Dopo l’uccisione di Al Aruri, tutto il Medio Oriente con il fiato sospeso - di Milad Jubran Basir

Il governo israeliano sta cercando di mischiare le carte in tutto il Medio Oriente. Infatti, il 2 gennaio scorso, in pieno giorno, l’aviazione israeliana ha compiuto un’operazione militare dentro il territorio libanese, nel sud di Beirut, dove si trova il quartiere generale di Hezbollah, uccidendo tra gli altri Saleh Al Aruri, il secondo uomo di Hamas nonché responsabile dell’organizzazione in Cisgiordania. Era lui che coordinava anche le azioni della resistenza in Medio Oriente. Un leader affermato e riconosciuto non solo all’interno di Hamas, ma anche a livello nazionale palestinese e all’interno del mondo arabo e islamico.

Nato nel 1966 ad Arura, un villaggio vicino Ramallah, Saleh Al Aruri ha aderito ad Hamas molto giovane ed è stato arrestato varie volte, passando diciotto anni della sua vita nelle carceri israeliane. Laureato in scienze religiose ad Hebron, fu liberato nel 2010, è stato espulso in Siria e, prima di stabilire la sua residenza in Libano, ha vissuto tra Turchia e Siria. Varie volte i servizi segreti israeliani hanno cercato di ucciderlo, senza successo. Un personaggio di primo piano all’interno del movimento e tra coloro che hanno formato le Brigata di Izz Aldin Al Qassam, il braccio militare di Hamas, che in Cisgiordania gode di una grande popolarità all’interno del movimento, come gode di ottimi rapporti con Hezbollah e l’Iran. Veniva considerato l’uomo del dialogo con personalità di Al Fateh e altre fazioni, perché era convinto che solo l’unità dei partiti e delle fazioni palestinesi fosse in grado di garantire l’indipendenza della Palestina.

Il governo del Libano ha presentato una formale protesta al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite contro Israele che ha violato il suo spazio aereo. Il movimento Hezbollah, dal canto suo, ha sempre dichiarato che non permetterà mai a nessuno di colpire personaggi della resistenza sul suolo libanese, siano essi libanesi, siriani, palestinesi o arabi in generale, e se qualche Stato si azzarda a farlo sarà pesantemente punito.

Dopo oltre novanta giorni della guerra contro Gaza, come è noto, il primo ministro israeliano è alla ricerca di una “vittoria” da presentare alla popolazione, visto che i suoi obiettivi dichiarati sono un fallimento dietro l’altro (riportare a casa gli ostaggi, sradicare e distruggere Hamas ed eliminare i suoi capi). Nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto. Ecco allora una pensata molto pericolosa, ma al primo ministro non importa nulla se non allungare i tempi della guerra e mescolare le carte, succeda quello che succeda, trascinando anche gli Usa.

Il numero dei soldati israeliani uccisi e feriti è ormai di domino pubblico, l’opinione pubblica inizia a perdere la pazienza, i parenti degli ostaggi non credono più alla campagna militare, e gli Usa hanno comunicato che le due portaerei Ford e Eisenhower iniziano il viaggio verso la madrepatria, abbandonando la costa israeliana dove erano ancorate. Questo preoccupa molto Netanyahu, sia politicamente che a livello militare.

Tutto il mondo e la piazza araba attendono la reazione di Hezbollah, che potrebbe essere di due tipi: cercare di non essere trascinato in una guerra regionale (con tutto ciò che questo potrebbe significare) come vorrebbe il primo ministro israeliano, e quindi una reazione mirata per dare due risposte sia ad Israele che all’interno del Libano. Un secondo scenario, un’azione coordinata sui vari fronti della resistenza (Libano, Gaza, Iraq, Siria e lo Yemen): così facendo mischierebbe ancora di più le carte, facendo entrare gioco anche l’Iran.

La sfida che il primo ministro israeliano ha voluto rilanciare non è facile né prevedibile, sia per il calibro del leader che ha voluto assassinare, ma anche per il luogo dove è avvenuto l’omicidio, il quartiere generale dello Sceicco Nasrallah. Ecco perché lo Sceicco Nasrallah non può fare finta di niente e deve rispondere. Anche dal tipo di risposta dipenderà il futuro sia del primo ministro israeliano che della fine della guerra in atto. Potrebbero esserci pressioni da parte degli Usa, e non solo, per terminare questa guerra, riconoscendo il suo fallimento, scaricando i suoi responsabili e aprendo una fase nuova.

In seno ad Hamas l’uccisione di Al Aruri rappresenta un colpo duro al movimento, in una fase storica molto delicata. Ma va ricordata la capacità di questo movimento all’interscambio immediato al suo interno in modo flessibile e rapido. Tutti i suoi leader di prima fila sono stati uccisi, a partire dallo Sceicco Ahmad Yassen, il fondatore del movimento.

 

Credo che oggi, più che in qualsiasi altro momento, siamo vicini ad un’aperta guerra regionale che coinvolgerebbe diversi fronti, e soprattutto l’Iran e gli Usa, trascinando altri Stati in un conflitto dagli esiti imprevedibili. Vale la pena correre questo rischio al fine di prolungare la vita politica dell’attuale primo ministro israeliano?

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