Noi stiamo con il popolo palestinese - di Giacinto Botti

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Nessuna equidistanza: siamo solidali e vicini al popolo palestinese. È una scelta politica di civiltà.

“Combattiamo per l’umanità, la vittoria del bene sul male”: frasi arroganti e ignobili del fascista Netanyahu, che tenta di giustificare il massacro, la rappresaglia, l’annientamento del popolo palestinese.

Il governo di Israele, con la sua potenza militare di Stato occupante, ignora le reiterate risoluzioni delle Nazioni Unite e i principi della Convenzione di Ginevra. Oggi sta compiendo un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità.

Siamo per il cessate il fuoco, per lo stop al massacro e al terrorismo, per la liberazione degli ostaggi da parte di Hamas, per “due popoli e due stati”, per la Pace. Vogliamo giustizia, libertà e il riconoscimento del popolo palestinese, senza uno Stato e senza diritti per la cinica ipocrisia degli Usa, della Ue e dei paesi arabi. Nessuna giustificazione alla follia del terrorismo e ai massacri di civili da parte di Hamas; nessuna giustificazione per l’azione terroristica, disumana e vendicativa contro la popolazione palestinese.

Lo Stato di Israele si sente minacciato dal 1948, quando è nato con la menzogna occidentale dell’occupazione di una “terra senza popolo per un popolo senza terra”. E da quando, dopo la guerra del 1967, si rifiuta di restituire ai palestinesi i territori occupati. La possibilità, se ancora esiste, di “due popoli e due Stati” non si costruisce con le vendette, con l’odio e con le armi.

Non è possibile nessuna equiparazione con lo stermino della Shoah, programmato e compiuto dai nazisti contro il popolo ebraico, e nessuno spazio va dato ai rigurgiti antisemiti e di odio verso gli ebrei. Ma l’autodifesa (art. 51 della Carta delle Nazioni Unite) non può essere usata dal governo israeliano per rappresaglie, violazioni del diritto umanitario, bombardamenti indiscriminati, sofferenze inflitte facendo morire di fame e di sete, di mancanza di cure la popolazione inerme, le donne, i bambini, gli anziani palestinesi rinchiusi nella prigione a cielo aperto di Gaza.

Così muore la politica, la civiltà e la pietà umana; l’odio coltiva odio, la violenza produce violenza, il sangue richiama sangue, la barbarie chiama barbarie.

La conseguenza di questi nuovi massacri sarà la radicalizzazione di tanti giovani, farà aumentare l’odio verso l’Occidente e Israele. L’astensione dell’Italia sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco è un grave errore politico, ma sono pure incomprensibili le divisioni del fronte democratico sulla guerra nel cuore di un’Europa politica pavida, subalterna ancora una volta agli interessi strategici Usa, come sull’invio di armi in Ucraina e l’aumento delle spese militari.

Siamo e restiamo contrari a questa politica bellicista, a tutte le guerre imperiali e coloniali in Europa e nel mondo, nel pieno rispetto della nostra Costituzione.

La Cgil, con la Uil, ha dichiarato lo sciopero contro la manovra finanziaria classista, corporativa e liberista del governo. Anche le manifestazioni di lotta, a partire dal17 novembre, debbono rilanciare la mobilitazione per la Pace. Perché guerre e corsa agli armamenti peggiorano anche il clima e le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari e mettono a rischio il futuro del pianeta e delle nuove generazioni.

 

Noi non ci rassegniamo, possiamo solo continuare la nostra mobilitazione.

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Quando cadono fra i 100 e i 180 millimetri di acqua per metro quadrato nel giro di poche ore, con “piogge mai così forti da almeno 50 anni”, come hanno certificato i meteorologi, non è facile trovare chiavi di lettura adeguate all'ennesima alluvione che questa volta ha sconvolto la Piana centrale toscana.

Al tempo stesso non può non essere sottolineata l'analisi complessiva del Wwf, di fronte ad una vera e propria escalation di alluvioni: “È sempre più evidente che il nostro Paese si trovi in uno stato di calamità climatica permanente, sottovalutato per anni dalla politica. Ormai ogni alluvione è un bollettino nel quale siamo costretti a contare vittime, dispersi e ingenti danni alle comunità e alla nostra economia. La fragilità del nostro territorio, unita al consumo di suolo e a una cementificazione che continua a correre, oltre che alla riduzione degli spazi naturali dei fiumi, rendono sempre più grave l’emergenza generata dagli impatti della crisi climatica”. Una crisi climatica che è sotto gli occhi di tutte e tutti, ma non di un governo che ha al suo interno forti componenti negazioniste.

 

Lo stesso negazionismo, a ben vedere, che le associazioni e i comitati ambientalisti toscani imputano ai governi locali: “È vero che queste tempeste non sono assolutamente prevedibili per intensità e luogo di impatto – osservano - ma se si aiuta ad aumentare i rischi, facendo il contrario di quello che la logica, la precauzione e i piani di bacino prevedono, non possiamo poi lamentarci dei danni che ne derivano. Esistono leggi, promesse, pronunciamenti ufficiali sul consumo zero del suolo, evitando così ulteriori impermeabilizzazioni ed inquinamenti. Ma poi chi amministra, a partire dalla giunta regionale a quella metropolitana di Firenze, si comporta in maniera opposta”. Un' esempio? II progetto del nuovo aeroporto intercontinentale fiorentino, proprio all'imbocco della Piana, “che prevede una ulteriore impermeabilizzazione di suoli per oltre 140 ettari, oltre ai 100 esistenti, moltiplicando i già evidenti rischi idrogeologici”. 

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Pietà l’è morta! - di Luisa Morgantini

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Pietà l’è morta! Sono ossessionata da questa frase in questi giorni di dolore, rabbia, indignazione. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu continua a non essere in grado di chiedere almeno il cessate il fuoco. Veto da parte degli Usa e di Israele, con qualche isoletta del Pacifico. La maggioranza dei governi europei, compreso il nostro, si astiene, mentre 120 paesi dell’altra parte del mondo (con qualche lodevole eccezione europea) votano a favore.

L’ Onu è stata via via spodestata a partire dalla prima Guerra del Golfo, 1991, e da tutte le guerre successive, che hanno destabilizzato il Medio Oriente, provocato centinaia di migliaia di vittime, ristabilito il potere dei Taliban in Afghanistan, e stabilito ulteriori basi militari Usa. Mi fermo qui. Ed anche noi da quel momento abbiamo visto la ferita delle nostre democrazie.

Riusciremo a far svolgere all’Onu il compito affidatogli dopo la seconda guerra mondiale? Dovremo rilanciare la campagna per l’eliminazione del veto, imposto dai paesi vincitori!

Quando il Segretario generale dell’Onu, Guterrez, parla da Rafah di fronte ai camion di beni di prima necessità per Gaza, bloccati per i bombardamenti israeliani, viene deriso da giornalisti e opinionisti, che mostrano solo la loro ignoranza dei fatti e i loro pregiudizi. Perché afferma la verità: “È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione, hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite. Ma le rimostranze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”.

L’ambasciatore israeliano all’Onu tuona chiedendo le dimissioni di Guterrez. Non è la prima volta, in altri interventi ha stracciato le risoluzioni Onu che chiedevano il rispetto dei diritti umani e il blocco della costruzione degli insediamenti coloniali.

Ma Israele è impunita e sa che lo sarà ancora utilizzando il ricatto dell’antisemitismo e dell’Olocausto. Mentre si accinge a portare a compimento quello che Ben Gurion aveva iniziato, fermandosi: la pulizia etnica della Palestina, iniziata nel ‘48 con la cacciata di più di 750mila palestinesi, e continuata in tutti questi anni con la “deportazione silenziosa”, come l’ha chiamata BetSelem, ora affermata da ministri quali Ben Gvir e Smotrich con il beneplacito di Netanyahu.

A noi è ben chiaro che lo Stato di Israele non rappresenta tutti gli ebrei e invece uccide la cultura ebraica che tanto ha dato e dà all’umanità intera. Basti pensare agli ebrei americani di ‘Jewish voice for peace’, che hanno occupato il parlamento Usa per il cessate il fuoco subito e lo stop agli aiuti Usa ad Israele, ai giovani ebrei italiani del ‘Laboratorio antirazzista’ che chiedono la fine dell’occupazione e dell’apartheid, e soprattutto ai giovani refusnik israeliani, che vanno in carcere e si rifiutano di servire in un esercito invasore, agli attivisti che agiscono insieme ai palestinesi per difenderli dagli attacchi dei coloni, che, pur tramortiti dall’attacco di Hamas, continuano ad andare alla radice del problema: la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid praticata da Israele nei confronti della popolazione palestinese.

Ora l’urgenza è cessare il fuoco, portare gli aiuti umanitari, dare i visti a chi vuole uscire, impedire che i palestinesi vengano cacciati nel deserto del Sinai, liberare gli ostaggi così come richiesto dalle famiglie israeliane, con uno scambio di prigionieri (più di 10mila i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, tra cui 370 minori e 1.200 in detenzione amministrativa). Ma Netanyahu bombarda anche gli ostaggi.

Vediamo Gaza morire momento dopo momento, rasi al suolo interi quartieri, i bambini estratti dalle macerie con gli occhi sbarrati e il corpo tremante, gli ospedali senza più medicinali, i bambini e gli uomini e le donne amputati o operati senza anestesia nei cortili degli ospedali.

Anche nella Cisgiordania dal 7 ottobre i palestinesi sono chiusi nei villaggi e città senza potersi muovere, con la paura costante delle evacuazioni forzate, arresti di minori, case demolite, pogrom di coloni messianici che occupano le terre e attaccano villaggi e sparano, protetti dall’esercito. Anche in Israele non c’è sicurezza per i palestinesi. Alla Knesset è in discussione una legge che prevede, oltre il carcere, l’espulsione dal paese e la sottrazione della cittadinanza nel caso di post sui social che solidarizzano con Gaza o la Cisgiordania.

 

Il diritto internazionale è calpestato non solo da Israele, ma da tutte le istituzioni internazionali. La Corte Penale Internazionale dovrebbe agire urgentemente ed arrestare Netanyahu e i suoi generali. Ma dovrebbe anche indagare sulle responsabilità di Biden e dei leader europei, in primis von der Leyen, per complicità con Israele.

Da Israele: “Nel mio nome, non voglio vendetta” - di Alessandra Mecozzi

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“Mi sento così delusa perché il mondo intero tace, come se non fossimo esseri umani. Sono così delusa perché vedo che nessun paese si sta muovendo per aiutarci. Mi sento terrorizzata perché non vedo la fine di tutto questo”, Noor AlYacoubi da Gaza.

Ogni dieci minuti a Gaza viene ucciso un bambino: dalle bombe, dalla mancanza di elettricità negli ospedali, dalla fame, dalla sete, dalle malattie. Già 3.500, sulle oltre 8.000 vittime al 30 ottobre. Gaza è un deserto di macerie. Il campo profughi di Jabalia più volte bombardato è un cimitero senza tombe. Dunque non “autodifesa” ma vendetta. Del resto, come può uno Stato occupante reclamare il diritto di difendersi dalle sue vittime? Solo la voluta cecità del potere può imbracciare l’arma del “diritto alla difesa”.

Nella Cisgiordania occupata si susseguono pogrom: coloni e esercito israeliani cacciano gli abitanti dalle loro case, a cui danno fuoco; giovani vengono ogni giorno uccisi, a sangue freddo. Vediamo su Haaretz un volantino, lasciato dai coloni sulle automobili dei Palestinesi: “Avete un’ultima possibilità di fuggire in Giordania in modo ordinato, dopodiché uccideremo ogni nemico e vi espelleremo con la forza dalle nostre sante terre dateci da Dio”.

E tuttavia c’è un'opinione pubblica interna che denuncia le colpe di Netanyahu e dei militari, nel non essere stati in grado di proteggere i loro cittadini il 7 ottobre. Verrà loro chiesto conto, ma “dopo la guerra”, che fa comodo a Netanyahu: “Siamo solo all’inizio. La battaglia nella Striscia di Gaza sarà difficile e lunga; è la nostra seconda guerra d’indipendenza…una lotta tra civiltà e ferocia, tra decenza e depravazione, e tra il bene e il male”.

Migliaia nel mondo, a Oriente come a Occidente gridano la propria indignazione per l’eccidio a Gaza, in manifestazioni oceaniche. In Italia, il 28 ottobre, si è svolta una delle più grandi manifestazioni di solidarietà con la Palestina, dagli anni ‘80.

È molto importante quanto avviene in Israele e nel mondo ebraico. In Israele si levano le voci di dolore dei sopravvissuti alla strage del 7 ottobre, che rifiutano la vendetta. Michal Halev, la madre di Laor Abramov, assassinato da Hamas, ha gridato in un video pubblicato su facebook: “Chiedo al mondo: fermate tutte le guerre, smettete di uccidere le persone, smettete di uccidere i bambini. La guerra non è la risposta. La guerra non è il modo in cui si aggiustano le cose. Questo paese, Israele, sta attraversando un periodo di orrore … E so che le madri di Gaza stanno attraversando un periodo di orrore … Nel mio nome, non voglio vendetta”. (Orly Noy su +972 magazine: https://palestinaculturaliberta.org/2023/10/29/ascoltate-i-sopravvissuti-israeliani-non-vogliono-vendetta/#more-8629)

Nelle manifestazioni a Tel Aviv di fronte al quartier generale dell’esercito si sono visti cartelli in inglese, ebraico, arabo: “Cessate il fuoco subito”, “Il dolore non conosce confini”, “In guerra non ci sono vincitori”, “Se condanni un crimine di guerra, devi condannarli tutti”.

Ha detto la ventunenne Leah Cohen Shpiegel durante la manifestazione: “Sono venuta qui perché non possiamo ignorare gli orrori che sono avvenuti qui sabato [durante l’attacco di Hamas] e gli orrori che stanno ancora avvenendo a Gaza. Sono qui per chiedere un cessate il fuoco, una soluzione politica e il rilascio degli ostaggi. Il ciclo di spargimento di sangue e di guerra senza fine deve finire. Non c’è vittoria in questa guerra”.

Adesso la polizia ha annunciato un divieto totale di “manifestazioni politiche”. Il capo della polizia di Israele ha perfino minacciato di mandare a Gaza qualsiasi cittadino palestinese di Israele che esprima solidarietà con i palestinesi nella Striscia. E mentre i manifestanti protestavano, centinaia di esponenti di destra cercavano di irrompere negli studentati del Netanya Academic College nei pressi di Tel Aviv, scandendo “Morte agli arabi” e chiedendo che gli studenti arabi vengano espulsi dalla città (Oren Ziv su +972 Magazine).

 

In una lettera aperta firmata da decine di studiose e studiosi di Studi Ebraici si invitano tutte le istituzioni, Associazioni, Dipartimenti di Studi Ebraici a chiedere “un cessate il fuoco immediato, che Israele ripristini immediatamente l’acqua e l’elettricità a Gaza, e consenta l’immediato ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, la fine immediata di tutti i finanziamenti statunitensi a Israele”. Ecco un’arma efficace contro l’antisemitismo.

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