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Cessare immediatamente il fuoco, togliere l’assedio alla Striscia di Gaza, avviare un negoziato tra tutte le parti e con la piena rappresentatività dei palestinesi da parte delle loro legittime organizzazioni. Non c’è altra via per porre fine all’immane carneficina che, ancora una volta, si sta svolgendo sulla pelle dei palestinesi.
La risposta al terrorismo di Hamas, che ha colpito vigliaccamente civili innocenti israeliani, non può essere la vendetta e la punizione collettiva di un intero popolo. Un popolo che da almeno 75 anni chiede di veder riconosciuto il suo diritto a vivere nella sua terra e ad avere un suo Stato – come peraltro sancito dal diritto internazionale.
Serve una forte e diffusa mobilitazione del popolo della Pace, in Italia e in Europa.
Non possiamo dimenticare le responsabilità e l’ipocrisia dei governi e dei paesi europei ed occidentali. Il diritto del popolo israeliano a vivere in pace non può essere realizzato calpestando i diritti e la vita del popolo palestinese, come è stato per tutti questi anni. E l’Occidente “democratico” non dimostra amicizia per gli israeliani concedendo ai loro governi carta bianca nella repressione e – spesso – in azioni di sterminio dei palestinesi. Condanna, così, i due popoli al conflitto permanente.
Ancora una volta, come per la guerra ucraina, l’Unione europea conferma la sua nullità politica, la subalternità agli interessi neocoloniali degli Stati Uniti. Cerca di salvarsi l’anima con aiuti umanitari – peraltro bloccati dall’assedio israeliano e dalla strumentalità dell’Egitto di Al Sisi – ma è incapace di giocare un ruolo diplomatico e politico, di spingere con forza perché si vada alla radice del conflitto. Conferenza di pace e terra e Stato per i palestinesi.
Il governo Meloni cerca un’altra occasione per farsi una verginità democratica e allontanare la tragica eredità degli avi fascisti – questa sì razzista e antisemita – accodandosi al sostegno incondizionato alla guerra di ritorsione scatenata dallo screditato governo Netanyahu. Le tragedie delle guerre, così come la strumentalizzazione dell’immigrazione vengono usate dal governo come armi di distrazione di massa di fronte all’incapacità di rispondere alle necessità del paese.
Lo dimostra anche la legge di bilancio che, nella sua “pochezza”, conferma la natura classista e antipopolare di questo governo. È una manovra politicamente e socialmente indirizzata verso gli interessi corporativi, il lasciar fare al mercato e al padronato. Poche briciole per i salari, niente per i pensionati e i giovani, mano libera, sul piano dei diritti e delle politiche fiscali, a rendite, profitti, evasori, corporazioni. Privatizzazioni, svendita del patrimonio pubblico, meno risorse per la scuola e la sanità pubblica, nessun investimento sul futuro industriale, sull’occupazione, risorse folli per il ponte di Messina.
Una manovra sì “sociale” – come qualcuno l’ha definita – ma nel senso della lotta di classe alla rovescia: togliere al lavoro e alle fasce deboli per dare ai profitti e alla rendita.
Giustamente, quindi, la Cgil, dopo la grande manifestazione del 7 ottobre, sta dando continuità alla mobilitazione, rispondendo al bisogno espresso dal popolo della Pace, del mondo del lavoro, dei pensionati, delle donne e dei giovani, intensificando la mobilitazione e avviando, anche con la Uil, una campagna di scioperi di otto ore fino allo sciopero generale, impossibile ad oggi con una Cisl sempre più consociativa che fa da supporto al governo.
Va riportato al centro anche lo scontro con il padronato, rafforzando la contrattazione nazionale e aziendale, categoriale e sociale. Sono chiare le responsabilità di Confindustria e delle associazioni padronali chiuse nei propri miopi interessi e contrarie nel Cnel ad una legge sul salario minimo. Una mobilitazione necessaria, non di breve durata contro un governo pericoloso sul piano sociale e democratico, insultante verso le rappresentanze sociali cui nega il confronto, con una maggioranza parlamentare in grado di imporre le peggiori scelte. Occorre guardare anche oltre la legge finanziaria, perché il paese e l’Europa risentiranno le conseguenze delle guerre e della crisi climatica.
Con la sua autonomia di azione e di pensiero, aperta alle più ampie alleanze sociali, la Cgil non si rassegna.
Le drammatiche notizie che arrivano dal Medio Oriente rappresentano una parte purtroppo ridotta di ciò che sta accadendo veramente in quei territori in termini di distruzione, di perdite di vite umane e di disperazione. Quello che già sappiamo, però, è che si sta svolgendo una serie di eventi di importanza storica, non solo per la Striscia di Gaza ma per la questione palestinese nel suo complesso.
Alla data odierna, 18 ottobre, sono oltre 3500 i palestinesi uccisi e di questi 1002 i bambini: fra gli israeliani 1350. Oltre 11.500 i feriti palestinesi e oltre 3500 gli israeliani. La maggior parte vittime innocenti di un conflitto a loro estraneo.
Le autorità palestinesi stimano inoltre che sotto le macerie degli edifici distrutti dagli incessanti bombardamenti vi siano oltre 1500 vittime. Undici ambulanze palestinesi e 54 operatori sanitari sono stati colpiti, oltre 48 scuole dell’Unrwa, agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi, sono distrutte; 11 giornalisti uccisi; 18 funzionari Onu, due Centri operativi della Protezione Civile Palestinese colpiti, con decine di morti; diversi ospedali palestinesi bombardati, 26.582 palazzi palestinesi e abitazioni civili rasi al suolo di cui 14 moschee.
Fino ad oggi, 5000 missili partiti da Gaza hanno colpito il territorio israeliano: l’aviazione israeliana dichiara di avere sganciato sulla striscia di Gaza oltre 7000 bombe, pesanti 5000 tonnellate. Centocinquanta sono i soldati e gli ufficiali israeliani in mano ad Hamas, oltre ad un numero imprecisato di civili.
L’ultimo atto in questo elenco di atti criminosi è quello dell’Ospedale Battista nel nord di Gaza.
Gli sfollati palestinesi sono oltre 650mila, persone che non sanno dove trovare rifugio. Secondo l’Onu, dopo l’ultimatum dell’esercito israeliano agli abitanti ad abbandonare le loro abitazioni, sono oltre un milione le persone in marcia, in auto, a piedi, con tutti i mezzi loro disponibili, alla ricerca disperata di un rifugio.
Da diversi giorni la Striscia è senza acqua, elettricità e cibo: molte organizzazioni a tutela dei diritti umani, diversi ministri e Stati in tutto il mondo stanno denunciando questo comportamento, che può essere classificato come un crimine contro l’umanità. L’Oms ha dichiarato che la situazione sanitaria a Gaza è totalmente fuori controllo.
È in atto un disegno pianificato per realizzare il vecchio piano dei padri fondatori sionisti, ovvero la deportazione di massa della popolazione dalla Striscia di Gaza verso altre zone del Medio Oriente. Tale piano, sponsorizzato dagli Usa e dall’Europa, prevede lo svuotamento completo di Gaza e la creazione di una zona cuscinetto, controllata da Israele. La popolazione palestinese verrebbe così distribuita: un milione di palestinesi nel deserto del Sinai, un milione e mezzo invece tra Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. I paesi del Golfo dovrebbero finanziare questa operazione. Va ricordato che gli abitanti di Gaza sono al 70% le famiglie di rifugiati del 1948, la famigerata Nakba, e il 48% minori.
Una volta terminata la deportazione della popolazione di Gaza toccherebbe alla Cisgiordania, il che significherebbe mettere fine alla questione palestinese una volta per sempre.
Diverse avvisaglie erano nell’aria: il primo ministro israeliano, qualche giorno fa, all’Assemblea Generale della Nazione Unite, ha mostrato una cartina d’Israele in cui la Palestina non esiste.
In questi anni la popolazione palestinese ha subito violenza, umiliazioni, discriminazioni, deportazioni di massa, come dichiarano anche scrittori e giornalisti israeliani, come Gideon Levi e Amira Hass, mentre la comunità internazionale, con in testa l’Occidente, ha fatto finta di non vedere nulla. Il presidente Abu Mazen all’Assemblea Generale dell’Onu in tutti questi anni ha supplicato il mondo intero chiedendo aiuto e protezione, senza trovare ascolto. Nel silenzio e nell’inerzia, l’Occidente ha regalato ai movimenti integralisti l’intero mondo arabo ed islamico, ed ha distrutto quel poco di moderazione e di laicismo che erano rimasti nel mondo arabo e in Palestina, rappresentato dall’Olp.
Noi palestinesi, cristiani e musulmani uniti, chiediamo al mondo civile e democratico giustizia, libertà e pace; chiediamo di avere il diritto di proclamare a gran voce la nostra autodeterminazione, di avere un nostro Stato in base al diritto e alla legalità e al diritto internazionale. Chiediamo alla società civile italiana ed ai sindacati di sostenerci in questa fase storica e determinante nella nostra lotta di liberazione.
C’è bisogno di mediatori, di diplomazia, di gente di buon senso e di buona volontà che faccia il possibile per il raggiungimento urgente di un cessate il fuoco, andando poi ad aprire una trattativa che assicuri una pace duratura, attraverso il rispetto dei diritti umani per tutte le popolazioni che vivono nella regione, nessuno escluso.
Da arabo, palestinese, italiano, cristiano, pacifista, laico, continuo la mia battaglia con le parole, la penna e con ogni mezzo non violento, perché i due popoli possano trovare la strada giusta per vivere in pace dentro confini sicuri.
“Non chiediamo al mondo di armare i palestinesi e neanche di incoraggiarli, ma anche solo di capire che la violenza genera violenza e che l’occupazione militare e l’apartheid generano resistenza. È così semplice, così doloroso” (Ramzy Baroud, The Palestine Chronicle).
Sì, semplice e doloroso. Eppure, mentre assistiamo al disastro civile e umano nella Striscia di Gaza sotto le bombe, gli Stati Uniti dichiarano che forniranno armi ad Israele (tra i più armati del mondo), e governi europei come Danimarca, Germania ed Austria sospendono i fondi alla Palestina! La Francia e la Germania vietano manifestazioni di solidarietà con la Palestina.
La Germania viene duramente additata dalla giornalista israeliana Amira Hass su Haaretz: “Voi tedeschi avete da tempo tradito la vostra responsabilità, quella ‘derivante dall’Olocausto’, cioè dall’assassinio delle famiglie dei miei genitori, tra gli altri, e dalla sofferenza dei sopravvissuti. L’avete tradita con il vostro sostegno senza riserve a un Israele che occupa, colonizza, priva le persone dell’acqua, ruba la terra, imprigiona due milioni di abitanti di Gaza in una gabbia affollata, demolisce case, espelle intere comunità dalle loro case e incoraggia la violenza dei coloni”.
Colpisce il titolo di una sessione del Parlamento europeo (dal sito ufficiale della Commissione europea, servizio audiovisivo): “Sessione plenaria del PE: Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Gli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, il diritto di Israele a difendersi nel rispetto del diritto umanitario e internazionale, e la situazione umanitaria a Gaza”.
La disumanizzazione dei palestinesi, costretti tra le definizioni di “terroristi” o di invisibili “vittime”, è stata costruita in decenni di colonizzazione violenta, di occupazione e apartheid conclamato, riconosciuto da autorità come Amnesty International o l’israeliana B’tselem.
Gli occhi vengono chiusi anche sui coloni che in Cisgiordania organizzano pogrom con il sostegno militare, bruciano case e attaccano gli abitanti inermi. Il pensiero va ad Hanan Ashrawi, dirigente palestinese dell’Olp: “Siamo l’unico popolo sulla Terra a cui viene chiesto di garantire la sicurezza del nostro occupante... mentre Israele è l’unico paese che reclama la difesa dalle sue vittime”.
Dice Ruba Salih, antropologa dell’Università di Bologna, per molti anni alla Soas di Londra: “In Italia la complicità dei media è particolarmente grave e allarmante” (left.it 12ottobre). Mentre la Bbc rifiuta di sottostare alla pressione governativa di parlare di “Hamas terrorista” e parla di palestinesi combattenti, in Italia, il mantra “condanniamo l’attacco terrorista di Hamas” sembra essere diventato la condizione per prendere la parola, per sfuggire all’accusa di antisemita, o essere direttamente arruolati nelle fila di Hamas.
Bisogna cercare su siti e giornali israeliani e palestinesi per trovare argomenti e ragionamenti lontani dall’ignoranza, falsità, disonestà e ipocrisia di molti media italiani: “Un mattatoio mediatico” - lo ha definito Tommaso di Francesco su il manifesto global edition - dove l’uso sfrenato di immagini truculente, talvolta anche false, serve ad incitare l’opinione pubblica al sostegno incondizionato ad Israele, perfino piangendo solo i morti israeliani. La disumanità non è frenata neanche dal lutto.
Oggi siamo al genocidio. Ottocento studiosi di diritto internazionali, tra cui Raz Segal, lanciano l’allarme. Su Jewish Currents, il professor Raz Segal osserva: “L’assalto a Gaza può essere inteso anche ... come un caso da manuale di genocidio che si svolge davanti ai nostri occhi. Lo dico come studioso di genocidio, che ha trascorso molti anni a scrivere sulla violenza di massa israeliana contro i palestinesi”. Le lunghe file di profughi obbligati a fuggire, su ordine israeliano, dal nord di Gaza, ridotto a un deserto di macerie, verso il sud, sotto le bombe, ricordano angosciosamente la Nakba. E, come quei profughi del 1948, di cui molti sono discendenti, forse non potranno più tornare. Ma stavolta le popolazioni di paesi arabi, anche sotto regimi repressivi, si ribellano. In Egitto, Giordania, Libano sono scesi in piazza a migliaia.
Anche tante associazioni ebraiche per la pace agiscono in solidarietà con la Palestina, ed hanno addirittura occupato Capitol Hill negli Stati Uniti. Una rivolta globale contro l’ingiustizia, ad oggi limitata in Europa, che potrà allargarsi se il discorso politico a sinistra prenderà il coraggio che finora non ha avuto. Coltiviamo la speranza!
Il ruolo degli intellettuali e dei mezzi di comunicazione di massa.
Una prima considerazione di metodo. “Il presente come storia” è il problema per i nostri dominanti, in Italia e nel mondo. Le guerre per loro, per i loro intellettuali e per i loro giornalisti, sono quello che si vede in superficie. Così come per ogni fenomeno della realtà contemporanea. Non bisogna guardare i processi storici, non occorre vedere il retroterra storico da cui guerre e realtà contemporanea originano.
Le guerre sono stato d’eccezione e fungono da perfetto catalizzatore per capire a che punto siamo con la retorica, almeno qui in Occidente, sulla democrazia, sui diritti umani, sui “valori europei e occidentali”, ecc. Retorica ributtante, manipolazione delle coscienze, due pesi e due misure e via discriminando. Liberali e democratici a parole. Censura, caccia alle streghe, mettere a tacere, licenziamenti, ecc. nella pratica reale con chi non “ulula con i lupi”, non si adegua al pensiero unico e alla informazione unica. Così è avvenuto e avviene nella guerra in Ucraina e così nell’attuale guerra in Palestina (i media arruolati dicono “guerra in Israele”).
Allora. In alcune testate Usa giornalisti e giornaliste sono in questi giorni “fired”, licenziati, perché la pensano diversamente o dicono qualcosa di dissonante a proposito di Palestina e di Israele. Addirittura la giornalista Emily Wilder della Associated Press è stata costretta alle dimissioni poiché nei suoi anni da giovane studentessa del college era stata attivista pro Palestina.
La scrittrice palestinese Adania Shibli, che doveva ricevere un premio presso la Fiera del Libro di Francoforte, si è vista cancellato l’evento. Con il solito ipocrita tentativo di conciliazione con il parallelo invito ad avere scrittori israeliani alla Fiera. Patrick Zaki, il ricercatore egiziano di Bologna, solo per aver difeso la causa palestinese e criticato Netanyahu, è stato censurato da quel campione “democratico” che è Fabio Fazio e si è vista cancellata dalla sindaca “democratica” di centrosinistra Castelletti la presentazione del suo libro a Brescia. Moni Ovadia, critico da sempre del comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, è stato costretto a dare le dimissioni da direttore del Teatro di Ferrara.
Negli annali dell’imbecillità servile italiota il modello rimane comunque la cancellazione delle conferenze su Dostoevskij, a cura del mite e profondo conoscitore di letteratura russa Paolo Nori, all’Università Bicocca di Milano, appena scoppiata la guerra in Ucraina.
I.
In questi giorni quello a cui assistiamo suscita forti emozioni e forti sentimenti. Ma anche tante riflessioni, tanto pensiero, del passato e del presente, si impongono oggi a chi abbia un minimo di senso critico e di impegno civile e politico. I dominanti mondiali prediligono, hanno bisogno della guerra di religione, della guerra santa, della tifoseria, acritica per definizione. Hanno bisogno delle chiusure identitarie. Bene e male, noi e loro. Altro che masse fanatiche e irrazionali, mosse solo da passioni sfrenate. I nostri dominanti europei e occidentali usano vecchi arnesi, vecchie pratiche dell’infame colonialismo. “Divide et impera”, dividi e domina. Gli inglesi e poi gli Usa maestri in ciò.
Nell’apartheid creato in Palestina, Israele ha favorito in origine Hamas, la deriva islamista, proprio per spodestare ed eliminare il pericoloso progetto politico laico dell’Olp. Al cui interno c’erano sicuramente varie correnti e vari movimenti, alcuni moderati e altri più radicali. Con annesso verosimile finale dell'avvelenamento di Yasser Arafat. Oggi Abu Mazen e l’Autorità Nazionale Palestinese sono ridotti a simulacri del glorioso progetto politico dell’Olp.
Il sonno della ragione produce sempre mostri. Violenza per violenza, orrore per orrore. Ma con la netta differenza che i bambini palestinesi squartati sotto le bombe israeliane sono considerati formichine. Al pari delle formichine vietnamite, afghane, irachene, siriane, libiche, yemenite, ecc. ecc. Non sono come i morti e i bambini uccisi, con tanto di nome e cognome, israeliani e occidentali in generale. Immane ipocrisia dell’Occidente. Israele è un pezzo di Occidente piazzato in quella terra martoriata da 75 anni a questa parte.
II.
Il giornalismo coraggioso nella “anglosfera”, nel mondo anglosassone, soprattutto negli Stati Uniti, esiste, c’è. Giornalisti e analisti di grande valore, a parte il venerando Noam Chomsky, come Seymour Hersh, John Pilger, Robert Fisk, Chris Hedges, Caitlin Johnstone e tanti altri fanno onore a un’attività così importante come l’informazione. Non come avviene nell’enorme sistema massmediatico assoldato e allineato, molto in Europa e soprattutto in Italia.
Così come esistono in Israele movimenti e persone, a partire da Peace Now e dal compianto Uri Avnery, coscienze critiche, giornalisti, storici (Ilan Pappé, Zeev Sternhell, ecc.), intellettuali, scrittori, ecc. che cercano di pensare lucidamente e che non si allineano. Che non si abbandonano all’isteria guerresca dilagante e che rivendicano da sempre la soluzione, improntata a giustizia e al diritto internazionale, della questione palestinese. Improntata al diritto umano, ancestrale, non scritto. Non quello della immensa ipocrisia dei “valori occidentali”, dei “valori europei”, dei “valori democratici e umani” a marca Usa e occidentale.
Razzismo, suprematismo bianco, a questo si riducono tutte quelle belle parole. I popoli oppressi delle periferie del mondo ne hanno avuta, nel passato e oggi, tragica esperienza. In breve, colonialismo, apartheid, razzismo ancora sono in essere. Non sono cose del passato. “Decolonizzare la mente” è il sempiterno compito antropologico, culturale, politico di noi europei e occidentali. Compresi gli israeliani, va da sé.
III.
In origine questo articolo era stato pensato per ricordare importanti intellettuali italiani recentemente scomparsi. Si tratta di Gianni Vattimo e di Domenico De Masi. Sui quali si dovrebbero dire molte cose, anche critiche. Ma qui ci limitiamo a ricordare che sono stati studiosi seri, preparati, rigorosi, formatisi in pieno Novecento. Prima dello spartiacque, tra 1989 e 1991, del trionfo definitivo del neoliberismo e del pensiero unico. Prima che molto mondo intellettuale, molto mondo dei mass media e molto mondo politico venissero investiti dal vento omologante e neoliberista dell’opportunismo e dell’arruolamento. Ruolo subalterno, omologazione, nicodemismo comodo e ben pagato. Con le dovute e lodevoli eccezioni, naturalmente.
A distinguersi, per contrasto e per protervia, politici, intellettuali e giornalisti un tempo nel campo della sinistra. Un tempo a fianco dei lavoratori, degli studenti, delle classi subalterne, e poi passati allegramente al campo opposto. Quelli che danno del putiniano a chi denuncia Usa e Nato all’origine della guerra in Ucraina, e dell’antisemita a chi denuncia l’apartheid messo in atto da Israele. I nomi sono legione.
Prima dello spartiacque, e prima del decennio di preparazione di tale svolta negli anni ottanta, l’Italia ebbe la grande stagione scaturita dalla Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo del secondo dopoguerra. La grande stagione di movimenti e di partiti della sinistra, di avanzate, di conquiste sociali, sindacali e politiche. Parallelamente a ciò, come solido retroterra, una grande stagione si dispiegava, di fervore intellettuale, di cultura, di giornalismo indipendente. Dando anima e corpo a tali conquiste.
Una stagione così ricca e così feconda di coscienze critiche, di intellettuali, di scrittori e scrittrici e di giornalisti e giornaliste. I quali e le quali, tra le altre cose, hanno contribuito a vedere chiaro nella stagione oscura della guerra fredda e a contrastare la subalternità dell’Italia al dominio Usa e Nato e pertanto, per quello che qui ci interessa, ad avere visione lucida sul ruolo di Israele e sui destini dell’oppresso popolo palestinese.
IV.
Perché ci odiano? Così, nel passato e oggi, si domandavano e si domandano molti statunitensi a causa delle nefandezze compiute nei quattro angoli del mondo da parte dei loro governi e dei loro apparati, palesi e occulti. Così occorre domandarsi sempre, europei e occidentali, con annessi israeliani. L’odio di molta parte dei popoli del Medio Oriente, del mondo arabo-islamico, dei popoli delle periferie del mondo è stato alimentato e viene costantemente alimentato dal terrorismo di Stato e dai comportamenti quotidiani di distruzione delle case dei palestinesi, di uccisioni da parte di coloni armati e protetti dai soldati israeliani e via opprimendo. Gaza è solo il terribile atto ultimo di questa serie.
E la chiamata alla mobilitazione e all’allineamento contro il terrorismo islamico in Italia, in Europa e in Occidente, la strategia della paura e della diversione di massa nell’additamento del nemico da colpire, serve solo a chi non ha orizzonte e respiro. A chi pensa, come il governo italiano, con questi mezzucci di dare soluzione a problemi così gravi per il futuro dell’umanità intera.