una vita nel servizio radiotelevisivo pubblico, può fotografare lo stato delle cose in un momento particolarmente complesso come quello che stiamo vivendo.
Da più di un anno c’è una guerra nel cuore dell’Europa, con il consueto portato di migliaia di morti, enormi sofferenze per le popolazioni coinvolte e immani devastazioni, e pare che la quasi totalità dei media abbia indossato l’elmetto.
Faccio una premessa: chi parla, per ragioni politiche, è un antiputiniano viscerale. Ritengo Putin parte integrante dell’asse della destra sovranista, quella di Bolsonaro, Trump, Orban. Non è un caso che il presidente russo sia nel cuore dei dirigenti della destra italiana, che è arrivata al punto di esprimere un filoputiniano di provata fede come Marcello Foa alla presidenza della Rai. Questa premessa è importante, ci tengo. Conosco i bavagli di Putin, i giornalisti assassinati, sono andato a fondare i giardini Anna Politkovskaja nell’indifferenza quasi generale, con piccoli gruppi di giornalisti. Tutta la classe dirigente italiana, quasi tutta, “viveva nel letto di Putin” e faceva affari con lui. Sottolineata la mia assoluta presa di distanza, trovo intollerabile l’ottundimento del pensiero critico che si registra in questa stagione. Un ottundimento che si è spinto al punto da far pubblicare liste di filoputiniani, è bastato aver manifestato timide critiche sulla conduzione del conflitto per entrare a farne parte. Le liste dei falsi filoputiniani sono rigorosamente complete. Mentre le liste dei filoputiniani veri di questo paese invece non ci sono. Segnalo che fra breve ci sarà il nuovo direttore generale della Rai, anche lui filoputiniano di ferro. Si viene bollati come filoputiniani, questo è il punto, ed è grave e anche pericoloso. Pericoloso perché cancella il pensiero critico. Eppure vengono bollati come filoputiniani tutti coloro che, a partire dal Papa, osano semplicemente dire “ma oltre la guerra, esiste la strada della diplomazia, della trattativa, si può vedere se alla fine del buio c’è una luce?”. Questo è pericolosissimo, c’è un fastidio crescente e dilagante per il pensiero critico. Si inserisce nella lista dei filoputiniani perfino chi come me si permette solo di dire “ci fate sapere chi ha ucciso Andrea Rocchelli in Ucraina nel 2014?”. Questo è pericoloso, è una deriva che una volta imboccata avrà degli effetti, a prescindere dalla conclusione del conflitto.
La parola “pace” sembra essere stata bandita dal dibattito pubblico.
Puoi condividere o non condividere le ragioni della pace, di chi manifesta per la pace - dalla Perugia Assisi ad Europe for peace, dalla Rete per la pace alla staffetta di Santoro - ma l’idea che tu possa bollare come filoputiniani tutti coloro che semplicemente pronunciano la parola pace è pericolosissima. Mi permetto di dirlo anche ad alcuni miei amici. Finisce per allargare la distanza fra rappresentanti e rappresentati. Non puoi bollare milioni di persone, attribuendo loro un’etichetta che in gran parte dei casi è infondata. È l’abrogazione del pensiero critico, che avrà delle conseguenze devastanti non solo in rapporto alla guerra, ma anche in rapporto al conflitto sociale che inevitabilmente si manifesterà in Italia. E che si tenterà di criminalizzare.
La pace è un sentire comune, almeno guardando ai periodici sondaggi che vengono fatti dai media.
Nei no alla guerra c’è sicuramente anche il mio. Dentro queste due parole confluiscono sentimenti anche molto diversi. C’è chi razionalmente è contro questo conflitto, chi invece è un pacifista integrale, o ancora chi lo è per ragioni religiose. E ancora chi, da destra, come molti leghisti, è contro la guerra ma per ragioni opposte a quelle del popolo della pace. Cioè un iper-nazionalismo fondato sullo slogan “ciascuno è padrone a casa sua”, i teorici dei confini. Ma se ci fosse anche una sola voce contraria alla guerra, dovrebbe avere diritto di parola. Perché gli neghi la parola? Faccio un esempio, sono oltre 27 le università che hanno aderito alla Perugia-Assisi con i loro rettori, dentro queste università ci sono fior di studiosi della diplomazia, della politica, dei rapporti internazionali, dell’Europa, del riamo e del disarmo. Io non li ho mai sentiti parlare, non vengono invitati a nessuna iniziativa. La rappresentazione tende a essere macchiettista, si rappresenta solo chi dice “guerra, guerra, guerra, guerra senza fine”. Per fare il contraddittorio si scelgono macchiette, la stessa tecnica che si usava un tempo: chiamano quello che fra virgolette è il più trinariciuto, non necessariamente preparato, che deve diventare quello che dice “viva Putin, viva Putin, viva Putin”. È un menù preconfezionato. Perfino i generali che si interrogano sulle prospettive del conflitto sono spariti dalla discussione. Ma le critiche alla guerra avanzano, dalla chiesa cattolica, dalle altre chiese, dagli studiosi di geopolitica, dai militari, dagli esperti di strategia militare. Dovere dell’informazione sarebbe far conoscere tutti i punti di vista, quello di chi dice che quell’invasione è pericolosa per il mondo e va stroncata costi quel che costi, ma anche quello di chi, politicamente non sospetto di estremismo anche se l’estremismo può e deve essere rappresentato, chiede di dare spazio alla diplomazia. Si tratta di generali, ambasciatori, diplomatici. All’improvviso Sergio Romano diventa una persona da rimuovere, eppure mi hanno spiegato per cinquant’anni che Romano era una divinità in materia di politica estera, e sì che non la penso come lui. Mi spavento se Lucio Caracciolo può diventare una persona da espellere dal dibattito, e l’ambasciatore Romano all’improvviso viene trattato alla stregua di un “no global”. Questo fa paura.
Il dovere di informare e il diritto di essere informati sono scritti nella nostra Costituzione.
Siamo di fronte a una palese espulsione dal dibattito non della sinistra, che è altra questione, ma di qualsiasi figura che esprima un pensiero critico. Questa è una novità rispetto al passato. Non si viene espulsi in quanto “comunisti”, chiamali come ti pare, ma perché rappresentiamo un punto di vista critico sul conflitto. Questo non è pericoloso solo rispetto all’Ucraina, è pericoloso in generale. Diventa scomodo Romano che dice “ho dei dubbi”, scomodo il generale americano che osserva come immaginare una fine militare del conflitto sia molto difficile. Diventa inopportuno chi chiede di sapere cosa ha messo in campo la Cina per dar voce alla diplomazia. Per non parlare del Papa, finito nel mirino del sovranismo internazionale, dell’asse Trump Putin Bolsonaro, e che diventa una figura indigesta non appena fa il suo mestiere. Fra l’altro anche ai tempi della Prima guerra mondiale il Papa di allora parlò di “orrendo massacro”. Forse qualcuno vorrebbe tornare allo schema delle chiese nazionali che benedicono i gagliardetti. E questo pontefice che esprime una posizione universalista diventa un nemico. Che vuole questo, dove ficca il naso?
Michele Santoro, che ha dato vita domenica scorsa a una staffetta dell’umanità per ribadire le ragioni della pace, ha denunciato senza mezzi termini l’esistenza di un sistema informativo a senso unico.
Trovo pericolosa questa inversione di senso per cui chi usa la parola guerra è un santo, e chi usa la parola pace è un bastardo. Pericolosa per il pensiero critico, e non solo in relazione alla guerra. Questa è un’ottima premessa per un paese che si avvia a un presidenzialismo a reti unificate. Un paese che tenterà, attraverso il controllo della comunicazione, la rimozione del conflitto sociale. Temo che molti non lo abbiano capito ma questo è il punto. Con Articolo 21 stiamo provando a dire che una repubblica presidenziale a reti unificate, con informazione e giustizia ferite, è la realizzazione del modello Orban. A causa del conflitto di interessi il pluralismo editoriale è stato a suo tempo espulso dall’arco del centrosinistra, e in parte anche dalle organizzazioni professionali. In questi giorni c’è una campagna in atto contro i ragazzi delle tende, gli universitari fuorisede che non possono permettersi di affittare anche solo una stanza a causa dei prezzi folli. Una campagna che, anche in questo caso, tende a invertire il comune sentire, così il povero è un bastardo e il ricco un santo. E quelli stanno nella tenda perché non hanno voglia di lavorare, fancazzisti e farabutti. Si tratta di una operazione politico-mediatica permanente di inversione dei ruoli. E c’è uno scarto molto grande fra quello che denunciamo e le modalità di reazione. Di fronte al rischio generalizzato di cancellare di fatto la Costituzione, e il tema della pace è un valore fondante della Carta, sono sempre più necessari momenti e azioni nei quali far valere il nostro minimo comun denominatore.
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento al Concertone del Primo Maggio.
Che notte di sogno. Che emozione essere su questo palco in mezzo a voi. Non temete, non è una lezione di scienza che voglio fare, anche se ogni volta che provo a dire qualcosa di politica, qualcosa che riguarda l’interesse di tutti noi, c’è qualcuno subito che mi grida: “Taci Rovelli, occupati della tua scienza, lascia perdere la politica!”. Ma proprio di questo voglio parlarvi. Vedete… il mondo è meraviglioso. Questa piazza è meravigliosa, la musica è meravigliosa, innamorarsi è meraviglioso. Ma non è tutto meraviglioso. Ci sono anche problemi gravi, e se c’è qualcuno che può affrontarli, siete voi, insieme.
C’è una catastrofe ecologica che sta arrivando — ormai lo sappiamo tutti. (…) La ricchezza si è concentrata nelle mani di un numero piccolissimo di persone e di grandi imprese, e la disuguaglianza economica continua a crescere. La paghiamo tutti. Ma soprattutto, vedete, … e questa è la cosa più importante che voglio dirvi, sta crescendo la guerra. Stiamo andando dritti verso la terza guerra mondiale. E questo è il rischio più grave per la vostra vita.
Invece di collaborare, cercare soluzioni, i Paesi si aizzano uno contro l’altro, si provocano, si sfidano come galletti in un pollaio. Invadono paesi, soffiano sul fuoco della guerra, mandano portaerei a sfidarsi. La tensione internazionale non è stata così alta da molto tempo.
Spendiamo 2 trilioni e mezzo di euro all’anno in spese militari, una cifra inimmaginabile. Più del doppio di quindici anni fa. Impennate di spese militari così preludono alla guerra. Invece di usare le nostre risorse per fare ospedali, scuole, musica, lavoro, le cose buone del mondo, le usiamo per fare armi per ammazzarci l’un l’altro. (…) Invece di dialogare, cercare soluzioni, i potenti del mondo vogliono essere i più potenti di tutti. Magari predicano la democrazia, ma poi vogliono comandare su tutti, alla faccia della democrazia. Oppure, come da noi in Italia, cercano di essere fedeli vassalli dei padroni del mondo, sperando in qualche beneficio a corto termine. Ancora miopia.
Ma la guerra si fa anche per motivi più banali… perché costruire armi è un affare terribilmente lucroso. E nel fiume di denaro che producono le industrie di armi, le industrie della morte, ci sguazza la politica.
È ragionevole che in Italia il ministro della Difesa sia stato per anni legato a una delle più grandi fabbriche di armi del mondo, la Leonardo? E sia stato presidente della Federazione dei costruttori di armi (l’Aiad)? Il ministero della difesa serve per difenderci dalla guerra o per aiutare i piazzisti di strumenti di morte?
Tutti dicono “pace”, ma poi molti aggiungono che prima bisogna vincere. Volere la pace, ma dopo la vittoria, significa volere la guerra, ovviamente.
Vediamo orrori commessi del nemico, veri. E gli orrori che fanno le nostre armi? Le migliaia di bombe che noi produciamo e mandiamo sui diversi teatri di guerra devastano e ammazzano come le altre. Creano dolore come le altre.
Ci sono decine di migliaia di bombe nucleari pronte a esplodere, puntate sulle teste di tutti, da una parte e dall’altra, e non siamo mai stati così vicino ad una catastrofe nucleare come adesso. È una follia. E in questa situazione il governo italiano cosa fa? Sta decidendo ora di mandare una portaerei italiana con una intera flotta nel mare della Cina. Per fare i galletti contro la Cina, al seguito degli americani. Così l'articolo 11 della Costituzione, l’Italia ripudia la guerra, viene disatteso. (…)
Ma il mondo, ragazze, ragazzi, non è dei signori della guerra. Il mondo è vostro. Voi siete il mondo futuro, non i signori della guerra. Perché voi siete tanti, tantissimi. Qui a Roma come a Pechino, San Francisco, Berlino, Rio o a Islamabad. Il pianeta è vostro. E il pianeta voi potete cambiarlo. Non da soli, ma insieme sì.
Voi potete fermare la distruzione del pianeta. Ribaltare la disparità economica. Fermare i signori della guerra. Costruire un mondo dove lavoriamo insieme a risolvere i problemi comuni, invece di essere uno contro l’altro. Le cose del nostro mondo che amiamo sono state costruite nel passato da giovani che hanno saputo sognare un mondo migliore. Anche a costo di rovesciare tutto qualche volta. Attaccare la Bastiglia, bruciare il Palazzo d’Inverno. E se qualcuno vi dice — come dicono a me — non occuparti di politica, pensa solo a te stesso, questa è grettezza, o miopia. (…)
Cambiare il mondo è la più bella delle avventure. La vita è bella quando splende e brucia. (...) Chi sa parlare parli, chi sa suonare suoni, chi ha idee le dica, chi sa scrivere scriva, chi sa organizzare organizzi, chi sa fare di più, faccia di più.
Un ultima cosa. I signori della guerra non hanno paura ad ammazzare migliaia di esseri umani. Voi non abbiate paura a imbrattare i muri. L’Italia l’ha fatta Garibaldi, che tutti i benpensanti chiamava “terrorista”, poi gli hanno fatto le statue. Prendete il futuro nelle vostre mani, non lasciatelo ai signori della guerra. Cambiatelo questo mondo di guerra, ragazzi. Buon Primo Maggio.