Senegal: il candidato dell’opposizione eletto presidente, si consolida la tradizione democratica del paese - di Pap Khouma

L’Africa sub sahariana e il costo della democrazia.

Dopo diversi rinvii, domenica 24 marzo si sono svolte le elezioni presidenziali del Senegal, paese della Teranga, cioè “paese dell’ospitalità”, come viene chiamato dai suoi abitanti.

Ad inizio di febbraio Macky Sall, presidente della Repubblica, aveva rinviato le elezioni prima a dicembre 2024 e poi a giugno 2024, aprendo di fatto una crisi costituzionale. Il Senegal ha sfiorato il precipizio. L’opposizione manifestava da tempo, reclamava la scarcerazione della sua guida, Ousmane Sonko (49 anni), del suo braccio destro Bassirou Diomaye Faye (si legge Bassiru Diomay Fay), delle persone arrestate mentre manifestavano per strada o perché avevano denigrato verbalmente le istituzioni nei social o sui media tradizionali.

Qualche mese fa il partito politico Pastef (acronimo di Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité), rappresentato al Parlamento, è stato disciolto per legge, ma è rimasto molto popolare nella società. In lingua wolof la parola “Pastef” corrisponde a “volontà di impegnarsi”. Pastef è stato fondato da Ousmane Sonko nel 2014, insieme a giovani dirigenti amministrativi del pubblico e del privato, artisti, insegnanti, intellettuali, uomini d’affari, la maggior parte dei quali non aveva mai fatto politica. Durante le manifestazioni ci sono stati saccheggi, violenti scontri con la polizia, tentativi di incendiare abitazioni e beni dei cacicchi fedeli del potere, centinaia di arresti, feriti gravi e purtroppo tanti giovani contestatori disarmati uccisi dai proiettili della polizia.

Voci non ancora confermate sostengono che ufficiali golpisti che governano i paesi saheliani (Mali, Burkina, Niger) spingevano i militari senegalesi a compiere un colpo di stato. Una frangia della popolazione odiava talmente il presidente Sall che addirittura sperava venisse rovesciato dai militari. E’ doveroso rendere omaggio ai membri del Consiglio Costituzionale, e in ogni caso ai giovani del paese (rappresentano la maggioranza della popolazione) che, in nome del rispetto della Costituzione garante delle istituzioni democratiche, appunto per preservare la fragile tradizione democratica, si sono opposti al rinvio delle elezioni, infine hanno vinto l’azzardato braccio di ferro contro il presidente della Repubblica e il suo governo.

A questo punto, su proposta del presidente Sall, una legge di amnistia è stata votata in fretta dal parlamento. Centinaia di prigionieri politici hanno ritrovato la libertà, tra cui Sonko e Faye. I due leader sono stati accolti da un’immensa folla in attesa da ore davanti al carcere e festeggiati nelle vie di Dakar e delle altre città.

Diciannove candidati alle presidenziali hanno avuto circa dieci giorni per organizzare una campagna elettorale nazionale durante il mese del Ramadan. I giovani (il 75% della popolazione ha meno di 35 anni) hanno votato in maggioranza per Bassirou Diomaye Faye. La diaspora senegalese ha partecipato al voto a Milano, nei capoluoghi delle province italiane, in Europa, negli Usa e nel resto del mondo. Le elezioni si sono svolte senza incidenti sia in Senegal che all’estero.

Storicamente i senegalesi si recano alle urne. Il 60% dei sette milioni di aventi diritto si è recato alle urne il 24 marzo scorso. Il tasso di partecipazione è stato del 70% nel 2007, più del 66% nel 2019. Bassirou Diomaye Faye, amnistiato e scarcerato lo scorso 14 marzo, a dieci giorni del voto e privo di partito politico d’appoggio, insieme al suo mentore Ousmane Sonko che l’aveva designato come candidato al suo posto quando a lui è stato impedito dalla legge di presentarsi, ha stravinto al primo turno con un risultato provvisorio ma travolgente di oltre il 57% dei voti.

Faye ha compiuto 44 anni il 25 marzo, proprio il giorno della sua vittoria. Nessun contendente nelle passate elezioni, concluse con un’alternanza, si era fatto eleggere al primo turno. Sonko, sindaco della città di Zinguinchor (sud del paese), straordinario trascinatore di folle, è l’architetto della vittoria di Faye. Nessuno dei due leader ha mai avuto un’esperienza governativa. Sono tutti e due ispettori del fisco.

In Senegal si è ancorata la tradizione di telefonare all’avversario per accettare la sconfitta alle elezioni e dopo comunicarlo ai media. Il presidente Abdou Diouf aveva agito in questo modo quando fu sconfitto da Abdoulaye Wade nel 2000. Quest’ultimo seguì l’esempio del suo predecessore nel 2012 quando Macky Sall, il suo ex primo ministro diventato il suo avversario, lo sconfisse. Il presidente Macky Sall e il suo candidato Amadou Ba hanno applicato a testa alta il medesimo galateo politico senegalese.

Di fatto, nel primo pomeriggio del 25 marzo, ancor prima della conferma ufficiale dei risultati da parte del Consiglio Costituzionale, Amadou Ba, principale avversario con il 30% dei consensi, ha telefonato a Faye per congratularsi e augurargli di governare con serenità nell’interesse della nazione. Pochi minuti dopo, il presidente della Repubblica Sall ha twittato un messaggio di buon augurio al successore. Prima di loro, i diciassette candidati perdenti avevano mandato pubblicamente gli auguri al futuro presidente.

Il nuovo presidente è entrato in carica ufficialmente il 2 aprile 2024, per un mandato di cinque anni. Lui, Sonko, i membri del partito dissolto Pastef ,sono considerati sovranisti. Hanno ribadito prima delle elezioni la volontà di uscire dal sistema del franco Cfa, moneta in comune con diversi paesi della regione e garantita nel bene e nel male dalla Banca di Francia. Nella prima dichiarazione da presidente della Repubblica, Faye ha ribadito la volontà di applicare un programma di totale rottura con la prassi del passato: la parola “sovranità” è stata ripetuta più volte, ma ha sottolineato la volontà di preservare i rapporti internazionali nel rispetto reciproco e negli interessi del paese.

Non sarà facile applicare il programma di rottura prospettato, perché attualmente lui e suoi alleati di altri partiti sono la minoranza al Parlamento, che è dominato dai deputati della coalizione Apr (Alliance pour la République), che sostiene il governo di Sall. Saranno necessari tempi lunghi per sciogliere il Parlamento e organizzare delle nuove elezioni, sperando di vincere con una maggioranza confortevole.

Alcuni giornali italiani si sono affrettati a sottolineare che il neo presidente Faye è musulmano praticante. Soffermarsi sull’aspetto religioso è ininfluente. Il Senegal ha una Costituzione laica e quasi nessuno si preoccupa di chiedere a chiunque quale è la sua religione. Nel passato la popolazione aveva eletto un presidente della Repubblica cristiano. L’attuale sindaco della capitale Dakar è cattolico, e lì sarebbe davvero ridicolo sottolineare in un articolo se è praticante o no. In Senegal e in tutti paesi dell’Africa Occidentale moschee e chiese convivono pacificamente negli stessi quartieri. In tante città e villaggi della regione, cristiani e musulmani sono sepolti da un lato e dall’altro dello stesso cimitero.

Il nuovo presidente ha promesso di risolvere le enormi sfide esterne e interne. Fra le tante: il peso del debito sui conti pubblici; l’eccessivo costo della vita (Dakar è la quinta città più cara del continente e tre le 60 città più care del mondo); il clientelismo diffuso nelle sfere pubbliche; la corruzione endemica; la carenza delle strutture sanitarie ed educative pubbliche; la disoccupazione che tocca il 20% della popolazione attiva e spinge uomini e donne a tentare l’emigrazione con ogni mezzo. Migliaia di giovani senegalesi si imbarcano sui voli per il Nicaragua, che ancora non richiede il visto d’ingresso, e da Managua tentano di raggiungere gli Usa via terra. Torno a sottolineare che il governo di Macky Sall ha realizzato importanti infrastrutture, e sono rimasti tanti progetti da ultimare.

Tocca a questa giovane generazione di governanti non barricarsi dietro alla sterile propaganda antioccidentale diffusa nell’area dei paesi saheliani, a capo di altrettanti giovani golpisti, e non sprecare le nuove opportunità che sono le scoperte di immensi giacimenti di gas e petrolio al largo delle coste senegalesi, senza promettere o aspettarsi miracoli.

Nel resto dell’Africa subsahariana, malgrado guerre, terrorismo e golpe in alcune aree, i sistemi democratici si sono radicati in tanti paesi. Il gigante Nigeria, anche se il nord del paese è sottoposto agli atti criminali di Boko Haram, nel febbraio 2023 ha compiuto la sua ennesima alternanza democratica. La Nigeria elegge da decenni e senza patemi d’animo presidenti cristiani o musulmani. Possiamo aggiungere nell’elenco dei paesi con democrazia fragile o consolidata Gambia, Guinea Bissau, Benin, Costa D’Avorio, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Kenya, Etiopia,Tanzania, Botswana, Namibia, Zambia, Sudafrica.

 

 
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