L’accordo Ue sulle tutele dei rider finisce su un binario morto - di Francesco Elia

Venerdì 16 febbraio si sarebbe dovuta svolgere la votazione finale sulla proposta di norma europea che regola il lavoro su piattaforma digitale estendendo così le tutele fino ad oggi concesse. Purtroppo non è andata come ci si poteva ragionevolmente attendere. I Rappresentanti Permanenti dei ventisette paesi membri non hanno trovato la maggioranza qualificata necessaria all’approvazione. Questo era già accaduto nel mese di dicembre scorso, costringendo le istituzioni comunitarie a un supplemento di negoziato che avrebbe dovuto portare ad un esito positivo. Evidentemente non è stato sufficiente. Nella riunione degli ambasciatori dei paesi membri dell’Ue che avrebbero dovuto semplicemente esprimere il proprio assenso, a sorpresa, Francia, Germania, Grecia ed Estonia hanno deciso di mettersi di traverso ed astenersi sul testo che doveva corrispondere all’accordo trovato. A questo punto, un portavoce della presidenza belga del Consiglio dell’Ue ha dichiarato che non fosse presente la maggioranza qualificata per raggiungere un accordo, su un dossier così importante. Elisabetta Gualmini, eurodeputata del Partito Democratico, che avrebbe dovuto essere la relatrice della direttiva per il Parlamento dichiara: “continueremo a negoziare e ci aspettiamo di superare le resistenze e concludere il processo sotto la presidenza belga”, subentrata a gennaio a quella spagnola. Evidentemente, considerando che ad inizio giugno, si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, tutto diventa più difficile e la proposta potrebbe finire in un binario morto.

Per capire come si è giunti a questo risultato, bisogna tornare indietro al mese di dicembre del 2021, periodo in cui la Commissione europea presenta una proposta di direttiva per creare un sistema di protezione per i lavoratori delle piattaforme, allo scopo di rendere palese come anche le Istituzioni comunitarie potessero essere sensibili ai temi sociali. In Europa si stima che ci siano più di 30 milioni di lavoratori collegati al settore. La proposta di direttiva era indirizzata non solo ai rider, ma a tutte quelle figure professionali in qualche modo collegate, nell’esecuzione della prestazione, alle piattaforme digitali. Tutti questi lavoratori sono considerati dalle multinazionali proprietarie delle varie piattaforme prestatori di lavoro autonomo e, in quanto tali, privi di tutte quelle tutele che caratterizzano il lavoro dipendente. Questa sensibilità da parte delle Istituzioni Ue era stata probabilmente sollecitata da quella serie di sentenze che aveva visto prevalere, nelle aule dei tribunali del continente, i Rider alle piattaforme. Questo testo prevedeva un’elencazione di indici di subordinazione che, nel caso fossero stati presenti, avrebbero portato all’assunzione del rider con contratto da dipendente. Il Parlamento europeo era tendenzialmente più favorevole ai lavoratori, avendo chiesto che l’onere della prova fosse a carico dell’azienda. La trattativa si è protratta fino a dicembre scorso e tra tira e molla si è arrivati alla proposta finale, bocciata negli scorsi giorni, prevedendo che i cosiddetti indici non saranno più tassativamente presenti nella direttiva ma saranno collegati alla “legge nazionale” e ai contratti collettivi di ogni singolo paese. L’obiettivo primario era quello di inquadrare i lavoratori delle piattaforme come dipendenti, insomma contrastare la precarietà diffusa nel settore. Il testo prevedeva ad esempio che qualsiasi decisione sull’allontanamento di un rider non potesse avvenire in base a ciò che ha deciso l’intelligenza artificiale ma vada sottoposta a decisione umana.

 

Alcuni paesi avevano espresso riserve, volendo un testo più ambizioso, ma poi si era giunti ad un compromesso su cui, tra l’altro, l’Italia aveva espresso parere favorevole. Purtroppo, però, i Rappresentanti di Parigi, Berlino, Atene e Tallin hanno annunciato che si sarebbero astenuti, rendendo vana ogni possibile maggioranza, riportando tutto all’impasse precedente. Quindi, nonostante, l’impegno profuso da alcuni rappresentati politici, di centro-sinistra, l’intento di contrastare la precarietà, sempre più diffusa nelle nuove forme di lavoro, rimane un miraggio all’interno dell’Ue, dove diverse formazioni politiche, vedi liberali in Francia, Germania ed Estonia e conservatori in Grecia continuano a consentire che gli interessi delle multinazionali prevalgano sui diritti delle persone.

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